MUSICA CONTEMPORANEA/
"Superflumina": pietà per gli esclusi
Il Teatro
Massimo di Palermo merita un encomio per avere portato, in prima
italiana Superflumina, un atto unico di Salvatore Sciarrino. Lo ha visto
per noi GIUSEPPE PENNISI 07 novembre 2017 Giuseppe Pennisi
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Rosellina Garbo
Il Teatro
Massimo di Palermo merita un encomio per avere portato, in prima italiana Superflumina,
un atto unico di Salvatore Sciarrino che ha debuttato al National Theater di
Mannheim nel 2011 e si annovera tra i capolavori della musica contemporanea. La
produzione è giunta al termine di un breve ma intenso festival di musica d’oggi
e di una quattro giorni di celebrazioni dei 70 anni di Sciarrino che, come
questa testata ha annunciato il 2 novembre, ha incluso, oltre alla la prima
rappresentazione italiana dell’opera Superflumina, l’integrale delle sue
composizioni per flauto, affidata a Matteo Cesari e Manuel Zurria ed eseguita
spostandosi in tutte le sale del Teatro Massimo; l’esecuzione di La bocca, i
piedi, il suono per 4 sax solisti e un ensemble di 100 sax “migranti”, dai
sorprendenti effetti spaziali e sonori
Soffermiamoci
su Superflumina. Ispirata dal romano autobiografico di Elisabeth Smart By
Grand Central Station I sat down and wept che a sua volta trae ispirazione
dal Salmo 136/137 della Bibbia Super Flumina Babylonis: ‘’Lungo i Fiumi
di Babilonia /Là sedevamo e piangevamo". L’opera in un atto e di circa
un’ora e tre quarti è il lungo lamento notturno di una donna senza
dimora, esposta al disprezzo e all’incomprensione dei pochi che incrociano il
proprio percorso con il suo, nei grandi spazi di una stazione ferroviaria,
pieni di esseri umani ma poveri di umanità. Sciarrino mette da parte il mondo
classico e mitologico, le vicende storiche (anche se attualizzate) e le
astrazioni fuori dal tempo e sceglie un soggetto contemporaneo, benché
intriso di reminiscenze letterarie. Opera di contrasti linguistici fra lo
sconnesso lirismo del monologo della donna e lo scabro vocabolario del
quotidiano dei suoi anonimi interlocutori quando non degli annunci di ritardi
di improbabili treni Intracity o di Extracityplus. E opera di contrasti anche
nel tessuto musicale che combina con sagacia drammaturgica gli elementi più
caratteristici della lingua musicale di Sciarrino.
La vicenda è
scarna. Mentre il crepuscolo sta per trasformarsi in notte, una donna vaga in
una grande stazione, dove gli altoparlanti annunciano continui ritardi. Attende
un uomo (che dovrebbe scendere da uno di quei treni che non giungono mai). I
passanti la scansano e la insultano. Di notte la stazione si svuota, incontra
un ragazzo, un ‘escluso’. I due tentano di dialogare, ma ciascuno va per la sua
strada. Per fare compagnia a se stessa la donna canta tre canzoni che
descrivono la ricerca del cibo nella spazzatura, il sonno tra scatoloni e
bottiglie che rotolano ed i parassiti che infestano la stazione ed il disprezzo
che subiscono gli emarginati. Dal buio emerge un addetto alla polizia
ferroviaria, anche lui la tratta male senza riguardi per le sofferenze di lei.
Di prima mattina, la stazione si rianima ma lo donna, sempre in attesa
dell’uomo che non giunge mai, è sempre più sola. Non c’è pietà per gli esclusi.
Questa cruda
rappresentazione (non c’è un vero e proprio intreccio con uno sviluppo
drammaturgico) è presentata in modo molto pertinente dal Teatro Massimo di
Palermo che per le dimensionie e stucchi è marcatamente differente dal
National Theater di Mannhein che la ha commissionata. La platea è svuotata da
poltrone; metà è utilizzata dall’orchestra e l’altra metà è la stazione dove si
svolge l’azione. Sul boccascena del palcoscenico, c’è il coro ed in alcuni
momenti le tre canzoni. Su uno schermo nero un minimo di proiezioni
sottolineano i punti essenziali. Gli spettatori sono nei palchi. Occorre dire
che questo allestimento non è stato apprezzato da alcuni loggionisti. Invece,
lo ho trovato molto appropriato perché le dimensioni della platea del Teatro
Massimo fanno risaltare ancora di più la solitudine della protagonista e
l’indifferenza di quasi tutti coloro che si imbattono in essa. La regia, le
scene ed i costumi sono di Rafael R. Villaloboso, le luci di Marco Alba, i
video di Davide Vigliotti,
L’opera
comporta una grande orchestra (molto nutrito, e molto abile, il gruppo dei
flauti) diretta superlativamente da Tito Ceccherini, un concertatore tra i più
colti e profondi dei nostri tempi, il quale aveva già guidato la prima
assoluta a Mannheim. Ceccherini (classe 1973) è molto presente nei teatri e
nelle sale di concerto straniere ma lo si ascolta raramente in quelle
italiane. E’ da augurarsi che Superflumina segni più frequenti inviti a
lavorare in Italia. Come sempre, la scrittura di Sciarrino è atonale e molto
sofisticata. Ceccherini è stato particolarmente attento a dare rilievo alla
ricchezza timbrica e coloristica del grande organico orchestrale.
Sul tappeto
dell’orchestra, una scrittura vocale che va dal parlato, al melologo allo
Sprechgesang, all’arioso (la prima canzone), alla ballata (la seconda e la
terza canzone). Un vero e proprio tour de force per la protagonista, il
soprano Valentina Coladonato, in scena, cantando e recitando per un’ora e tre
quarti. Tutti bravi gli altri, specialmente il controtenore Riccardo
Angelo Strano (che pur canta principalmente fuori scena).
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