I purgatori tributari, i
paradisi fiscali e l’inferno dell’ipocrisia
L'analisi di
Giuseppe Pennisi
Nelle
televisioni e nella stampa cartacea infuria l’ultimo scandalo mediatico su
evasione ed elusione tributaria internazionale. Riguarda anche la Regina Elisabetta II del
Regno Unito. Più di un quotidiano ha pubblicato elenchi di italiani (e
stranieri) che avrebbero messo al riparo capitali in “paradisi” tributari od
avrebbero localizzato, sempre in “paradisi”, le sedi di aziende grandi e
piccole ed anche le loro imbarcazioni da diporto.
Non voglio
sembrare difensore dell’evasore o dell’elusore, ma credo occorra distinguere
tra valori (e giudizi) etici e ciò che è illegale. Le scale del paradiso (anche
tributario) possono essere difficili per chi non segue quelli che sono i valori
etici della società in cui viviamo, ma non devono essere confuse con quelle
della illegalità. Altrimenti si fa di qualsiasi erba un fascio e si finisce in
quella notte in cui tutti i gatti sono bigi.
Occorre
pensare che, sino allo scorso settembre, un lungo elenco di Stati od autonomie
all’interno di entità statuali (Antigua, Aruba, Isole Vergini, Cayman, Grenada
e Jersey, Isola di Man, Liechtenstein, Mauritius, Isole Marshall e Singapore)
mantenevano il segreto bancario e non erano tenuti ad informare il fisco
(nazionale o straniero) dei conti correnti e di deposito (e dei fondi) di non
residenti nelle loro banche. Quindi, per questi Paesi era perfettamente lecito
e legittimo essere “Paradisi tributari” grandi o piccoli. In numerosi Paesi
Ocse, è sufficiente dichiarare quanto si ha all’estero; si è esenti da
tassazione sugli averi all’estero se sono stati là costituiti o creati o se
sono stati esportati in modo legale. Nell’età dell’integrazione economica
internazionale, si spostano capitali enormi anche solamente con un click di un
cellulare. È impossibile frenare questo processo senza recare danni
elevatissimi alla crescita ed allo sviluppo. Occorre vigilare che il
trasferimento sia legale, non fare moralismi tartufeschi e mettere questo o
quello alla gogna. Essenziale distinguere il “reato” dal “peccato”.
È essenziale
vigilare che le misure per reprimere questa o quella elusione od evasione siano
efficaci e non costino più di quanto non rendono. Ad esempio, tra i
tentativi di combattere elusione ed evasione tributaria ci sono gli strumenti
avanzati messi a punto dagli Stati Uniti in questi anni: il Fatca (Foreign
Account Tax Compliance Act) e il Crs (Common Reporting Standard). In vigore,
per quanto riguarda l’Italia, dalL’1 luglio 2014, il Fatca nasce su impulso del
governo americano dopo anni di discussioni e tentativi di giungere a un accordo
in seno all’Ocse. Oggi vi aderiscono quasi tutti i Paesi avanzati ad economia
di mercato e ad esso si accompagna il Crs (Common Reporting Standard). In breve
le banche e gli altri operatori finanziari devono inviare alle agenzie delle
entrate nazionali le informazioni sui conti dei loro clienti. Per i cittadini
americani, i dati vengono trasmessi ad un ufficio speciale del fisco perché li
esamini e, se del caso, si rivolga alle agenzie dei singoli Paesi per
appropriata azione.
Funziona? Lo
scorso settembre, l’Università del Texas ha pubblicato una “guida” curata da un
tributarista di fama internazionale, William Byrnes, che esamina gli
effetti dei numerosi accordi intergovernativi scaturiti dal Fatca dal punto di
vista del fisco americano. I primi anni di vita dello strumento indicano che,
nonostante le penali fortissime previste dalla normativa, l’insieme di accordi
non ha generato alcun gettito aggiuntivo significativo. Anzi il gettito da
misure specifiche (pre-Fatca) per incoraggiare il rientro di capitali è
diminuito di alcune centinaia di milioni di dollari. Ancora peggio, mentre
prima del Fatca 1,1 milioni di americani residenti all’estero presentavano la
dichiarazione dei redditi con relativa modulistica, all’ultima conta se ne sono
presentati solo 300.000. Il fisco americano ha dovuto aprire un ufficio
speciale a Dallas per il Fatca incorrendo in costi aggiuntivi. I consolati
americani si sono trovati affollati di persone con doppia cittadinanza che
chiedevano di lasciare quella americano: hanno dovuto assumere personale ed
affittare uffici, nonché aumentare da zero a 4mila dollari gli oneri per chi
vuole lasciare la cittadinanza americana. In breve, sino ad ora sulla scala del
paradiso Fatca ci è fatti solo male.
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