OPERA/ "La Ciociara": un capolavoro italiano da San Francisco a Cagliari
La Ciociara di Marco
Tutino (libretto e musica) è la prima opera, dai tempi de Il
Trittico pucciniano (1920), commissionata da un grande teatro americano.
GIUSEPPE PENNISI 28 novembre 2017 Giuseppe
Pennisi
Foto di Priamo
Tolu
La Ciociara di Marco Tutino (libretto e musica) è la prima
opera, dai tempi de Il Trittico pucciniano (1920), commissionata da un
grande teatro americano (il ‘War Memorial Opera House’ di San Francisco) ad un
autore italiano. A San Francisco è andata in scena nel luglio 2015; accoglienza
strepitosa dal pubblico, meno entusiasta dalla critica. E’ stata coprodotta dal
Teatro Regio di Torino, dove, secondo i programmi originali avrebbe dovuto
inaugurare la stagione 2017-18. Come spesso avviene nei teatri i programmi cambiano,
a volte solamente per gelosie professionali.
Il Regio ha venduto la sua quota di coproduzione al Teatro Lirico
di Cagliari, il quale negli ultimi anni sta portando avanti un ambizioso e
coraggioso programma di internazionalizzazione. Ha debuttato, con enorme
successo di pubblico il 24 novembre; le repliche continuano sino al 3 dicembre,
Occorre correre per accaparrarsi i pochi biglietti ancora invenduti. O
attendere che un’altra fondazione lirica metta in scena quello che considero il
capolavoro italiano assoluto di musica lirica di questa prima parte del XXI
secolo.
Occorre spiegare perché l’accoglienza della critica americana è
stata piuttosto fredda: si è scambiato La Ciociara (intitolata, a San
Francisco, Two Women come nel film di De Sica che fruttò l’Oscar a
Sofia Loren) con una riproposizione, aggiornata, del verismo. Numerosi, nella
critica americana, i richiami a Tosca. In effetti, la vocalità del
fellone Giovanni (Sebastian Catana nella versione vista ed ascoltata a
Cagliari), al quale viene dato un ruolo molto più importante che nel film e nel
romanzo, ricorda quella di Scarpia e l’aria di Michele (Aquiles Machado) Come
faranno i boschi ha assonanze con E lucean le stelle e con Ella
mi creda. Tuttavia il tema di fondo è differente: una condanna a tutte le
guerre (che entrano senza bussare nei rapporti interpersonali) e che comportano
inevitabilmente un’accentuata violenza contro le donne. Ciò è chiaro nei
quattro magnifici interludi sinfonici che sublimano la vicenda e la portano ad
una sfera filosofica; in questi interludi, l’orchestra (diretta da Giuseppe
Finzi) da sfoggio di grande bravura, specialmente nell’impasto tra i momenti in
cui prevalgono i timbri e quelli in cui gli archi e gli ottoni ci ricordano che
stiamo trattando con temi trascendenti ed universali non con uno dei tanti
episodi di violenza durante la seconda guerra mondiale. Critici americani più
attenti hanno riscontrato riferimenti a Zandonai, a Previn ed a Janácek piuttosto che a Puccini e Mascagni. Oppure ancora alla nuova opera
americana e britannica come Dead Man Walking di Jake Heggie o The
Exterminating Angel di Thomas Adès oppure infine al Prokofie’v di Semyon
Kotko in cui un piccolo episodio della seconda guerra mondiale in Ucraina
assume a significati universali.
Si è parlato dell’opera e di alcuni interpreti, ma non delle due
protagoniste: Anna Caterina Antonacci (Cesira) e Lavinia Bini (Rosetta).
Il ruolo di Cesira è stato scritto pensando alla vocalità (ed alle
capacità di azione drammatica) della Antonacci, il cui registro va da quello
del soprano drammatico a quello del mezzo soprano (ha praticamente abbandonato
la coloratura che la rese famosa un quarto di secolo fa quando era il miglior
Nerone per la monteverdiana L’Incoronazione di Poppea). E’ una
perfetta vedova Cesira da bottegaia romana costretta a cedere a Giovanni nel
proprio retrobottega per avere merce al mercato nero), che gli resiste durante
a Sant’Eufemia (provocando indirettamente la fucilazione di Michele, l’unico
uomo da lei amato), e riportando la figlia Rosetta a guardare con speranza al
futuro dopo che sono state ambedue violentati dai marocchini nella Chiesa di
Sant’Eufemia). Lavinia Bini è un dolcissimo soprano leggero alle prese con
eventi ben superiori alla sua età che, grazie al rapporto con la madre riesce a
ritrovare fiducia in se stessa. Di ottimo livello il coro, diretto da Donato
Sivo.
La messa in scena e la drammaturgia sono di altissimo livello.
Mentre il pubblico entra in scena un serie di filmati (tratti, presumo dalla
collezione Luce) riassumono gli eventi del 1943: lo sbarco degli alleati in
Sicilia, la fine del fascino, Roma ‘città aperta’. Le scene sono in parte
costruite ed in parte su proiezioni. Un grande coup de théâtre il
secondo quadro del secondo atto: da una parte del palcoscenico, il processo
sommario a Michele e la sua fucilazione e da un’altra la violenze delle truppe
marocchine a Cesira e Rosetta a Sant’Eufemia – pochi chilometri di distanza ma
senza che una parte del palcoscenico fosse a conoscenza di quanto avveniva nell’altra
(come in un’altra grande opera contro la guerra Die Soldaten di
Zimmerman). La regia è di Francesca Zambello con la collaborazione di Laurie
Feldman, le scene di Peter J. Davison, i costumi di Jess Goldstein, le luci di
Mark McCullough, il video maker S. Katy Tucker.
La Ciociara verrà trasmessa tre volte sui Rai5. Non posso
auspicare che dopo le recite cagliaritane, una delle grandi fondazioni italiane
la metta in scena e la inserisca nel proprio repertorio.
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