La sinistra ancora (per ora) al Governo dovrebbe rileggere un libro “cult” del riformismo mondiale: “Come far passare le riforme” di Albert Hirschmann (ed. italiana Il Mulino, Bologna 1990; ed. originale americanaa Twentieth Centtury Fund, New York, 1963). Il saggio, datato (ma ancora attuale) traccia un percorso secondo il quale la “la valutazione condivisa” è il filo di Arianna per fare non solo approvare le riforme ma soprattutto per attuarle e farle essere efficienti, efficaci e durature. Altrimenti, c’è il rischio di cadere nell’effimero, e di innescare contraccolpi, irrigidimenti dell’esistente, ed il ripristino del passato sotto nuove forme e guise.
Hirschmann, cresciuto e laureato a Trieste e cognato di Altiero Spinelli, anche se da decenni tra gli Usa (di cui è cittadino) e l’America Latina, avverte che il vero riformismo è morigerato, frugale: quando si cerca di fare una scorpacciata (anche per fini nobili) si innescano contraccolpi che diventano durissimi se, a torto o ragione, gli scopi non sono giudicati tanto nobili, ma personalistici. Alcuni anni fa, con P.L. Scandizzo dell’Università di Roma Tor Vergata, ho rimesso mano all’approccio riformista di Hirschmann, aggiornando la strumentazione tecnica ed arricchendolo di “casi di studio”, ma giungendo a conclusioni analoghe.
Al catalogo si aggiunge un nuovo “caso di studio” su cui tutti, ma Prodi & Co. in primo luogo, dovrebbero meditare. Circa un fa, proprio mentre le Poste emettevano un francobollo per celebrare i 50 anni dall’istituzione della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa), venivano introdotti, di soppiatto con un emendamento dell’ultim’ora, alcuni commi (580-586) della legge finanziaria in fase di approvazione con i quali si sopprimeva l’istituto “a far data dal 31 marzo 2007” , scadenza spostata al 15 giugno nella conversione in legge del decreto legge “Mille proroghe” (e di fatto diventata “sine die” tramite un altro marchingegno giuridico). Sarebbe nata un’Agenzia per la formazione di cui avrebbero fatto parte anche l’Istituto diplomatico, la Scuola superiore di economia e finanza e la Scuola superiore del ministero dell’Interno (tali Scuole, tuttavia, avrebbero mantenuto la loro autonomia amministrativa). L’Agenzia, dotata di personalità ed autonomia giuridica, avrebbe avuto tre compiti: a) accreditamento, in un apposito albo, di istituti pubblici e privati per la formazione di personale (a tutti i livelli della Pa) - tale formazione verrebbe svolta in seguito a gare; b) ricerca, sviluppo e sperimentazione in materia di formazione ed ammodernamento della Pa; c) reclutamento e formazione dei dirigenti della Pa. Un regolamento governativo, tale da potere anche modificare leggi pre-esistenti (tranne quella che lo contempla), avrebbe dovuto disciplinare il tutto.
Nessuna analisi (tanto meno “condivisa”) era alla base del cambiamento. Le malelingue dicono che veniva fatto per accontentare qualcuno non entrato in Parlamento e desideroso di una posizione importante - quale la gestione di 200 milioni di euro l’anno da affidare ad enti ed imprese del costituendo albo. Nessuna indicazioni su risparmi od aggravi di spesa pubblica. Le prime analisi (effettuate dalla Ragioneria Generale dello Stato) avrebbe evidenziato un forte aggravio di spesa pubblica (proprio in una fase in cui si cerca, invece, di fare economia).
Una bozza di regolamento è stata predisposta da una Commissione; quando nel giugno scorso è stata esaminata in pre-Consiglio dei Ministri è stata - affermano le note di riunione - ricusata da tutti i presenti (non solo dai ministeri degli Affari Esteri, dell’Interno e dell’Economia che avrebbero dovuto dare il concerto), quindi, ritirata e mai inviata né al Cdm né al Consiglio di Stato, il cui parere è obbligatorio. Ancora una volta, la critica principale è stata la mancanza di analisi ed il timore di dare vita ad un carrozzone mangia soldi. A mero titolo di raffronto, è stato ricordato che quando nel lontano 1981 l’allora ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, Giorgio La Malfa, pensò di riordinare il piccolo dicastero (una micro-struttura rispetto all’insieme della formazione pubblica) commissionò, a gratis, un’analisi di fattibilità, dei costi e dei benefici alla Mc Kinsey - una delle maggiori società di consulenza in materia.
Viene allora nominata una nuova Commissione; il suo rapporto resta riservato ma pare esprima seri dubbi sull’idea di fondo. A quelli finanziari si aggiunge il nodo di chi formulerà i programmi di formazione e ne coordinerà, monitorerà e valuterà l’attuazione. Adesso, anche in base alla prassi di analoghi istituti stranieri, ciò è il compito di una trentina di “docenti stabili” (in effetti con incarichi normalmente a due anni) provenienti dalle università, dalla magistratura e dalla alta dirigenza pubblica, un “melting pot” originale con professionalità complementari. Sino al 1997, il corpo docente “stabile” è stato scelto con procedure di evidenza pubblica in cui i selezionatori hanno sempre avuto cura anche di equilibrare differenti sensibilità di visione politico-sociale. L’intenzione era invece di sostituirli con “esperti” con incarichi a breve termine e con una visione prevalentemente di parte; in tal modo la dirigenza pubblica verrebbe condizionata da chiunque vinca le elezioni ed abbia responsabilità di governo - ciò avrebbe dovuto preoccupare non solo l’opposizione ma anche la traballante maggioranza. Nelle discussioni sulla costituenda Agenzia è stato proposto che il Presidente, in analogia con quanto previsto per cariche analoghe, abbia il gradimento di due terzi delle pertinenti commissioni parlamentari. Naturalmente, chi aspirava alla poltronissima non era affatto d’accordo con questa ipotesi.
In questo bailamme, per sbloccare la situazione, il 19 ottobre un senatore Ds è riuscito a fare approvare, in seno alla Commissione Bilancio del Senato in sede referente, un emendamento al disegno di legge di ratifica del decreto legge fiscale secondo il quale la Sspa, l’Istituto diplomatico, la Scuola superiore di economia e finanza e la Scuola superiore del ministero dell’Interno sarebbe state assorbite dall’Agenzia (con le loro risorse umane, materiali e finanziarie). Se avesse letto Hirschmann, non avrebbe tentato il colpo di mano (e si sarebbe dedicato invece ad un serio studio di fattibilità del costituendo ente, carrozzone o meno che sia). Il risultato è stata una levata di scusi anti-Governo di quasi tutta la dirigenza pubblica che ha sobillato contro l’emendamento i principali ministri interessati. Sabato e domenica, Palazzo Chigi ha tentato un “lodo”. Constatatane l’impossibilità, il sottosegretario Mario Lettieri, che rappresentava il Governo, ha rimesso all’aula la decisione. Con i risultati che sappiamo. Il prossimo passo sarà inevitabilmente l’abrogazione dei comma 580-586 della finanziaria dell’anno scorso. Tra l’altro, è interesse della sinistra (visti il probabile avvicinarsi di nuove elezioni) che la dirigenza pubblica non sia compatta contro chi considera responsabile del caos causato dai comma in questione nel settore della formazione pubblica negli ultimi mesi. A maggior ragione (dato il probabile esito delle elezioni) è interesse dalla sinistra che la dirigenza pubblica non venga formata da “esperti” di parte (verosimilmente avversi a Prodi & Co.)
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