sabato 27 ottobre 2007

Fmi studia la strategia per dare stabilità ai mercati da ç'Occidentale

Le Borse, le quotazioni del dollaro Usa ed anche quelle del petrolio hanno salutato con un tonfo la conclusione dell’assemblea annuale del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm). In effetti, dopo i cambiamenti al vertice delle due istituzioni, e soprattutto in seguito ad una lunga preparazione del G7 del 19 ottobre, le aspettative erano numerose. In particolare, si pensava che dagli incontri di Washington si sarebbe aperta la strada a un riassetto dei tassi di cambio (in pratica rivalutazione della moneta della Cina), e, quindi, a un rilancio del negoziato multilaterale per la liberalizzazione degli scambi, nonché ovviamente alla soluzione di problemi più immediati ed all’impostazione della riforma delle istituzioni finanziarie internazionali (Fmi in primo luogo).
Come ci si attendeva, il comunicato finale del G7 ha ripetuto un appello alla Cina perché modifichi la propria politica di aggancio dello yuan al dollaro Usa; la Cina non fa parte del G7, ma la delegazione cinese (unitamente a quelle di un certo numero di Paesi asiatici e medio-orientali, nonché a quella della Norvegia – tutti caratterizzati da forti riserve valutarie) è invitata ad una cena offerta (subito dopo la riunione dei “grandi”) dal Tesoro Usa. E’ a quella tavola che si sarebbe fatta l’intesa sul riassetto dei cambi. Si era vagheggiato di un nuovo “accordo del Plaza” (con riferimento a quello raggiunto il 22 settembre 1985 per i riequilibrio dei cambi dollaro-marco-yen). Due elementi avrebbero dovuto frenare tali entusiasmi: le gelide note del Tesoro britannico secondo cui il G7 e lo Fmi avrebbero dovuro concentrarsi sulle problematiche immediate dei mercati e sui temi strutturali di lungo periodo senza sfiorare argomenti relativi ai tassi di cambio; il 17simo Congresso Nationale del Partito in corso a Pechino. Ed, in effetti, si è ottenuto dalla delegazione cinese a Washington unicamente un vago impegno a riesaminare la propria politica di cambio (e di gestione delle riserve).
Per quanto inevitabilmente intrecciato con le problematiche dei cambi, al centro della riunione c’era la stabilità dei mercati finanziari (dopo le tensioni di questa estate). Gli “sherpas” avevano predisposto, nelle riunioni tecniche preparatorie, una vasta gamma di ipotesi mirate ad assicurare una maggiore trasparenza, una più attenta gestione del rischio (specialmente rispetto a prodotti finanziari complessi), un’intesa su come trattare la finanza strutturata nella contabilità aziendale, eventuali controlli e verifiche sulle società di rating (e sulla qualità del loro lavoro), una più efficace supervisione delle finanziarie che trattano prodotti innovativi. Il menu è ampio: su ciascuno di questi capitoli, gli “sherpas” avevano meticolosamente delineato le posizioni dei “grandi”. Tutte si scontravano, però, con un ostacolo: come attuare misure pur considerate urgenti se non si raggiunge, prioritariamente, un accordo sul futuro del Fmi (che dovrebbe dare ad esse corpo specifico e realizzazione).
I lavori sulla riforma del Fmi sono estremamente complessi in quanto riguardano non soltanto i compiti istituzionali dello Fmi e la sua “filosofia economica” ma la rappresentatività dei suoi organi di governo e di gestione (fortemente sbilanciati a favore dei Paesi del G7 mentre gran parte della finanza e dell’economia mondiale è ora delle mani di nuovi “entranti”, Cina, India, Brasile, Opec). Come scritto sull’Occidentale del 2 ottobre, l’Italia potrebbe rimetterci le penne (ossia il seggio al Fmi). In questo campo, comunque, qualcosa si è ottenuto: una revisione del 10% delle quote (e dei diritti di voto) da mettere a punto a livello tecnico nei prossimi mesi con la speranza che la trattativa sarà completata per la primavera prossima quando si riunirà di nuovo l’organo di governo del Fmi , che, ricordiamolo, è presieduto dal Ministro dell’Economia e delle Finanze italiano, Tommaso Padoa-Schioppa. Il quale in questa sua funzione internazionale riesce a pesare più di quanto non faccia in Italia.
Per approfondimenti
Fogel R. W. Capitalism and Democracy in 2040: Forecasts and Speculations NBER Working Paper No. W13184
Obstfeld M., Taylor A. Global Capital Markets: Integration, Crisis and Growth Cambridge University Press, Londra 2004
Pelanda C. La Grande Alleanza: l’integrazione globale delle democrazie Franco Angeli, 2007

Nessun commento: