giovedì 30 novembre 2017

I settanta anni di Salvatore Sciarrino in Formiche mensile 1 dicembre




Salvatore Sciarrino è il compositore contemporaneo italiano più noto e più eseguito al mondo,  E’ anche il  più  premiato. Accademico di Santa Cecilia (Roma), Accademico delle Belle Arti della Baviera e Accademico delle Arti (Berlino), Laurea honoris causa in Musicologia Università di Palermo, fra gli ultimi premi conferiti a Sciarrino vanno citati: Prince Pierre de Monaco (2003) Premio Internazionale Feltrinelli (2003) Musikpreis Salzburg (2006), premio internazionale di composizione istituito dal Land di Salisburgo. Premio Frontiere della Conoscenza per la musica (2011) della BBVA Fondation.Premio Una vita per la musica (2014) Teatro La Fenice - Associazione Rubenstein di Venezia.Leone d'oro alla carriera per la Musica - Biennale Venezia 2016.

Pochi sanno che Sciarrino è un  autodidatta (benché formatosi privatamente, per qualche tempo, con Turi Belfiore e Antonino Titone), Sciarrino ha iniziato a comporre dodicenne, tenendo il primo concerto pubblico nel 1962. Considera "apprendistato acerbo" i lavori anteriori al 1966. Ciò che caratterizza la sua musica è la volontà di indurre il fruitore a un diverso modo di ascoltare e a una nuova presa di coscienza della realtà e di sé. Nel 1969  Salvatore Sciarrino ha lasciato la Sicilia per trasferirsi a Roma e poi, nel 1977 a Milano. Ora vive a Città di Castello  Ha pubblicato con Casa Ricordi dal 1969 al 2004. dall'anno seguente, l'esclusiva delle opere di Sciarrino è passata a  RaiTrade.Vastissima la sua discografia, comprendente oltre ottanta titoli, pubblicati da etichette internazionali e più volte segnalati e premiati. E’ appena uscito un suo album con composizioni anche in prima esecuzione assoluta.

Palermo e Milano sono le città che più hanno celebrato il suo compleanno. Palermo dall’1 al 4 novembre, al termine di un festival di musiche contemporaneo, gli ha reso  un grande omaggio che ha incluso de la prima rappresentazione italiana dell’opera Superflumina, nonché l’integrale delle sue composizioni per flauto, una lectio magistralis, introdotta dal musicologo Pietro Misuraca; l’esecuzione di La bocca, i piedi, il suono per 4 sax solisti e un ensemble di 100 sax “migranti”, dai sorprendenti effetti spaziali e sonori A Palermo è stata messa in scena l’opera Superflumina , un grande successo in Germania (dove ha debuttato , a Mannhen, nel 2011) E’ il lungo lamento notturno di una donna senza dimora, esposta al disprezzo e all’incomprensione dei pochi che incrociano il proprio percorso con il suo, nei grandi spazi di una stazione ferroviaria, pieni di esseri umani poveri di umanità. La platea del Teatro Massimo è stata trasformata nel luogo dell’azione  con il pubblico nei palchi.

E opera di contrasti anche nel tessuto musicale, che forse non ha l’elegante compattezza di altre opere del compositore siciliano, ma che combina con sagacia drammaturgica gli elementi più caratteristici della lingua musicale sciarriniana.

A Salvatore Sciarrino il Teatro alla Scala ha commissionato la nuova opera Ti vedo, ti sento, mi perdo andata  in scena in prima assoluta il 14 novembre . E’ un lavoro in due atti sulla morte del compositore seicentesco Alessandro Stradella. L’immaginario barocco rappresenta un orizzonte fertile e ricorrente nella produzione di Salvatore Sciarrino, dove appare reinterpretato sotto molteplici prospettive; si pensi, per esempio, nel teatro musicale alla “natura mortain un atto” Vanitas (1981) e alle opere Infinito nero (1998) e Luci mie traditrici(1998).
Se il soggetto è incentrato intorno alla vana attesa di Stradella, protagonista in absentia, la struttura drammaturgica manifesta la discontinuità spazio-temporale cui il compositore ricorre abitualmente come meccanismo formale e percettivo Lo spazio scenico è articolato in tre piani, mentre l’organico strumentale è a sua volta distribuito nello spazio secondo un principio ternario: all’orchestra in buca fanno infatti riscontro un “concertino” in scena (complesso di archi nel Prologo) e un ensemble di strumenti fuori scena (legni, che subito migrano nel “concertino”,ottoni, arpa e pianoforte).
Nel mezzo agiscono i cinque Servi del palazzo, che aiutano nella costruzione dello spettacolo. Verso la ribalta si collocano gli spettatori dello spettacolo: il Letterato e il Musico, insieme a visitatori, curiosi, strumentisti che attendono il loro turno per suonare. I tre piani scenici definiscono altrettante “dimensioni autonome, in realtà comunicanti  e infine convergenti”: la prova della cantata (incentrata sul potere seduttivo e incantatorio della musica); le scene comiche dei Servi, che commentano i fatti che avvengono nel palazzo e fanno il verso ai loro padroni (evocando comportamenti della commedia dell’arte e dell’opera seicentesca);il tragico racconto degli spettatori della vita avventurosa di Stradella,spenta a Genova dal pugnale di un sicario.  Il lavoro è coprodotto dalla Staatsper unter den Linden di Berlino, dove sarà in scena nel prossimo luglio.

LA SFIDA DELLA BREXIT COMINCIA SOLO ADESSO in Formiche mensile 1 dicembre



LA SFIDA DELLA BREXIT COMINCIA SOLO ADESSO
Giuseppe Pennisi


Perché occuparsi ancora della Brexit a circa un anno e mezzo dal referendum in cui i britannici hanno espresso la loro volontà si uscire dall’Unione Europea (UE) ed a diversi mesi dall’inizio dalle procedure per non fare più parte dell’Ue ma di definire nuovi rapporti tra il Regno Unito e l’Unione? In questi mesi, sia il mensile Formiche sia il web magazine quotidiano hanno trattato più volte dei vari aspetti della Brexit. E’ uscito a fine ottobre uno stimolante volume di Daniela Capezzone e Federico Punzi (BREXIT: La Sfida . Il ritorno delle Nazioni e la questione tedesca. Giubilei Regnani Editore pp.375 € 20) che è stato recensito sul web magazine di Formiche a fine ottobre. Il volume, che raccoglie non solo le riflessioni dei due autori, ma anche una vasta gamma di interviste, dialoghi , brevi saggi e articoli di altri, italiani e stranieri), pone essenzialmente un punto che pochi sollevato: quanto e cosa il resto dell’UE ha appreso dal fatto che uno dei suoi principali Stati membri abbia deciso di ‘uscire’ ed abbia scelto un metodo democratico e le procedure stabilite per farlo.
E’ questo l’interrogativo di fondo che ci dobbiamo porre tutti noi che restiamo nell’UE. Dalle  vicende dell’anno e mezzo che ha fatto seguito al referendum (il cui esito ha sorpreso gran parte degli europei dalle due part della Manica) non sembra né che l’interrogativo di fondo sia stato recepito o che vi stia dando un’adeguata risposta.
Attenzione lo stesso interrogativo era stato sollevato da Giandomenico Majone nel saggio The Europea Union Post Brexit uscito sull’European Law Journal Vol.33, Fascicolo1-1, ppl2-27, 2017) pochi mesi fa. Majone , classe 1932, è poco noto in Italia (tranne che un ristretto mondo accademico) perché ha insegnato quasi sempre all’estero ed è stato chiamato a fine carriera o quasi, all’Istituto Europeo di Fiesole , dove è Professore Emerito . Negli ultimi anni ha pubblicato numerosi libri importanti sull’integrazione europea quali  Europe as the Would-be World Power: The EU at Fifty. Cambridge University Press. 2009.. Dilemmas of European Integration: The Ambiguities and Pitfalls of Integration by Stealth. Oxford University Press. 2005, per non citare che i più noti. Majone si chiede , al pari di Capezzone e Punzi , se , dopo la Brexit, l’UE resterà essenzialmente immutata (anche se monca di una sua parte importante) od effettuerà ‘un adattamento dinamico’ alla nuova situazione. Ossia ammetterà ‘l’urgenza di cambiamenti radicali’nel proprio approccio all’integrazione’. In primo luogo, dovrà riconoscere che non è uno Stato, e tanto meno un Super-Stato. In secondo luogo, dovrà rinunciare all’obiettivo di trattare tutti (o quasi) i settori delle politiche pubbliche. Un adattamento dinamico’ richiede ‘leadership istituzionale’ e ciò non è compatibile con ‘il principio secondo cui tutti gli Stati membri sono uguali’. Majone individua una buona base teorica per Ue differente e dinamica nella ‘teoria dei clubs? del Premio Nobel (liberale e liberista) James M. Buchanan. Il principio essenziale di una organizzazione funzionale a livello sovranazionale è che le attività vengano selezionate specificamente  ed organizzate separatamente. Oggi – conclude Majone – è essenziale separare l’idea generale dell’integrazione europea con il modo specifico di darle attuazione. Una quindicina di anni fa, nel saggio   Europe simple Europe strong ,. Frank Vibert della London School of Economics è giunto a conclusioni simili tramite un percorso differente. Non è stato ascoltato. Con le conseguenze che oggi si toccano con mano: un’Europa litigiosa e che poco conta nell’agone mondiale. Anzi, invece di impostare una seria riflessione, oggi gli Stati Ue si stanno litigando le spoglie della Brexit , quali l’Agenzia per il Farmaco e pensano alla creazione di nuove strutture (quali l’evoluzione del Meccanismo Europeo di Stabilità in un Fondo Monetario Europeo). Ad un’Europa, quindi, più complicata e , necessariamente, meno dinamica. Non è stata ancora raccolta la sfida della Brexit.

martedì 28 novembre 2017

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e l’antologia francese in Formiche 28 novembre




L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e l’antologia francese
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L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e l’antologia francese
L'articolo di Giuseppe Pennisi
Grazie principalmente alle attività del Centro per la Musica Romantica Francese a Palazzetto Bru Zane a Venezia, alle sue collaborazione nazionali ed internazionali ed alla sua pregevole collana editoriale, il romanticismo francese è molto noto in Italia. A ragione, principalmente, degli sforzi dell’Accademia di Francia a Villa Medici ed ai suoi festival di musica contemporanea, anche lo sperimentalismo francese è molto conosciuto.
La prima parte del Novecento musicale d’Oltralpe è poco eseguita. E, quindi, poco nota al grande pubblico. Lo stesso “gruppo dei sei” (Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Germaine Tailleferre, Georges Auric e Louis Durey), un circolo che cercò d’innovare la musica francese negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale è noto principalmente per alcune opere per il teatro e per il contributo dato alla musica da film più che per la grande sinfonica e la concertistica in genere.
Dunque, è stata un’ottima idea quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di offrire un’antologia della musica francese della prima parte del Novecento, affidando un programma interamente dedicato alla Francia e ai suoi compositori più amati, quello che ha visto insieme il pianista Jean-Yves Thibaudet e l’Orchestra e il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, diretti da Stéphane Denève in un concerto replicato venerdì 24, sabato 25 e domenica 26 novembre. Dato che le date coincidevano con il Black Friday, l’Accademia di Santa Cecilia non ha perso l’occasione per offrire al pubblico l’opportunità per tutte e tre le date di regalarsi un concerto sinfonico a un prezzo speciale, con lo sconto del 50% sui biglietti di platea e galleria.
Il programma non comprendeva nessuno del “gruppo dei sei” e della loro “musica oggettiva” ma ha offerto un’antologia ancora più vasta e diversificata. Sul podio Stéphane Denève, habitué delle stagioni di Santa Cecilia.
In apertura di programma una delle prime opere di Jacques Ibert, compositore eclettico e raffinato che è stato anche un buon amministratore nelle vesti di direttore dell’Opéra Comique e della sede dell’Accademia di Francia a Villa Medici a Roma. Escales è una suite per orchestra scritta a Roma negli anni Venti del Novecento quando era borsista in quella Villa Medici, di cui divenne direttore in un differente stadio della sua carriera, rappresentata con grande apprezzamento di pubblico nel 1924. Escales è un taccuino d’impressioni di un viaggio lungo il Mediterraneo in cui il compositore descrive i “colori sonori” di tre importanti scali marittimi, quello della tratta Roma-Palermo, quello di Valencia e Tunisi-Nefta, la città oasi alle porte del Sahara. Riflette l’amore di Ibert per il Mediterraneo che diversi anni dopo lo porteranno a comporre le musiche del film Macbeth di Orson Welles, noto per le sue traversie e, per quanto girato in California, ambientato in una Scozia molto mediterranea.
Restiamo sempre nel Mediterraneo con il secondo brano: il Concerto n. 5 “Egiziano” composto nei pressi del Tempio di Luxor nel corso delle frequenti vacanze in Nord Africa di Camille Saint-Saëns, in cui è stato solista una delle star del pianoforte, Jean–Yves Thibaudet, pianista di fama internazionale dalla personalità artistica multiforme e sfaccettata, specialista del repertorio francese. Articolato nella consueta struttura in tre movimenti della tradizione classica, il Quinto Concerto prende l’avvio con l’Allegro animato in fa maggiore 3/4, ove la prima idea viene enunciata dal solista in un’atmosfera fluida e trasparente sui pizzicati degli archi che, a loro volta, quando riprendono questo tema, sono accompagnati da una fitta gamma d’ornamenti e d’arpeggi del pianoforte. In un clima cullante fa poi la comparsa la seconda idea in re minore, essa pure intonata dal solista con atteggiamenti melodici più capricciosi che conducono l’andamento musicale, secondo una continua progressione, ad un vertice d’esaltazione lirica, ove si coglie, tra i cromatismi, qualche analogia con la celebre aria “Mon coeur s’ouvre à ta voix” del Samson et Dalila. Altrettanto ben costruito appare lo sviluppo sia negli scambi e contrasti drammatici sia nell’evoluzione in dialoghi polifonici del materiale motivico. Simmetrica è poi la ripresa, con il gioco delle modulazioni che riporta alla tonalità d’impianto, mentre all’assenza della cadenza sembra supplire la coda, ove il solista è in primo piano nel ricordare principalmente il secondo tema.
Sul carattere del secondo movimento, Andante in re minore in 3/4, c’è un’esplicita puntualizzazione di Saint-Saëns: “Domina qui l’eco d’una sorta di viaggio in Oriente, e l’episodio in sol evoca un canto d’amore nubiano che una volta ho udito intonare dai battellieri sul Nilo e che, per l’assenza d’un foglio di carta, annotai sul mio polsino inamidato”. Nell’andamento nettamente rapsodico s’impongono gli elementi di natura descrittiva e pittoresca, nella fantasiosa animazione coloristica, magari “d’un Egitto un po’ convenzionale d’un’animatissima via del Cairo in un giorno di fiera, con i canti monotoni di qualche popolano, i timbri malinconici di strumenti folclorici, la sensuale frenesia di danze millenarie, il tutto però visto con un colpo d’occhio occidentale” (Cortot). Tra i singolari effetti fonici di questo tempo si colgono interessanti echi di gamelan al pianoforte con risonanze armoniche di quinta, impiego di cadenze imperfette, di gradi alterati, oltre all’evocazione di melopee d’origine più moresca che egiziana e l’incidenza di un motivo secondario affidato all’oboe e ripreso poi dal pianoforte nell’abile gioco melodico tra le due mani sulla tastiera. Una turbinosa cadenza del solista si raccorda infine alla ripresa del moto ritmico iniziale per spegner poi ogni sonorità negli arpeggi sognanti d’una conclusione in pianissimo.
Il terzo movimento, Molto allegro, impone all’attenzione il prevalente suo incedere virtuosistico, dominato dal solista, con una carica vitalistica estroversa su cui s’innestano singolari sprazzi melodici. All’ampia enunciazione del primo soggetto subentra nella tonalità di sol maggiore la seconda idea, proposta inizialmente dall’orchestra. Nell’articolato sviluppo, nel serrato confronto dialogico tra il pianoforte e l’orchestra, nell’effervescente progressione ritmica e nel sagacissimo gioco imitativo, si esalta la maestria della scrittura strumentale di Saint-Saëns. Da ultimo vi è la ripresa della sezione iniziale secondo lo schema sonatistico, con l’aggiunta di numerose varianti pianistiche al materiale motivico originario, sino alla verve scatenata della coda, siglata da un vero e proprio tourbillon di crepitanti ottave.
È un lavoro di grande spessore che è stato eseguito magnificamente tanto che Jean–Yves Thibaudet, a grande richiesta del pubblico, ha concesso un bis di un piccolo brano.
Nella seconda parte il programma prosegue con il trittico sinfonico per orchestra e coro femminile Trois Nocturnes di Claude Debussy e si conclude con la Suite n. 2 dal balletto. Due brani abbastanza noti e per questo motivo meno interessanti degli altri due. I notturni di Debussy sono un esempio di impressionismo. Francamente di Daphnis et Chloé di Maurice Ravel preferisco il balletto completo ad una sintesi.
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Grazie principalmente alle attività del Centro per la Musica Romantica Francese a Palazzetto Bru Zane a Venezia alle sue collaborazione nazionali ed internazionali ed alla sua pregevole collana editoriale, il romanticismo francese è molto noto in Italia. A ragione , principalmente, degli sforzi dell’Accademia di Francia a Villa Medici ed ai suoi festival di musica contemporanea, anche lo sperimentalismo francese e molto conosciuto. La prima parte del Novecento musicale d’Oltralpe è poco eseguita. E , quindi, poco nota al grande pubblico. Lo stesso ‘gruppo dei sei’ (Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Germaine Tailleferre, Georges Auric e Louis Durey) , un circolo  che cercò d’innovare la musica francese negli anni successivi alla seconda guerra mondiale è noto principalmente per alcune opere per il teatro ed per in contributo dato alla musica da film più che per la grande sinfonica e la concertistica in genere.
Dunque, è stata un’ottima idea quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di offrire un’antologia delle musica francese della prima parte del Novecento, affidando un programma interamente dedicato alla Francia e ai suoi  compositori più amati quello che ha visto insieme il pianista Jean – Yves Thibaudet e l’Orchestra e il Coro dell’Accademia di Santa Cecilia, diretti da Stéphane Denève in un concerto replicato venerdì 24 novembre ore 20.30 sabato 25 e domenica 26 novembre. Dato che le date coincidevano con il Black Friday, l’Accademia di Santa Cecilia non ha perso  l’occasione per offrire al pubblico l’opportunità per tutte e tre le date di regalarsi un concerto sinfonico a un prezzo speciale, con lo sconto del 50% sui biglietti di platea e galleria.
Il programma non comprendeva nessuno del ‘gruppo dei sei’ e della loro ‘musica oggettiva’ ma ha offerto un’antologia ancora più vasta e diversificata. Sul podio Stéphane Denève, habitué delle stagioni di Santa Cecilia.
In apertura di programma una delle prime opere di Jacques Ibert, compositore eclettico e raffinato che è stato anche un buon amministratore nelle vesti di direttore dell’Opéra Comique e della sede dell’Accademia di Francia a Villa Medici a Roma. Escales è una suite per orchestra scritta a Roma negli anni Venti del Novecento quando era borsista in quella Villa Medici, di cui divenne direttore in un differente stadio della sua carriera,  rappresentata con grande apprezzamento di pubblico nel 1924. Escales è un taccuino d’impressioni di un viaggio lungo il Mediterraneo in cui il compositore descrive i ‘colori sonori’ di tre importanti scali marittimi, quello della tratta Roma – Palermo, quello di Valencia e Tunisi – Nefta, la città oasi alle porte del Sahara. Riflette l’amore di Ibert per il Mediterraneo che diversi anni dopo lo porteranno a comporre le musiche del film Macbeth di Orson Welles , noto per le sue traversie e, per quanto girato in California ambientato in una Scozia molto mediterranea.

Restiamo sempre nel Mediterraneo con il secondo brano :il Concerto n. 5 “Egiziano” composto nei pressi del Tempio di Luxor nel corso delle frequenti vacanze in Nord Africa di Camille Saint-Saëns, in cui è stato solista una delle star del pianoforte, Jean–Yves Thibaudet, pianista di fama internazionale dalla personalità artistica multiforme e sfaccettata, specialista del repertorio francese. Articolato nella consueta struttura in tre movimenti della tradizione classica, il Quinto Concerto prende l'avvio con l'Allegro animato in fa maggiore 3/4, ove la prima idea viene enunciata dal solista in un'atmosfera fluida e trasparente sui pizzicati degli archi che, a loro volta, quando riprendono questo tema, sono accompagnati da una fitta gamma d'ornamenti e d'arpeggi del pianoforte. In un clima cullante fa poi la comparsa la seconda idea in re minore, essa pure intonata dal solista con atteggiamenti melodici più capricciosi che conducono l'andamento musicale, secondo una continua progressione, ad un vertice d'esaltazione lirica, ove si coglie, tra i cromatismi, qualche analogia con la celebre aria "Mon coeur s'ouvre à ta voix" del Samson et Dalila. Altrettanto ben costruito appare lo sviluppo sia negli scambi e contrasti drammatici sia nell'evoluzione in dialoghi polifonici del materiale motivico. Simmetrica è poi la ripresa, con il gioco delle modulazioni che riporta alla tonalità d'impianto, mentre all'assenza della cadenza sembra supplire la coda, ove il solista è in primo piano nel ricordare principalmente il secondo tema.
Sul carattere del secondo movimento, Andante in re minore in 3/4, c'è un'esplicita puntualizzazione di Saint-Saëns: "Domina qui l'eco d'una sorta di viaggio in Oriente, e l'episodio in sol evoca un canto d'amore nubiano che una volta ho udito intonare dai battellieri sul Nilo e che, per l'assenza d'un foglio di carta, annotai sul mio polsino inamidato". Nell'andamento nettamente rapsodico s'impongono gli elementi di natura descrittiva e pittoresca, nella fantasiosa animazione coloristica, magari "d'un Egitto un po' convenzionale d'un'animatissima via del Cairo in un giorno di fiera, con i canti monotoni di qualche popolano, i timbri malinconici di strumenti folclorici, la sensuale frenesia di danze millenarie, il tutto però visto con un colpo d'occhio occidentale" (Cortot). Tra i singolari effetti fonici di questo tempo si colgono interessanti echi di gamelan al pianoforte con risonanze armoniche di quinta, impiego di cadenze imperfette, di gradi alterati, oltre all'evocazione di melopee d'origine più moresca che egiziana e l'incidenza di un motivo secondario affidato all'oboe e ripreso poi dal pianoforte nell'abile gioco melodico tra le due mani sulla tastiera. Una turbinosa cadenza del solista si raccorda infine alla ripresa del moto ritmico iniziale per spegner poi ogni sonorità negli arpeggi sognanti d'una conclusione in pianissimo.
Il terzo movimento, Molto allegro, impone all'attenzione il prevalente suo incedere virtuosistico, dominato dal solista, con una carica vitalistica estroversa su cui s'innestano singolari sprazzi melodici. All'ampia enunciazione del primo soggetto subentra nella tonalità di sol maggiore la seconda idea, proposta inizialmente dall'orchestra. Nell'articolato sviluppo, nel serrato confronto dialogico tra il pianoforte e l'orchestra, nell'effervescente progressione ritmica e nel sagacissimo gioco imitativo, si esalta la maestria della scrittura strumentale di Saint-Saëns. Da ultimo vi è la ripresa della sezione iniziale secondo lo schema sonatistico, con l'aggiunta di numerose varianti pianistiche al materiale motivico originario, sino alla verve scatenata della coda, siglata da un vero e proprio tourbillon di crepitanti ottave.
E’ un lavoro di grande spessore che è stato eseguito magnificamente tanto che Jean–Yves Thibaudet, a grande richiesta del pubblico, ha concesso un bis di un piccolo brano.
Nella seconda parte il programma prosegue con il  trittico sinfonico per orchestra e coro femminile Trois Nocturnes di Claude Debussy e si conclude con la Suite n. 2 dal balletto. Due brani abbastanza noti e per questo motivo meno interessanti degli altri due. I notturni di Debussy sono un esempio di impressionismo. Francamente di  Daphnis et Chloé di Maurice Ravel preferisco il balletto completo ad una sintesi.