Ancora troppe insidie nelle obbligazioni
emesse dai governi
Occorre guardare al mercato obbligazionario ed al 'debito
sovrano' piuttosto che a quello azionario per anticipare i tempi della crisi
finanziaria prossima ventura e 'mettersi insicurezza'. È questa la conclusione
di un recentissimo rapporto della Deutsche Bank, conclusione che il mondo
accademico ripete da diversi mesi. Le crisi finanziarie internazionali erano
una rarità nel passato, quando la finanza era poco globalizzata e le monete
erano agganciate a valori 'reali'. Dopo la Seconda guerra mondiale, il sistema
di Bretton Woods si è rivelato, per decenni, un buon antidopo a crisi
finanziarie internazionali, grazie al regime di cambi fissi ed agli interventi
del Fondo monetario internazionale per smorzare le avvisaglie di incendi
nazionali che minacciavano di propagarsi. Dall’inizio degli Anni Settanta, con
la fine dei cambi fissi e la riduzione degli interventi Fmi, sono diventate
molto più frequenti. Il documento della Deutsche Bank ha una definizione molto
rigorosa di cosa è una crisi: una riduzione del 15% della valorizzazione del
mercato azionario, un deprezzamento del 10% della moneta o dei titoli di Stato,
un’insolvenza del debito pubblico. Altri autori (ad esempio, Ben Bernanke, Mark
Gertler e Simon Gilchrist) pongono l’accento sull’acceleratore del contagio
internazionali. Data la frequenza delle crisi dal 1973, un po’ tutti avvertono
che occorre stare in guardia: a dieci anni dalla crisi iniziata nel 2007-2008,
un’altra tempesta sarebbe in arrivo. Difficile definire il 'quando'.
Più chiaro esaminare il 'come'. L’origine non sarebbe il
mercato azionario, ma l’obbligazionario. L’ipotesi più frequente nella
letteratura specialistica di questi ultimi tempo è che il grimaldello
potrebbero essere i titoli di Stato, il cui mercato si è gonfiato in una prima
fase per frenare la crisi cominciata nel 2007-2008 ed in una seconda per non
fare mancare liquidità ai segnali di ripresa della produzione e
dell’occupazione, mantenendo bassi i tassi d’interesse. I conti delle banche
sono stracolmi di titoli di Stato a basso rendimento. Ciò riflette anche la
forte crescita del debito pubblico, specialmente nell’eurozona, tuttavia i
tassi d’interesse stanno crescendo negli Usa e la Bce europea potrebbe presto
chiudere i rubinetti del Quantitative Easing . Ciò potrebbe indurre le banche a
sbarazzarsi di titoli a basso rendimento ed a alto rischio emessi dai Paesi più
indebitati. Le famiglie lo stanno già facendo. La banche centrali sono
consapevoli del problema. Ma potrebbe bastare un sussulto (ad esempio, dal lato
dei cambi) per scatenare una nuova crisi.
Giuseppe Pennisi
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