lunedì 29 maggio 2017

a Salisburgo le radici del modernismo in Formiche 30 maggio

Il Festival estivo di Salisburgo
(21 luglio-30 agosto) non ha
una manifestazione a tema:
nelle varie forme di spettacolo
dal vivo (concertistica, lirica,
dramma e balletto), si intrecciano
circa 150 rappresentazioni
di vari filoni, che possono essere
considerati come gli argomenti
fondanti della manifestazione. In
materia di musica lirica, pur non
trascurando il barocco e il romanticismo,
chi sceglie in modo
oculato nel ricco cartellone può
fare un viaggio nelle radici del
modernismo. Ossia della musica
moderna e contemporanea.
Wozzeck, Lady Macbeth del
Distretto di Mtsensk e Lear
sono opere del Novecento che
non rappresentano solo tre dei
maggiori lavori del teatro in
musica, ma caratterizzano il
cambiamento degli stilemi musicali
e dello stesso linguaggio,
plasmando forme e lessico più
moderni del genere.
Wozzeck fu all’epoca così
innovativa che la sua prima
esecuzione allo Staatsoper Unter
den Linden di Berlino, nel 1925,
necessitò di ben 137 prove sotto
la direzione scrupolosa di Erich
Kleiber. Non solo aveva una
trama quanto mai insolita, ma
i suoi suoni atonali, spinti al
massimo delle tonalità maggiori
e minori, erano difficili da
interpretare e da ascoltare. Berg
aveva condensato il dramma di
Georg Büchner in tre atti di cinque
scene ciascuno, dando un
andamento quasi cinematografico
al lavoro. A Salisburgo, Vladimir
Juwrosvki sarà sul podio,
i Wiener Philharmoniker in buca
e Matthias Goerne il protagonista.
Allestimento scenico e regia
sono affidati a William Kentridge.
È opera conosciutissima
in Italia dove, nonostante fosse
vietato nel Reich − allora nostro
alleato − in quanto “opera degenerata”,
debuttò, in traduzione
ritmica italiana (con Tito Gobbi
protagonista e Tullio Serafin in
buca), al Teatro dell’Opera di
Roma nel 1942.
Meno nota in Italia è Lady Macbeth
del Distretto di Mtsensk di
Dmitrij Šostakovič.
Alcuni giorni dopo la prima
mondiale a Mosca – il 22
gennaio 1934 –, venne bandita
nell’Unione Sovietica in seguito
a un articolo sulla Pravda
(attribuito a Stalin in persona)
intitolato Caos anziché musica.
La prima rappresentazione in
Italia avvenne a La Fenice nel
quadro del Festival di musica
contemporanea nel 1947.
È stata rappresentata, numerosi
anni fa, alla Scala e al San Carlo;
in tempi relativamente
recenti, ne ricordo una bella
produzione al Maggio musicale
fiorentino. A Salisburgo, l’allestimento
e la regia sono firmate
da Andreas Kriegenburg, in
buca Mariss Jansons, Nina
Stemme è la protagonista. Nella
lettura del lavoro, violenza e
sesso, che tanto scandalizzarono
Stalin e la sua corte, vengono
trasformati in pietà per Katerina
Ismailova, sposata contro il suo
volere, minacciata di violenza
carnale dallo stesso suocero, diventata
pluri-assassina e suicida
sulla via della Siberia.
Lear di Aribert Reimann (prima
assoluta nel 1978 a Monaco
di Baviera) non credo sia mai
stata rappresentata in Italia,
anche se è di frequente in
scena in Germania, Austria,
Usa, Francia, Gran Bretagna e
Svezia. Viene considerata uno
dei grandi successi dell’opera
contemporanea. È tratta dalla
tragedia di Shakespeare (da cui
Verdi avrebbe voluto comporre
un melodramma); è il dramma
della solitudine con il vecchio
Lear tradito da due delle figlie.
A differenza di Lady Macbeth
del Distretto di Mtsensk,
densa di impressionismo e acido
naturalismo, Lear è un’opera
interamente atonale. I Wiener
Philarmoniker sono guidati,
in questa difficilissima partitura,
da Franz Welser-Möst. I
protagonisti sono Gerald Finley
(Lear), Anna Prohaska (Cordelia)
e Michael Maertens (il
Folle). In breve, un percorso dal
moderno al contemporaneo.
di Beckmesser
A Salisburgo le radici del modernismo
PALCHI E PLATEE
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