SCIARRINO/ Debutto alla Scala:
la grandezza della musica con "Ti Vedo, Ti sento, Mi perdo"
Sciarrino
omaggia la musica come la maggiore delle espressioni umane. E lo fa riprendendo
l’idea di Stefan Zweig: il debutto a Teatro della Scala. GIUSEPPE PENNISI 16
novembre 2017 Giuseppe Pennisi
Una immagine dello spettacolo alla
Scala
Quale è il
significato dell’ultima opera di Salvatore Sciarrino, commissionata dal Teatro
alla Scala (dove ha debuttato il 14 Novembre) e dalla Operstaat unter den
Linden di Berlino (dove sarà in scena il prossimo maggio)?
Credo si
debba rispondere a questa domanda prima di analizzare il debutto in una Scala
colma di pubblico sino all’ultimo posto disponibile. A 70 anni, Sciarrino
omaggia la musica come la maggiore delle espressioni umane. E lo fa riprendendo
l’idea di Stefan Zweig che fu all’origine della ‘Conversazione in Musica’
Capriccio di Richard Strauss. Nel lavoro che Strauss, settantottenne,
presentò nell’autunno 1942 al Nationaltheater di Monaco, l’azione si svolge
pochi decenni prima della Rivoluzione francese (quando infuriava la guerre
des bouffons) e verte sull’allestimento di un’opera ‘all’italiana’ in un
castello non lontano da Parigi; la querelle riguardava se fosse più
importante la poesia o la musica.
In Ti
Vedo, Ti sento, Mi perdo siamo in un salone della Roma barocca dove una
Cantatrice sta provando una cantata di Alessandro Stradella che non apparirà
mai in scena ma è sempre presente nel background. Discutono di estatica il
Musico (Charles Workman) ed il Letterato (Otto Katzameier) con interventi della
variopinta servitù. Dura a lungo (chiaramente tra il primo ed il secolo
trascorre un certo lasso di tempo). Stradella (e la parte finale della cantata)
non arriverà mai; verrà ucciso, a ragione dei suoi numerosi legami sessuali con
mogli di aristocratici. Ciò nonostante, la Cantatrice (Laura Aikin) porterà a
termine l’omaggio alla Musica.
Naturalmente,
il linguaggio musicale di Sciarrino poco o nulla ha a che vedere con quello
straussiano. E’ imperniato su figure fluide e finemente elaborate, con grande
sensibilità per il timbro e per l’articolazione di microvariazioni, su
citazioni (in primo luogo, di lavori di Alessandro Stradella ma anche di altri
autori e, nell’intermezzo con cui termina il primo dei due atti, su musica
francese del Novecento). Nella scrittura vocale c’è una netta distinzione tra
la Cantatrice (un soprano di coloratura) e gli altri che vanno dal declamato
allo Sprechgensag al dialogato. Una scrittura vocale che non cede ad
avanguardie o a stilemi ma è personalissimo degli altri lavori di
Sciarrino per il teatro. In questa scrittura, spicca ancora di più la distanza
e la statura della Musica rispetto alle altre forme di espressione umana.
Il giovane
Maxime Pascal, vincitore del concorso per direttori d’orchestra a Salisburgo
nel 2014 e fondatore ed animatore dell’ensemble Le Balcon, deve dirigere
tre orchestre in parallelo: una in buca, una di archi, in scena, ed una
(flauto, oboe, clarinetto, fagotto)fuori scena). Mentre l’orchestra i buca
fornisce un tappeto di sonorità contemporanee (o quasi), alle altre sono
affidati i richiami al barocco, il tempo dell’azione scenica. La fusione
funziona.
La regia è
curata da Jurgen Flimm e dalla sua consueta schiera di collaboratori (George
Tsypin per le scene; Ursula Kundra per i costumi: Olaf Freese per le luci;
Tiziana Colombo per la coreografia): ci porta agevolmente in un palazzo della
Roma Barocca. Curata la recitazione, pur se forse troppo marcati sul comico, il
Musico ed il Letterato. La sera del debutto si notava una differenza tra Otto
Katzameier in piena forma ed Ar Charkes Workman , che pareva appassito.
Grandissima
Laura Aikin. La ricordo una grandissima Zerbinetta in Arianna a Nasso al
Maggio Musicale Fiorentino. Non ha perso la stupenda coloratura di allora ma vi
aggiunto il declamato e lo Sprechgengan, come già mostrato, alla Scala e non
solo, in Lulu e Die Soldaten. E’ uno dei rari ‘soprani assoluti’
dei nostri tempi.
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