LETTURE/ Giuseppe Di Stefano:
una vita che non sia mai tardi di un tenore per caso
Il
musicologo Gianni Gori ha dedicato un pregevole studio alla vita e alla
carriera di "Giuseppe Di Stefano: voglio una vita che non sia mai
tardi". GIUSEPPE PENNISI 21 ottobre 2017 Giuseppe Pennisi
La copertina del libro
Il
musicologo Gianni Gori ha dedicato un pregevole studio alla vita e alla
carriera di Giuseppe Di Stefano: voglio una vita che non sia mai tardi (pp.168,
Zecchini Editore, euro 20). Gori chiama giustamente la voce di Di Stefano un
tesoro scoperto per caso.
"Pippo",
come lo hanno sempre chiamato amici, colleghi e fan, passa la giovinezza a
Milano, dove i genitori si trasferiscono alla ricerca di migliori condizioni
economiche e dove il padre trova un modesto impiego come calzolaio e la madre
fa la sarta. Viene educato in un seminario dei Gesuiti meditando per
qualche tempo di avvicinarsi al sacerdozio. Successivamente, grazie all'amico
Danilo Fois che lo trascina per ore e ore al loggione della Scala, inizia a
dedicarsi al canto, formandosi in modo frammentario presso vari maestri le cui
lezioni vengono pagate da Fois e da altri amici.
Nel 1938
vince un concorso di canto a Firenze. Allo scoppio della guerra viene arruolato
nell'esercito, finendo ripetutamente in cella per il suo comportamento. Grazie
ad un ufficiale medico che lo giudica "più utile all'Italia come
cantante che come soldato", sfugge allo sterminio del proprio
reggimento nella campagna di Russia ed ottiene una licenza per una
convalescenza fittizia poche ore prima di una nuova partenza per il
fronte. Inizia quindi un'attività come cantante di musica leggera ed
avanspettacolo con lo pseudonimo di Nino Florio, in quello che descrive come
"bombardamenti a parte, il periodo più bello della mia vita".
Trascorre l'ultimo periodo della guerra in Svizzera, dove ha l'opportunità di
esibirsi presso la radio di Losanna, alternando brani lirici e canzoni
(rimangono al riguardo alcune registrazioni acquisite dalla EMI). Quindi,
un "tenore per caso".
Tornato a
Milano dopo il termine del conflitto, riprende le lezioni di canto e, dopo
alcuni piccoli ruoli, debutta ufficialmente il 20 aprile il 1946 a Reggio
come protagonista di Manon, iniziando rapidamente un'intensa attività in
teatri di provincia e anche in sedi più importanti, come Genova (Rigoletto),Bologna),
Venezia (I pescatori di perle). Bruciando le tappe, inizia inoltre
la carriera internazionale inaugurando la stagione del Gran Teatro del Liceu di
Barcellona , ancora con Manon. Con il medesimo ruolo, il 15 marzo del
1947 debutta alla Scala, mentre il 25 febbraio del 1948 , come Duca
di Mantova nel Rigoletto, è la volta del Metropolitan di New York del
nel quale sarà una presenza fissa fino al 1952. Nel 1951, con La Traviata a
San Paolo del Brasile, diretta da Tullio Serafin, inizia il legame artistico
con Maria Callas
La sua a
carriera si sviluppa in tutti gli altri più importanti teatri del mondo, Tappe
fondamentali, rimaste nella storia dell'opera, sono alcune rappresentazioni
alla Scala, tra le quali Lucia di Lammermoor nel 1954 con la Callas e la
direzione di Herbert von Karajan, Carmen nel 1955, con Giulietta
Simionato e ancora Karajan sul podio, La traviata, nello stesso anno,
sempre con la Callas, nella storica edizione con la regia di Luchino Visconti, Tosca
nel 1958, in occasione del rientro alla Scala dopo diversi anni di Renata
Tebaldi.
Dalla
seconda metà degli anni sessanta inizia a sfoltire progressivamente gli impegni
operistici, privilegiando recital e concerti, dedicandosi anche
all'insegnamento e tenendo seminari e stage di canto. Ottiene inoltre un grande
successo in Germania come interprete di operette (che esegue in lingua
originale), in quel paese genere nobile e molto amato. Da segnalare anche la
partecipazione al Festival di San Remo con la canzone Per questo voglio te
Nel 1973 è ancora una volta partner di Maria Callas nella sua ultima
tournée mondiale, che ha un eccezionale successo di pubblico, ma che si
interrompe poi bruscamente.
Il saggio di
Gori non è una mera biografia che si aggiunge alle altre su Di Stefano. Ne
analizza la voce morbida, dall'inconfondibile timbro caldo e ricco e
notevolmente estesa, nonché per la dizione chiarissima, il fraseggio
appassionato, il modo interpretativo accattivante e la squisita levità dei
pianissimi e delle sfumature; tutti elementi che gli hanno anche consentito una
straordinaria ecletticità, che pochi altri tenori possono vantare, ma che ne ha
probabilmente abbreviato la tenuta vocale. Ho avuto il piacere di ascoltarlo
quando ero giovane; una voce incomparabile.
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