Il disegno di legge sul bilancio annuale e pluriennale dello Stato ed il complesso di altri provvedimenti chiamati, in gergo giornalistico, “la legge finanziaria”, partoriti dal Consiglio dei Ministri nella notte tra il 28 ed il 29 settembre rappresentano quella che in senso tecnico può essere chiamata “una finanziaria precaria”. L’aggettivo non deve essere inteso in senso negativo o derogatorio. E’ meramente un qualificativo per esprimere in modo più facilmente comprensibile a molti lettori ciò che i cultori della teoria dei giochi chiamano “un equilibrio dinamico”. Vi ricordate John Nash ed il film di cinque ani fa A Beautiful Mind? L’equilibrio dinamico – pare una contraddizione – è costantemente instabile in quanto dipende da come ciascun giocatore risponde ai giochi degli altri (non conoscendone le strategie ma ricavandole dalle loro mosse). Nel caso della finanziaria appena varata l’equilibrio è particolarmente complicato in quanto ciascun giocatore gioca , contemporaneamente , almeno su due tavoli diversi (e con finalità differenti). Un tavolo è quello in cui la partita è con gli altri partner della coalizione; la posta in gioco è “la reputazione”, ossia massimizzare la capacità di incidere sulla politica complessiva di governo. Un altro tavolo è quello con il proprio elettorato dove ciascun giocatore intende massimizzare le propria popolarità rispetto al bacino dei potenziali elettori. E’ un gioco che non un avviene per partite (o passate di mano) secche ma si declina in una sequenza. Ciò comporta che è ogni volta differente (su ambedue i tavoli) e nessuna delle parte in causa ha il vantaggio di apprendere da “giochi ripetuti”, i quali svelano il comportamento degli avversari.
Il gioco è reso ancora più complicato dalle differenze profonde sulla visione degli obiettivi e degli interessi della collettività che hanno gli undici partiti i cui leader siedono al sinedrio dell’Unione. Nonché da una buona dose di superficialità e di approssimazione in cui è stata condotta la preparazione della finanziaria.
In primo luogo, per smussare un elemento di forte tensione, si è, all’ultima ora, rinviata al 12 ottobre (il pretesto è valutare i risultati dei referendum indetti dai sindacati per il 10 ottobre) il nodo più difficile: come incorporare nella normativa il Protocollo sul Welfare del 23 luglio (quello che riguarda l’età minima per le pensioni di anzianità e la regolazione del mercato del lavoro) . Nel sinedrio dell’Unione circolavano due proposte. Secondo una proposta, parte del Protocollo (il superamento dello “scalone” previdenziale, ossia l’età della pensione non prima di 60 anni come previsto dalla riforma Maroni del 2004) nel decreto fiscale – strada di dubbia costituzionalità (come pare abbia fatto sapere il Quirinale ) e tale da poter bloccata alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, il primo approdo della finanziaria in sede referente. Un’altra strada propone un collegato da discutersi alla Camera mentre il Senato esamina la finanziaria in senso stretto, è percorso contrario ai regolamenti parlamentari. Dato che non si è trovata soluzione né nella cena offerta da Prodi ai leader dalla coalizione il 26 settembre né al Consiglio dei Ministri del 28 settembre, gli azzeccagarbugli del Palazzo si sono impegnati ad individuare un percorso, ovviamente di “equilibrio dinamico” e precario, entro Columbus Day, il 12 ottobre.
In secondo luogo, le cifre della finanziaria ed il quadro contabile generale destano serie perplessità. La manovra comporta un maggior gettito di 6.050 milioni di euro (di cui 4.500, ossia i due terzi, di gettito “tendenziale”, proveniente, ad aliquote invariate, dal maggiore valore aggiunto per beni e servizi, quindi dalla crescita del pil); tale maggior gettito serve non solo a ridurre indebitamento e debito ma anche a finanziarie 4.620 milioni di una miriade di voci di spesa a favore di questo o quello (destinate probabilmente a dilatarsi durante il dibattito parlamentare a ragione degli appetiti che innescano). Soffermiamoci sulle entrare, nell’ipotesi che i parlamentari siano sobri. La base stessa di qualsiasi politica di bilancio sono le ipotesi in materia di scenario macro economico. Il 28 giugno, il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) annunciava una crescita del 2% per il 2007 e ne stimava una dell’1,9% prevista per il 2008. Nonostante le forte tensioni che dall’inizio dell’estate caratterizzano l’economia mondiale, non è stata presentata “la nota di aggiornamento al Dpef” che si sarebbe dovuta pubblicare prima dell’incontro con le parti sociali del 27 settembre. All’incontro del 27 settembre, il Ministro dell’Economia ha parlato di crescita dell’1,8% per l’anno in corso e dell’1,6% per il prossimo. Il 28 settembre, la Relazione previsionale e programmatica, Rpp (un documento di oltre cento pagine) è stata approvata dal Cipe ma non è ancora disponibile : secondo i comunicati ufficiali, prevede una crescita dell’1,5%, avvertendo che si tratta di elaborazioni effettuate in agosto. Il 20 settembre il Centro Studi Confindustria (Csc) ha proposto stime econometriche per il 2007 (una crescita dell’1,7%) unitamente a previsioni per il 2008 che evocano un forte rallentamento dell’economia italiana(1,3%). Occorre tenere conto che il rallentamento stimato dal Csc non incorpora le previsioni più recenti (diramate il 29 settembre a Washington), e più fosche, sull’economia americana (a cui l’andamento economico italiano è molto legato). Un’indagine dell’Economist Intelligence Unit vede un “world’s downturn” (una recessione mondiale). Non molto più incoraggiante il confronto tra le previsioni Isae, Prometeia e Cer organizzato per la mattina del 27 settembre dall’Associazione Economia Reale.
Secondo miei calcoli preliminari c’è un’alta probabilità che nel 2008 l’Italia segni una crescita rasoterra (attorno all’1% od anche inferiore) a ragione non solo del contesto internazionale ma anche della salassata fiscale attuata con la finanziaria 2006 i cui effetti su investimenti e consumi si avvertono di norma con un lasso temporale di 2-3 di anni. Ciò mette a serio repentaglio i 4.500 milioni di euro di gettito “tendenziali” – la fonte principale per il finanziamento delle tante piccole spese aggiuntive.
Il rallentamento giunge accompagnato da una nuova ondata di inflazione . Secondo il Dpef, l’aumento dei prezzi al consumo nel 2008 dovrebbe essere soltanto dell’1,7%. La Rpp lo conferma, senza spiegare come si giunge al tale cifra. Il forte sviluppo dell’Asia e dell’America Latina ha creato una nuova classe di produttori , e di consumatori, con una forte domanda di merci di ogni natura e, quindi, dei prodotti di base. Negli ultimi cinque anni, i prezzi del petrolio sono aumentati del 158%, quelli del frumento del 126%, quelli del nickel addirittura del 415%. Alla Banca centrale europea, Bce, si stima che nel 2008 sarà difficile tenere la crescita dell’inflazione nell’area dell’euro al di sotto del 2% (come prescritto negli Statuti dell’istituto), alla Federal Reserve si ritiene che nell’eurozona l’inflazione viaggerà sul 2,5% l’anno, costringendo la Bce ad una manovra restrittiva.
Ad una lettura superficiale, nella notte del 28-29 settembre il Presidente del Consiglio Romano Prodi (e le componenti della coalizione che intendono dare vita al Partito Democratico,PD) hanno massimizzato i loro obiettivi: una finanziaria leggera, alcuni piccoli sgravi tributari, molto mance a questo ed a quello. Ad una lettura più attenta, è stata una vittoria di Pirro perché il nodo centrale (il Protocollo sullo Stato Sociale è stato rinviato) ed il resto si basa su ipotesi fragili e discutibili.
Con una “finanziaria precaria” all’insegna di un equilibrio dinamico ma fortemente instabile, a chi conviene rompere il gioco e quando? L’interpretazione corrente è che a staccare la spina sarebbero, prima o poi, coloro che nella coalizione vengono considerati centristi e riformisti (l’Udeur di Mastella, i Liberal-Democratici di Dini, i “liberal” diessini e margheritini), stanchi (con i propri bacini elettorali) delle richieste di una posta sempre più esosa da parte degli altri . La teoria dei giochi applicata alla finanziaria 2008 suggerisce un percorso differente: sarà la sinistra radicale a rompere l’equilibrio dinamico quando dal tavolo in cui gioca con i propri elettori comprende che può massimizzare la propria popolarità (portando via una fetta potenziale di votanti al PD). Ciò comporta una scelta accurata dei tempi di cui ora si possono soltanto intravedere i lineamenti: nell’ipotesi di crescita economica piatta o quasi (e quindi di crescenti difficoltà a restare negli obiettivi europei senza nuove manovre di finanza pubblica), verosimilmente la sinistra radicale si preparerà ad andare alle urne. Nella primavera 2008? Possibile, ma più probabile in quella 2009. Non solo per assicurare i vitalizi a molti loro parlamentari provenienti dagli uffici dei partiti ma anche perché le ultime settimane e gli equilibri dinamici della finanziaria precaria hanno mostrato che i giochi su più tavoli per quanto instabili hanno buona capacità di tenuta.
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