“La Ciociara” di Tutino, un
grande melodramma moderno
Anna Caterina
Antonacci (Cesira) – Lavinia Bini (Rosetta)
TURRINO La Ciociara A.C. Antonacci, L. Bini, A.
Machado, S. Catana, R. Scandiuzzi, N. Ebau, L. Rotili, M. Serra, L. Rotili, E.
Zara, F. Leone, M. Romeo; Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari,
direttore Giuseppe Finzi regia Francesca Zambello scene Peter
Davidson costumi Jess Goldstein luci Mark McCullough
Cagliari,
Teatro Lirico, 24 novembre 2017
La Ciociara di Marco Tutino (libretto e musica)
è la prima opera, dai tempi de Il Trittico pucciniano (1920),
commissionata da un grande teatro americano (il War Memorial Opera House di San
Francisco) ad un autore italiano. A riguardo, è utile ricordare che le prime
opere di Giancarlo Menotti vennero commissionate o da teatri di Broadway (e
considerate musical drammatici per il grande pubblico) o dalla Philadelphia
Academy of Music, a torto o a ragione considerato un teatro secondario.
A San
Francisco è andata in scena nel luglio 2015: accoglienza strepitosa dal
pubblico, meno entusiasta dalla critica. È stata coprodotta dal Teatro Regio di
Torino dove, secondo i programmi originali avrebbe dovuto inaugurare la
stagione 2017-18. Come spesso avviene nei teatri, i programmi cambiano: il
Regio ha venduto la sua quota di coproduzione al Teatro Lirico di Cagliari che,
come i nostri lettori sanno, sta portando avanti un ambizioso e coraggioso
programma di internazionalizzazione, che guarda all’America ma anche
all’estremo oriente.
La Ciociara ha debuttato, con enorme successo
di pubblico il 24 novembre; le repliche (sino al 3 dicembre) sono state tutte
esaurite; non è mancato pubblico straniero; è probabile che, a sua volta,
Cagliari la porti o ceda i diritti a teatri di Francia e Germania. A mio
avviso, La Ciociara è il capolavoro italiano assoluto di musica lirica
di questa prima parte del XXI secolo.
L’accoglienza
della critica americana è stata piuttosto fredda perché si è scambiata La
Ciociara (intitolata, a San Francisco, Two Women come nel film di De
Sica che fruttò l’Oscar a Sofia Loren) con una riproposizione, aggiornata e
rivista, del verismo. Numerosi, nella critica americana, i richiami a Tosca.
In effetti, la vocalità del fellone Giovanni, di poco rilievo nel romanzo e nel
film ma di grande importanza nell’opera (Sebastian Catana nella versione vista
ed ascoltata a Cagliari), ricorda quella di Scarpia e l’aria di Michele
(Aquiles Machado) Come faranno i boschi ha assonanze con E lucevan le
stelle e con Ella mi creda (anche se con una tessitura più acuta). Tuttavia
il tema di fondo è differente: una condanna di tutte le guerre (che entrano
senza bussare nei rapporti interpersonali), che comportano inevitabilmente
un’accentuata violenza contro le donne. Ciò è chiaro nei quattro interludi
sinfonici che sublimano la vicenda e la portano ad una sfera filosofica; in
questi interludi, l’orchestra (diretta da Giuseppe Finzi) dà sfoggio di grande
bravura, specialmente nell’omogeneità dell’impasto timbrico e nel cantabile di
archi e ottoni, che ci ricordano che stiamo trattando con temi trascendenti ed
universali, non con uno dei tanti episodi di violenza durante una guerra. I
critici americani più attenti (segnatamente quelli delle riviste specializzate)
hanno riscontrato riferimenti a Zandonai, a Previn ed a Janáček, più che a
Puccini e Mascagni. A mio punti essenziali di contatto sono nella nuova opera
americana e britannica come Dead Man Walking di Jake Heggie o The
Exterminating Angel di Thomas Adès, o addirittura al Prokofiev di Semyon
Kotko, in cui un piccolo episodio della seconda guerra mondiale in Ucraina
assurge a significati universali. Occorre notare, infine, che gran parte dei
compositori italiani si dedicano a musica sperimentale per piccoli teatri; rari
sono quelli (oltre a Tutino, citerei Battistelli), che propongono opere di
grandi dimensioni, attente ai gusti del pubblico e richiedenti quindi un serio
impegno produttivo.
Le due
protagoniste sono Anna Caterina Antonacci (Cesira) e Lavinia Bini
(Rosetta). Il ruolo di Cesira è stato scritto pensando alla vocalità (ed
alle capacità di azione drammatica) della Antonacci, il cui registro va da
quello del soprano drammatico a quello del mezzosoprano: è una perfetta vedova
Cesira, bottegaia romana costretta a cedere a Giovanni nel proprio retrobottega
per avere merce al mercato nero. Lavinia Bini è invece un dolcissimo soprano
leggero alle prese con eventi ben superiori alla sua età e che, grazie al
rapporto con la madre, riesce a ritrovare fiducia in se stessa. Di ottimo
livello il coro, diretto da Donato Sivo.
La messa in
scena e la drammaturgia sono di altissimo livello. Mentre il pubblico entra in
scena, una serie di filmati (tratti, presumo, dalla collezione Luce) riassumono
gli eventi del 1943: lo sbarco degli alleati in Sicilia, la fine del fascismo,
Roma “città aperta”. Le scene sono in parte costruite ed in parte proiettato.
Un vero coup de théâtre il secondo quadro del secondo atto: da una parte
del palcoscenico, il processo sommario a Michele e la sua fucilazione e da
un’altra le violenze delle truppe marocchine a Cesira e Rosetta a Sant’Eufemia
– pochi chilometri di distanza, ma senza che una parte del palcoscenico fosse a
conoscenza di quanto avveniva nell’altra (come in un’altra grande opera contro
la guerra, Die Soldaten di Zimmerman). La regia è di Francesca Zambello
con la collaborazione di Laurie Feldman, le scene di Peter J. Davison, i
costumi di Jess Goldstein, le luci di Mark McCullough, il video maker S. Katy
Tucker.
La Ciociara verrà trasmessa tre volte sui Rai5.
Non mi resta che auspicare che dopo le recite cagliaritane, una delle grandi
fondazioni italiane la metta in scena e la inserisca nel proprio repertorio.
Giuseppe
Pennisi
Nessun commento:
Posta un commento