lunedì 6 novembre 2017

"Superflumina": pietà per gli esclusi"Superflumina": in Il Sussidiario 7 novembre



MUSICA CONTEMPORANEA/ "Superflumina": pietà per gli esclusi
Il Teatro Massimo di Palermo merita un encomio per avere portato, in prima italiana Superflumina, un atto unico di Salvatore Sciarrino. Lo ha visto per noi GIUSEPPE PENNISI 07 novembre 2017 Giuseppe Pennisi
Foto Rosellina Garbo
Il Teatro Massimo di Palermo merita un encomio per avere portato, in prima italiana Superflumina, un atto unico di Salvatore Sciarrino che ha debuttato al National Theater di Mannheim nel 2011 e si annovera tra i capolavori della musica contemporanea. La produzione è giunta al termine di un breve ma intenso festival di musica d’oggi e di una quattro giorni di celebrazioni dei 70 anni di Sciarrino che, come questa testata ha annunciato il 2 novembre, ha incluso, oltre alla la prima rappresentazione italiana dell’opera Superflumina, l’integrale delle sue composizioni per flauto, affidata a Matteo Cesari e Manuel Zurria ed eseguita spostandosi in tutte le sale del Teatro Massimo; l’esecuzione di La bocca, i piedi, il suono per 4 sax solisti e un ensemble di 100 sax “migranti”, dai sorprendenti effetti spaziali e sonori

Soffermiamoci su Superflumina. Ispirata dal romano autobiografico di Elisabeth Smart By Grand Central Station I sat down and wept che a sua volta trae ispirazione dal Salmo 136/137 della Bibbia Super Flumina Babylonis: ‘’Lungo i Fiumi di Babilonia /Là sedevamo e piangevamo". L’opera in un atto e di circa  un’ora e  tre quarti è il lungo lamento notturno di una donna senza dimora, esposta al disprezzo e all’incomprensione dei pochi che incrociano il proprio percorso con il suo, nei grandi spazi di una stazione ferroviaria, pieni di esseri umani ma poveri di umanità. Sciarrino mette da parte il mondo classico e mitologico, le vicende storiche (anche se attualizzate) e le astrazioni  fuori dal tempo e sceglie un soggetto contemporaneo, benché intriso di reminiscenze letterarie.  Opera di contrasti linguistici fra lo sconnesso lirismo del monologo della donna e lo scabro vocabolario del quotidiano dei suoi anonimi interlocutori quando non degli annunci di ritardi di improbabili treni Intracity o di Extracityplus. E opera di contrasti anche nel tessuto musicale che combina con sagacia drammaturgica gli elementi più caratteristici della lingua musicale di Sciarrino.

La vicenda è scarna. Mentre il crepuscolo sta per trasformarsi in notte, una donna vaga in una grande stazione, dove gli altoparlanti annunciano continui ritardi. Attende un uomo (che dovrebbe scendere da uno di quei treni che non giungono mai). I passanti la scansano e la insultano. Di notte la stazione si svuota, incontra un ragazzo, un ‘escluso’. I due tentano di dialogare, ma ciascuno va per la sua strada. Per fare compagnia a se stessa la donna canta tre canzoni che descrivono la ricerca del cibo nella spazzatura, il sonno tra scatoloni e bottiglie che rotolano ed i parassiti che infestano la stazione ed il disprezzo che subiscono gli emarginati. Dal buio emerge un addetto alla polizia ferroviaria, anche lui la tratta male senza riguardi per le sofferenze di lei. Di prima mattina, la stazione si rianima ma lo donna, sempre in attesa dell’uomo che non giunge mai, è sempre più sola. Non c’è pietà per gli esclusi.

Questa cruda rappresentazione (non c’è un vero e proprio intreccio con uno sviluppo drammaturgico) è presentata in modo molto pertinente dal Teatro Massimo di Palermo che per le dimensionie e stucchi è marcatamente differente dal National Theater di Mannhein che la ha commissionata. La platea è svuotata da poltrone; metà è utilizzata dall’orchestra e l’altra metà è la stazione dove si svolge l’azione. Sul boccascena del palcoscenico, c’è il coro ed in alcuni momenti le tre canzoni. Su uno schermo nero un minimo di proiezioni sottolineano i punti essenziali. Gli spettatori sono nei palchi. Occorre dire che questo allestimento non è stato apprezzato da alcuni loggionisti. Invece, lo ho trovato molto appropriato perché le dimensioni della platea del Teatro Massimo fanno risaltare ancora di più la solitudine della protagonista e l’indifferenza di quasi tutti coloro che si imbattono in essa. La regia, le scene ed i costumi sono di Rafael R. Villaloboso, le luci di Marco Alba, i video di Davide Vigliotti,

L’opera comporta una grande orchestra (molto nutrito, e molto abile, il gruppo dei flauti) diretta superlativamente da Tito Ceccherini, un concertatore tra i più colti e profondi dei nostri tempi, il quale  aveva già guidato la prima assoluta a Mannheim. Ceccherini (classe 1973) è molto presente nei teatri e nelle sale di concerto straniere ma lo si ascolta raramente  in quelle italiane. E’ da augurarsi che Superflumina segni più frequenti inviti a lavorare in Italia. Come sempre, la scrittura di Sciarrino è atonale e molto sofisticata. Ceccherini è stato particolarmente attento a dare rilievo alla ricchezza timbrica e coloristica del grande organico orchestrale.

Sul tappeto dell’orchestra, una scrittura vocale che va dal parlato, al melologo allo Sprechgesang, all’arioso (la prima canzone), alla ballata (la seconda e la terza canzone). Un vero e proprio tour de force per la protagonista, il soprano Valentina Coladonato, in scena, cantando e recitando per un’ora e tre quarti. Tutti bravi gli altri, specialmente il controtenore  Riccardo Angelo Strano (che pur canta principalmente fuori scena).
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