mercoledì 15 novembre 2017

Dal 1996 troppi errori sulla previdenza italiana Ma si può correggere in Avvenire 16 Novembre



Dal 1996 troppi errori sulla previdenza italiana Ma si può correggere
Ancora, una volta la previdenza è uno dei temi più caldi della Legge di bilancio in preparazione. Si parla di una nuova 'riforma' senza pensare che nessun Paese e nessun sistema sociale può resistere ad una riforma della previdenza ogni due anni. Occorre invece, tornare ai principi del riassetto della previdenza della primavere del 1995 quando Italia e Svezia introdussero, quasi in parallelo, il computo dei benefici previdenziali non più sulla base delle ultime retribuzioni (sistema retributivo) ma su quella dei contributi versati (sistema contributivo). Il sistema retributivo si è diffuso in una trentina di Paesi. Era chiaro sin dai primi calcoli che gli assegni sarebbero stati più modesti di quelli e che , quindi, le pensioni di Stato sarebbero dovute essere accompagnate da altri due pilastri (uno assistenziale, a carico dell’erario non del sistema previdenziale) ed uno privatistico di accantonamenti individuali in fondi pensione. Uno sgabello è solido se si regge su tre gambe.
Dal 1995 ad oggi sono stati molti errori. Il primo un periodo di transizione, da un meccanismo all’altro, di 18 anni (in parallelo, la Svezia ne adottava uno di tre anni), innescando varie distorsioni ed iniquità. Il se- condo la proliferazione di numerosissimi (circa 700 tra quelli di vecchio e nuovo tipo) piccoli fondi pensione che investono molto in titoli di Stato e sono poco attraenti, sotto il profilo sia della diversificazione – essenziale per la solidità – sia dei rendimenti. Tuttavia si possono ancora riparare tornando allo spirito originario della riforma del 1995 ed ai sistemi contributivi in vigore in altri Paesi. In primo luogo, occorre separare nettamente assistenza e previdenza, trovando se possibile un differente canale contabile ed erogatorio per l’assistenza (tra cui primeggiano assegni sociali, assegni di invalidità, integrazioni al minino) al fine di non ingenerare confusione. Senza la spesa per l’assistenza in cui l’Inps è solo un comodo 'ufficiale pagatore' per conto dello Stato, la spesa previdenziale sarebbe sul 14% del Pil e non oltre il 18%. In effetti, come ribadiscono gli esperti ed i rapporti di 'Itinerari Previdenziali', mentre le spese previdenziali 'vere' sono in buona parte coperte da contributi, le spese assistenziali sono largamente 'in rosso' perché lo Stato non le finanzia correttamente. In secondo logo, sarebbe equo portare a 5-10 anni (come altrove) il requisito per poter fruire di una pensione statale 'contributiva'. Venne portato da 15 a 20 anni come misura emergenziale durante la crisi finanziaria del 1992. Si ridurrebbe il fenomeno tutto italiano dei milioni di 'silenti' (che hanno versato contributi ma non per 20 anni e non hanno titolo a previdenza pubblica) una grande iniquità.Varrebbe poi la pena di eliminare il concetto stesso di 'pensioni di vecchiaia': si resta al lavoro tanto quanto si può e si vuole. Chi lavora più anni avrà un trattamento previdenziale più pingue, mentre chi ne lavora meno uno più modesto.
Giuseppe Pennisi
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