Npl, le verità non dette sulle
sofferenze bancarie
Nella
riunione del 6 novembre l’Eurogruppo si è mostrato sostanzialmente d’accordo
con le “nuove regole” della Banca centrale europea (Bce) in materia di
contabilizzazione dei crediti deteriorati e incagliati (Non performing loans,
Npl). Queste regole, quando erano state proposte poche settimane fa,
avevano creato timori, tremori e critiche da parte del mondo bancario italiano.
Oggi si chiede solo un maggior gradualismo nella loro applicazione. Se non ci
si muove gli Npl e le obbligazioni corporate potrebbero essere all’origine di
una prossima crisi, che riguarderebbe principalmente l’Eurozona.
Per capire
gli Npl è utile l’analisi contenuta in un paper, ancora inedito, di Mehdi
Raissi e di Anke Weber (Fmi) e di Kamiar Mohaddes del Girton College
dell’Università di Cambridge in Gran Bretagna. Per rispondere alla domanda su
qual è il grado di sostenibilità degli Npl, gli studiosi utilizzano un
metodo innovativo: un modello non aggregato per un intero Paese, ma
disaggregato in 17 aree economiche e finanziarie al fine di individuare un
livello di soglia per la crescita economica al di sotto del quale non solo non
si riducono gli effetti perversi dei Npl, ma addirittura si aggravano. Il
livello di soglia viene individuato in un tasso dell’1,2 per cento di crescita
reale annua del Pil, mantenuto, però, per diversi anni (almeno una decina). In
tal modo ci si può basare solo o principalmente sulla crescita per portare i
crediti deteriorati a livelli sostenibili. Tuttavia, il lavoro dell’Fmi si
focalizza sull’Italia e spiega come tale obiettivo non sia facilmente
raggiungibile: non solamente a ragione dell’esperienza del passato, quando
l’Italia è entrata in un ciclo di stagnazione dall’inizio degli anni Novanta,
ma a causa di «rigidità strutturali di lungo periodo e della urgenza di
migliorare la situazione della finanza pubblica». Quindi, non è affatto facile
raggiungere un tasso di crescita del Pil dell’1,2 per cento nel lungo termine e
«altre misure di politica economica devono essere messe in atto».
Il lavoro
non indica quali debbano essere queste misure. Da un lato, lo studio sembra un
invito non troppo implicito a fare ricorso al Meccanismo Europeo di Stabilità,
misura che toglierebbe all’Italia qualsiasi ambizione di avere un ruolo chiave
di orientamento delle politiche Ue (e quindi di entrare in un eventuale gruppo
di direzione dell’Unione). Dall’altro, come ricorda annualmente la Banca
d’Italia nel Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, le definizioni di Npl in
ambito Ue sono molto eterogenee, e quella adottata dalle banche italiane è
particolarmente ampia. In particolare, negli ultimi anni le banche italiane
hanno richiesto maggiori garanzie e ridotto il rapporto tra credito erogato e
valore della garanzia. Se si applicasse alle banche italiane la definizione di
credito deteriorato adottata dalle principali banche europee, che esclude le
posizioni interamente garantite, il tasso di copertura del sistema bancario
italiano risulterebbe molto più alto e mostrerebbe un andamento crescente negli
ultimi anni. Il lavoro dell’Fmi, dunque, va preso con le pinze prima di
giungere a conclusioni di politica economica. Ciò nonostante è un avvertimento
da non trascurare.
Con uno
smaltimento dei Npl, il sistema bancario potrebbe riprendere a svolgere il suo
ruolo: quello di finanziare le imprese e, tramite queste, lo sviluppo. Inoltre,
potrebbe frenare quelli che possono sembrare eccessi di corporate bond,
che se non tenuti in tempo sotto controllo potrebbero il germe della prossima
crisi – come sottolinea l’ultimo numero dell’Economist. La liquidità non
manca, anche a ragione del Quantitative easing, e dato che i rendimenti dei
titoli pubblici sono bassi e il mercato obbligazionario langue – in Europa
anche a ragione della situazione dell’azionariato bancario – il risparmio si
sta dirigendo verso i ‘corporate bond’, le obbligazioni emesse da imprese.
Molto vivace il mercato dei ‘mini bond’ di medie imprese o di piccole imprese
consorziate. Non è un fenomeno solamente europeo. Anzi è iniziato negli Stati
Uniti dove JP Morgan & Chase ha avvisato i propri maggiori clienti di
essere cauti. Bank of America Merrill Lynch (BAMI) a metà ottobre ha avvertito
che l’85 per cento dei ‘corporate bond’ potrebbero essere sopravvalutati
proprio a ragione del contesto di bassi rendimenti nel mercato dei titoli di
Stato. In aggiunta il mercato dei ‘corporate bond’ è meno liquido di
quanto non lo fosse prima del 2007-8 poiché le banche si sono in certa misura
ritirate per badare ai loro problemi. Sarebbe auspicabile che l’argomento
venga messo all’ordine del giorno di una delle prossime riunioni
dell’Eurogruppo.
(Nella foto
Mario Draghi/Imagoeconomica)
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