FINANZA/ Chi ci perde nel
divorzio tra Usa e Ue?
Il G7 di
Taormina, dice GIUSEPPE PENNISI, sembra aver fatto emergere chiaramente la
distanza che è aumentata tra Stati Uniti ed Europa negli ultimi anni:
l’Atlantico si è allargato
29 maggio
2017 Giuseppe Pennisi
Christine
Lagarde con Angela Merkel al G7 di Taormina (LaPresse)
Subito dopo
l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Il Sussidiario del
14 novembre sottolineò come si stesse per aprire un dibattito tra le due
sponde dell’Atlantico di cui pochi sembrano avere percepito il significato.
Il G7 di Taormina ha rappresentato con tutti i suoi limiti una tappa importante
di questo dibattito, rimasto sottotono nei primi mesi dell’Amministrazione
Trump. Il dibattito riguarda la partnership economica e politica, non solo
militare atlantica. Circa cinquanta anni da lo aveva previsto David P. Calleo,
intellettuale liberal che ha avuto importanti incarichi al Dipartimento di
Stato nella seconda amministrazione Johnson e che viveva tra Washington e
l’Italia (Bologna dove insegnava e l’Isola d’Elba, buon ritiro per scrivere i
suoi libri), quello delle spese per la difesa comune era il nodo essenziale dei
problemi inter-atlantici.
Un suo
volume, uscito nel lontano 1970, si intitolava “The Atlantic Fantasy” e
sosteneva che, terminata la fase della ricostruzione, l’Europa avrebbe
dovuto prendersi carico della difesa comune non per timore del ritorno degli
Usa all’isolazionismo, quanto per dar prova di “responsabilità europea”;
altrimenti - scriveva Calleo - si sarebbero esaurite non solo la partnership
atlantica, ma anche l’integrazione europea, la vera e propria gloria della
politica estera americana del dopoguerra.
È di fronte
a questa constatazione che ci pone brutalmente il G7 di Taormina. Un “vertice”
che , al di là degli aspetti pittoreschi (come non potevano mancare nella
Sicilia dei “pupi”?) , ha fatto tornare a casa quasi tutti i leader con una
punta di soddisfazione: Trump convinto di avare un po’ ceduto sul commercio
internazionale, ma di avere fatto valere la propria agenda in quasi tutti gli
altri campi; Gentiloni certo di avere dato una prova di efficienza ed
efficacia; Macron che ha dato prova di ottimismo ed entusiasmo; Trudeau che si
è presentato come campione della classe media e di una crescita inclusiva; May
che incassato il documento sul terrorismo (un vero e proprio successo dopo la
tragedia di Manchester); Abe che per la prima volta è riuscito a porre il
problema della Corea del Nord nell’agenda dei Sette Grandi. Una che ha voluto
“restare nell’ombra” (ha scritto il Corriere della Sera) è Angela
Merkel, non perché - come ha commentato il Corriere - insoddisfatta del
mancato accordo sul clima (e su tanti altri punti), ma perché, decana e
dell’Europa e dei G7, è forse l’unica ad avere compreso come nel magnifico
borgo siciliano si fosse chiuso il lungo periodo delle partnership atlantica.
Una
partnership costruita su due pilastri, gli Usa e l’Europa in via di
integrazione e che avrebbe riguardato la difesa e la promozione dei valori
occidentali, non solo con l’alleanza militare, ma con una vera e propria
fusione di culture tra le due sponde dell’Atlantico. Da anni, secondo gli
americani, l’Europa sta tentando di uscire, con una ripresa debole e fragile,
mostra segnali di spappolamento (la Brexit potrebbe essere la prima di altre
defezioni), non partecipa adeguatamente alla difesa comune (non solo
tradizionale, ma anche nei confronti di nuove insidie, come il terrorismo) nei
confronti della società occidentale e via discorrendo.
Secondo gli
europei, gli Stati Uniti hanno maggior interesse nei confronti dell’America
centrale e meridionale e soprattutto dell’Asia, non sono venuti in soccorso
dell’Europa nei momenti peggiori della crisi finanziaria, non hanno fatto nulla
per frenare o meglio fermare la Brexit, utilizzano l’alleanza militare per i
propri obiettivi specifici.
In breve,
non solo non c’è stata la fusione di culture, ma l’Atlantico si è allargato più
che mai. Si potrà a tornare al sogno di quella comunità atlantica su due
pilastri? Difficile dirlo. Non si tratta certo di “fare passare la nottata
della Presidenza Trump” (che pur rappresenta il sentore della maggioranza degli
americani). Ci vuole anche e soprattutto un forte atto di “responsabilità
europea” su piano globale.
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