RIPRESA?/ La frenata del Pil
pronta per il nuovo Governo
Si stanno
già diffondendo le previsioni sull’economia per il 2018. E non sorridono
all’Italia. Il Governo che verrà avrà già una strada in salita di fronte a sé.
GIUSEPPE PENNISI 04 dicembre 2017 Giuseppe Pennisi
Lapresse
Sta
terminando il 2017 e sta per iniziare il 2018. È il momento di consuntivi e di
previsioni. Specialmente perché siamo in anno elettorale e la Legge di
bilancio, pur tenendo i saldi a quanto stipulato con le autorità europee,
contiene diverse “mance” nel tentativo di accontentare questo o quel gruppo di
elettori. Le autorità europee si sono già espresse con una buona dose di
scetticismo, pur riservandosi di formulare osservazioni più dettagliate e più
puntuali quando la legge sarà stata promulgata e i suoi complessi articoli
(spesso risultato di maxi-emendamenti approvati chiedendo la fiducia) potranno
essere studiati con calma.
L’Unione
europea si è espressa più che con lettere e interviste con la bocciatura di un
ottimo economista come Pier Carlo Padoan (ministro dell’Economia e delle
Finanze negli ultimi quattro anni) proposto dall’Italia alla guida
dell’Eurogruppo. A Bruxelles gli si rimprovera di non avere tenuto la schiera
dritta a fronte delle pressioni provenienti da palazzo Chigi. Sempre in questo
contesto, ma di minore importanza, è l’attribuzione della sede dell’Ema ad
Amsterdam piuttosto che a Milano. L’Italia non solo ha perso tasso di crescita
del Pil, diminuito negli ultimi trent’anni del 22% rispetto alla media di
Francia e Germania, ma anche e soprattutto credibilità
Questa
testata ha già espresso riserve sulle stime macro-economiche sottostanti il
Documento di economia e finanza (Def) e, quindi, la Legge di bilancio. In un
seminario a Roma due autorevoli centri di ricerca - Ref e Prometeia - hanno
elaborato delle previsioni. Anche se non si discostano sostanzialmente da
quelle del Def, presentano maggiore cautela e insistono sui rischi che le
previsioni si avverino. Il primo dicembre il consuntivo Istat del terzo
trimestre suggerisce che il rallentamento della flebile crescita è già iniziato
dall’inizio dell’autunno. Si tratta di un rallentamento stagionale che può
essere “recuperato” o - come sostengono i venti maggiori istituti di ricerca
internazionali - di un nuovo rallentamento dell’eurozona che non potrà non
colpire soprattutto i Paesi che non sono stati in grado di agganciarsi alla
ripresa all’inizio del ciclo e che collegatasi al termine della fase
moderatamente espansiva ne soffriranno di più? Senza contare i rischi di
instabilità politica in Europa, soprattutto se i negoziati per giungere a una
Grande coalizione in Germania non avranno esiti positivi.
Abbiamo
sottolineato la settimana scorsa la necessità di una politica economica in due
fasi: una di breve periodo diretta a parare crisi che possono venire
dall’estero (elezioni in Germania, caos nella Penisola iberica dopo le elezioni
in Catalogna, rafforzamento dei movimenti nazionalisti in Polonia, Ungheria e
altri Paesi) e una di più lungo termine diretta a un effettivo riassetto
strutturale, oltre che a riparare i danni degli ultimi quattro anni. Un
riassetto strutturale è difficilmente contemplabile se si affrontano i nodi del
debito pubblico e della produttività. Chiunque andrà al Governo dopo le
elezioni in primavera avrà una strada stretta e tutta in salita.
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