23 maggio
2017
Così come è
stata concepita, la moneta unica europea (l’euro) appare a rischio nonostante
il Presidente della Banca centrale europea (Bce) ripeta che la crisi è
superata. Sono stati in tanti a dirlo, sulla base dell’esperienza degli ultimi
cinquant’anni, quando la si preparava; il vostro chroniqueur aveva
all’epoca una rubrica quotidiana sul quotidiano Il Foglio in cui
esprimeva perplessità e venne accusato di essere un agente CIA o KGB.
L’elenco potrebbe essere lungo. Alberto Alesina venne licenziato in
tronco dal Ministero del Tesoro per avere espresso dubbi in un saggio
accademico. In un lavoro con Enrico Spolaore e Romain e Romain Wacziarg, ha
infatti anticipato conflitti anche armati sia all’interno dell’area dell’euro
sia tra quest’ultima e i suoi vicini. Nouriel Roubini (considerato, a torto o a
ragione, come l’economista che ha previsto con più precisione la crisi
finanziaria iniziata nel 2007) ha affermato che «l’eurozona è alla vigilia di
una vera e propria rottura: anche ove si riuscisse a ridurre il fardello del
debito sovrano, non si riuscirebbe a tornare a tassi adeguati di competitività
e di crescita; per molti Paesi i costi di restare nell’unione monetaria ne
supererebbero di gran lunga i benefici». Conclusioni analoghe arrivano peraltro
dalla lontana Asia: Hwe Kwan Chwo della Singapore Management University afferma
che, da un lato, le vicende dell’eurozona negli ultimi anni hanno frenato i
progetti (peraltro preliminari) di un’”area monetaria” nell’Asean
(l’associazione degli Stati del Sud Est asiatico) e, dall’altro, hanno
rafforzato il ruolo di transazione e di riserva di alcune monete asiatiche
rispetto all’euro, oltre che al dollaro.
Nel mondo
accademico Usa l’analisi di Roubini è ampiamente condivisa: importanti
esponenti, prima di tutti Martin Feldstein (alla guida del comitato dei
consiglieri economici di due Presidenti degli Stati Uniti oltre che per un
trentennio del National Bureau of Economic Research, Nber), non hanno creduto
che l’unione monetaria europea sarebbe durata a lungo. Più cauti gli ambienti
istituzionali ufficiali quali Tesoro e Federal Reserve Board che non celano un
certo scetticismo, pur sperando che si riesca a salvare “il soldato euro” in
quanto la sua eventuale dissoluzione creerebbe un lungo periodo di caos nei
mercati.
La crisi
politica e istituzionale apertasi negli Stati Uniti, con la minaccia di
empeachment del Presidente, potrebbe scatenare una tempesta a cui l’euro non
reggerebbe. Come avvenne all’inizio degli Anni Settanta quando il ‘caso
Watergate’ che portò alla dimissioni dell’allora Presidente Nixon travolse il
‘piano Werner’, primo progetto organico di un’unione monetaria europea.
Per questo
motivo è utile leggere il lavoro Luciano Andreozzi e Roberto Tamborini, ambedue
dell’Università di Trento. Il paper “Why Is Europe
Engaged in an Inter-Dependence War, and How Can It Be Stopped?” (Perché l’Europa è in una guerra di
interdipendenza e come può essere arrestata?) è il DEM Working Paper N. 2017/26
e dimostra che tra gli Stati Europei è in corso una “guerra di interdipendenza”
(come previsto un quarto di secolo da Martin Feldstein e da Alberto Alesina,
Enrico Spolaore e Romain Wacziarg). Quello di Andreozzi e Tamborini è un lavoro
altamente teorico ma che descrive in modo acuto le tensioni all’interno
dell’area dell’euro, tanto all’interno di ciascun Paese membro quanto tra Paesi
e istituzione europea.
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