sabato 7 ottobre 2017

1017.GLI EFFETTI DELLA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE SULLA STORIA MUSICALE RUSSA IN LA NUOVA ANTOLOGIA OTTOBRE 2017

1917. GLI EFFETTI
DELLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE
SULLA STORIA MUSICALE RUSSA
Premessa
Questo articolo esce nell’autunno del 2017, quasi contemporaneamente
ai giorni in cui ricorre il centenario della Rivoluzione d’Ottobre
che prese corpo in un Paese autocratico ed arcaico, sotto il controllo dello
zar Nicola II. Le forze rivoluzionarie erano divise in vari orientamenti:
dai bolscevichi (maggioritari all’interno del partito operaio socialdemocratico,
e guidati da Lenin) ai menscevichi (minoritari, e fautori di una fase
intermedia di «rivoluzione borghese»), dai «cadetti», che chiedevano riforme
costituzionali e il suffragio universale, fino ai socialisti rivoluzionari,
con forte radicamento nelle campagne.
Le sconfitte militari nella prima guerra mondiale e la crisi economica
fecero precipitare la situazione: nel febbraio 1917 una prima rivolta, partita
da San Pietrogrado, porta alla costituzione dei primi «soviet» (consigli elettivi
dei rivoluzionari); il governo provvisorio passa a L’vov e Kerenskij,
mentre lo zar abdica e Lenin torna in Russia, diffondendo le famose Tesi
di Aprile. I tumulti del luglio 1917 e l’arresto di molti bolscevichi favoriscono
la svolta conservatrice del governo e sono il preludio sia alla Rivoluzione
di Ottobre (24-25 ottobre del calendario giuliano, 6-7 novembre
di quello russo) sia alle durissime condizioni della pace di Brest-Litovsk
(3 marzo 1918). In Italia c’è stata sino ad ora poca attenzione a quelli che
il giornalista americano John Reed ha chiamato I dieci giorni che sconvolsero
il mondo, titolo del suo libro di successo e di film, sia russi sia americani,
di ancor maggiori esiti di critica nonché di botteghino. Le ragioni
sono molteplici: una delle principali è che una parte politica, che si è per
decenni riallacciata alla Rivoluzione del 1917, è ancora adesso imbarazzata
dal fatto che intellettuali, soprattutto giovani, entusiasti di quanto stava
avvenendo e ferventi sostenitori del nuovo che avanzava, siano finiti uccisi
dalla polizia staliniana o in atroci campi di concentramento in cui i nazisti,
occupata parte della Russia nella seconda guerra mondiale, trovarono ispirazione
per i loro «campi» e per la «soluzione finale» nei confronti degli
ebrei.
Sulla «Nuova Antologia» abbiamo spesso parlato dei nessi tra musica
e politica nella prima parte del Novecento, in particolare della musica tedesca
considerata «degenerata» dal nazismo, della musica «obliata» italiana
degli anni del fascismo. Della musica russa di quel periodo ci siamo interessati
unicamente con riferimento a Šostakovič, anche in quanto gran
parte delle partiture dell’epoca (specialmente di quelle sperimentali e «futuriste
» dei primi anni successivi alla Rivoluzione) si pensava fossero state
distrutte per sempre, così come lo erano stati i loro autori. Negli ultimi
trent’anni, invece, è stato compiuto un gran lavoro di ricostruzione di cui,
principalmente, ove ma non solamente, grazie al Ravenna Festival 2017
(25 maggio-22 luglio) si sono potuti ascoltare e vedere i frutti.
Occorre ricordare che, comunque, il periodo sovietico fu particolarmente
fecondo sotto il profilo musicale in quanto teatro in musica, concertistica
e balletto mantennero quel carattere di informazione, di comunicazione
e di espressione popolare che altrove venivano soppiantati dal
cinematografo e, dopo la seconda guerra mondiale, dalla televisione. Non
c’è una Repubblica dell’uRSS che non abbia un suo teatro di opera e balletto
ed una sua sala di concerto. Dove non c’erano ai tempi dell’Impero
zarista vennero costruiti ex novo: ad esempio, nel 1933 sorgono quelli
della Bielorussia, dell’uzbekistan, e del Kazakistan, nel 1938 quello della
Bashkiria, nel 1939 quello della tataria, nel 1941 (ossia in pieno sforzo
bellico) quello del turkmenistan, nel 1942 quello del Kirghizistan. E via
discorrendo. un’attività gigantesca a cui si accompagna una vera e propria
febbre di nuove composizioni. tra il 1939 ed il 1945, vengono rappresentate,
in prima mondiale, quarantasei opere e ventidue balletti. tra il 1948
ed il 1957 addirittura centoventi opere, cinquantacinque balletti e settanta
commedie musicali. Soltanto dagli anni Settanta il ritmo ha iniziato a flettere.
un fervore analogo c’è stato per la concertistica.
Si tratta di musica poco conosciuta in Europa Occidentale. Solo una
parte, non molto grande, segue i canoni del «realismo socialista» imperante
a mosca. Si possono distinguere due vasti generi: i lavori «tradizionali»
basati su stilemi essenzialmente internazionali (in gran misura, quelli del
«verismo» quale visto da Giancarlo menotti e da altri compositori d’opera
americani dell’epoca, come Virgil thompson o Carlisle Floyd – naturalmente
i russi non sapevano nulla degli americani e viceversa) e quelli
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«nazionali» basati invece su caratteristiche musicali delle singole Repubbliche,
con intrecci basati su noti racconti popolari e musica che incorpora,
pur nel contesto del «realismo socialista», elementi folcloristici quali danze
e canzoni locali. C’è anche innovazione, soprattutto nei primi anni, più a
Leningrado che a mosca. Pochi ricordano ad esempio che Šostakovič fu
un grandissimo compositore di jazz e che a Prokof’ev si debbono importanti
capolavori a carattere «futurista».
Questo articolo prende l’avvio dal centenario della Rivoluzione d’Ottobre
quale portato a conoscenza di un pubblico vasto ed internazionale
al Ravenna Festival. Occorre sottolineare che in occasione del Ravenna
Festival, gli organizzatori della manifestazione hanno pubblicato un volume
che rappresenta una fonte preziosa di analisi e saggi in italiano sulla musica
di quel periodo.
Si esaminano, poi, opere di «dissidenti» messe in luce dall’autorevole
Istituzione universitari dei Concerti (IuC) dell’università «La Sapienza»
di Roma, o da altri importanti enti musicali nonché alcuni lavori che, pur
se poco frequentemente, circolano da alcuni anni anche in Italia. Si conclude
con il «caso Prokof’ev», auto-esiliatosi quando la Rivoluzione cominciò
a mostrare il suo vero volto, tornato in Patria quando la seconda guerra
mondiale stava per iniziare, considerato, dai russi, come il maggior cantore
della Grande Guerra Patriottica (come venne chiamata nell’uRSS la seconda
guerra mondiale), finito in disgrazia e morto lo stesso giorno di Stalin
(tanto che al suo decesso vennero dedicate poche righe sulla stampa sovietica
e mondiale).
La Russia del 1917 al Ravenna Festival
Se Pesaro può essere considerata la Bayreuth sull’Adriatico, con il suo
festival rossiniano, Ravenna ne è diventata la Salisburgo. Grazie a una
sequenza di festival per tutto l’anno. Il più importante è quello estivo (che
dura circa due mesi e utilizza quasi dieci luoghi di spettacolo, dal magnifico
teatro Alighieri al grande auditorium De André alla Rocca Brancaleone a
teatri di città e cittadine vicine, nonché nelle Basiliche bizantine). È un
festival multidisciplinare ma tematico (nel 2016 imperniato su mandela,
nel 2017 sulla musica russa dei primi anni della Rivoluzione e sulla prima
«cantica» della Divina Commedia (in Appendice I si elencano i temi sin
dalla nascita della manifestazione). In ottobre-novembre, giunge una Trilogia
d’autunno (tre opere o balletti su un argomento preciso). In inverno
e primavera si alternano una stagione lirica di tradizione, una stagione di
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 195
prosa e una stagione di concerti. Ravenna manifestazioni – l’azienda che
gestisce il complesso programma (oltre 200 spettacoli – quest’anno 160
solo nel festival estivo in una città di 150mila abitanti) – ha una cinquantina
di sponsor e collaboratori. Stime econometriche indicano che un euro di
contributo pubblico ne produce otto di valore aggiunto all’economia del
territorio. In breve, una città che ha fatto della cultura una delle sue maggiori
attività produttive, ove non la più importante.
Il percorso verso il 2021, settimo centenario della morte di Dante Alighieri
a Ravenna, presenta un evento unico: la nuova produzione del Festival
con il teatro delle Albe, per 34 recite, Inferno di marco martinelli ed
Ermanna montanari guidano gli spettatori attraverso anime dannate e personaggi
infernali. La tradizione medievale della sacra rappresentazione è
stata riportata a nuova vita in una dimensione «corale» di dimensioni gigantesche,
coinvolgendo centinaia di cittadini che si muovono in processione
dalla tomba del Poeta fino al teatro Rasi, una piccola sala, ricavata da
una Chiesa abbandonata secoli orsono, che contiene, per Inferno, ottanta
spettatori per rappresentazione. In effetti tutta la città diventa Inferno con
circa 600 attori-coristi. È uno spettacolo itinerante prima d’approdare al
teatro Rasi. Lo schema, che ha avuto un grande successo, verrà ripreso,
nei prossimi anni, per Purgatorio e Paradiso.
Il Festival ha sempre più una caratura internazionale anche a ragione
del concerto annuale su Le vie dell’amicizia che dal 1997 viene tenuto a
Ravenna ed in una sede estera; quest’anno a teheran. L’elenco dei concerti
su Le vie dell’amicizia e sedi è in Appendice II.
Questa estate e questo autunno, i due festival hanno tematiche differenti:
il festival estivo (25 maggio-22 luglio) esplora il rapporto fra arte e
potere nel centenario della Rivoluzione russa, attraverso le suggestioni del
romanzo Il Rumore del Tempo di Julian Barnes ispirato alla figura di Šostakovič
e della raccolta di prose e poesie brevi di majakovskij. Inizia anche
il percorso dantesco (uno dei temi fondanti della manifestazione sino al
2021) puntando l’accento, come si è visto, sul primo cantico, l’Inferno. Il
festival autunnale propone, invece, una «trilogia» novecentesca con tre
opere rappresentative del «verismo»: Cavalleria Rusticana, Pagliacci, Tosca.
C’è un nesso tra il festival estivo e quello autunnale: il «verismo» che affascinò
ed affascina il pubblico russo, può essere visto come un anticipatore
del «realismo socialista» della musica russa di gran parte del Novecento.
C’è un nesso anche tra Inferno e la Rivoluzione d’Ottobre perché quest’ultima
è vista dall’ottica di coloro che hanno pensato ad un cambiamento
radicale ma in senso liberale e libertario mentre lo stalinismo ha avuto in
serbo per loro l’inferno dei gulag.
196 Giuseppe Pennisi
Il festival estivo si dipana fra rivoluzioni musicali ed artistiche. Spicca
la prima italiana della leggendaria opera lirica «futurista» Vittoria sul sole
con il libretto di Aleksej Kručënych, con la musica di michail matjušin e
con scene e costumi di Kazimir malevič. Vittoria sul sole è considerato il
capolavoro assoluto dell’avanguardia russa. un’opera semi perduta, realizzata
in Finlandia nel 1913 ritrovata proprio mentre lo stalinismo, con i suoi gulag,
stava arrivando al potere. La sezione «russa» del festival conta anche direttori
come Yuri temirkanov e Semyon Bychkov, rispettivamente sul podio delle
Orchestre Filarmoniche di San Pietroburgo e di monaco di Baviera e con
musiche del grande sinfonismo russo (Čajkovskij, Šostakovič).
In effetti un solo spettacolo è direttamente legato al 1917 ed è intitolato
all’anno della Rivoluzione. È stato commissionato dal Festival e si vedrà
all’Arena del Sole di Bologna ed in altri teatri dal prossimo autunno; è
stato concepito per circuitare. Quindi è leggero: un solo atto di musica e
brani recitati per poco più di un’ora e mezzo. Rievoca il «futurismo rivoluzionario
russo» che si collegava a quello in atto in Italia ed altri Paesi
dell’Europa occidentale (Francia, Germania) e del fascino che ebbe, nel
periodo della Rivoluzione, su numerosi intellettuali dell’Impero zarista in
disfacimento. un entusiasmo di breve durata poiché, solo dopo pochissimi
anni, la scure stalinista piombò proprio sui migliori scrittori, poeti e musicisti
che avevano inneggiato alla Rivoluzione. Nel pomeriggio della prima
rappresentazione, è stata tenuta una conferenza su questi temi da Fausto
malcovati dell’università di milano.
Nel corso del Festival, numerosi di questi lavori (tra cui la già citata
opera Vittoria sul Sole) vengono eseguiti, spesso per la prima volta in
tempi moderni. Quindi, il collage «1917» utilizza lo stile della commedia
dell’arte ripreso, come è noto, dal futurismo anche italiano e soprattutto
tedesco (si pensi ai lavori teatrali di Ferruccio Busoni), con magnifiche
immagini animate (si pensi nelle arti figurative alla pittura di malevič, Kandinskij,
Chagall, Rodčenko, tatlin). Ciò rende efficacemente l’entusiasmo
dei giovani rivoluzionari. Nell’ultima scena si assiste alla loro esecuzione
da parte della polizia staliniana. La concezione è di Davide Sacco e Agata
tomsic su testi di majakovskij, Blok, Chlebnikov, Esenin, Gers’enzon,
Pasternak. molto belle le animazioni «futuriste» di Gianluca Sacco. tra le
musiche che accompagnano il melologo di Agata tomsic, il commovente
Quartetto n. 8 in do minore, op. 110 di Šostakovič del 1960 dedicato alle
vittime del fascismo, del nazismo e dello stalinismo.
Il Cuneo Rosso, con al piano Daniele Lombardi e musiche (oltre che
dello stesso Lombardi) di Arthur-Vincent Lourié e Aleksandr Vasil’evič
mosolov mostra i complessi nessi tra i vari tipi di «futurismo» e la relativa
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 197
freddezza nei confronti di Filippo tommaso marinetti (considerato il
«padre» ed il maggior ideologo del «futurismo» in Italia ed in Francia)
quando arrivò a mosca. Per i russi il vero «padre» del futurismo era stato
Arthur-Vincent Lourié nato Sergej – il nuovo nome era un omaggio a Schopenhauer
e a Van Gogh. Lourié ha composto lavori pianistici di vera avanguardia
ma finì con lo sperimentare il gulag ad emigrare prima a Parigi e
poi a New York (perché era ebreo e la Francia venne occupata dai nazisti).
Le sue musiche sono molto più dirompenti delle musiche jazzistiche per
piano di Šostakovič.
Più vicino ai nostri tempi l’Omaggio a Andrej Tarkovskij in un concerto
per violino e pianoforte del Duo Gazzana su musiche di Bach, Busoni,
Pārt, Syl’vestrov, Körvits e messiaen. In queste musiche, utilizzate nelle
colonne sonore del cinema di tarkovskij, si passa dai clamori della Rivoluzione
ai silenzi spesso compenetrati di dolore impregnati da una spiritualità
profonda che si fa immagine e spazio sonoro nei lavori cinematografici
di tarkovskij.
Lo si avverte anche nei confronti tra cori su temi strettamente religiosi
messi a raffronto quali il coro del Patriarcato Ortodosso di mosca, la Corale
Luterana e la musica del Rito tridentino, il Chicago Children Choir. Il primo
è caratterizzato da armonia e sonorità lontane nello spazio e nei tempi.
Il secondo, sul versante cattolico post-tridentino, mostra i nuovi, per l’epoca,
procedimenti polifonici elaborati da Palestrina e lo confronta con la
corale di Lutero Ein feste Burg. Il terzo porta alla città più caratteristicamente
multiculturale e multirazziale dei giorni nostri.
Interessante a riguardo per gli sviluppi «1917-2017 la lezione della
storia» un dialogo, tenuto nell’ambito del Festival, nella biblioteca Classense,
tra l’Arcivescovo cattolico di mosca mons. Paolo Pezzi, la docente
di filologia presso l’università Statale di mosca, la poetessa Ol’ga Aleksandrovna
Sedakova, e il fisico nucleare e teologo, professore presso l’università
Statale di Kharkov in ucraina, Aleksandr Filonenko. Il dialogo tra
tre personalità così forti e così differenti – Filonenko, ad esempio, è cresciuto
nell’ortodossia sovietica ma si è convertito al cattolicesimo dopo la
lettura delle lettere di Padre Pavel Florenskij dal gulag – ci porta ad una
comprensione più completa del mondo quale vagheggiato dagli intellettuali
del 1917 (e dintorni) e quale invece diventato, nonché della difficile strada
per tornare a relazioni sociali normali. A Padre Pavel Florenskij è stato
dedicato anche un pomeriggio con una voce recitante (Elena Bucci) ed un
conferenziere (Natalino Valentini).
D’altro lato, il Balletto Nazionale di Cuba creato da Alicia Alonso nel
1949 propone brani classici di Čajkovskij, minkus e Gottschalk che, com-
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posti per teatri Imperiali, sono rimasti in repertorio anche durante gli anni
in cui, con lo stalinismo, imperava il «realismo socialista». trattandosi di
favole, poco soggette a travisamenti politici, andavano bene in tutte le stagioni
con le coreografie originali.
In sintesi, il Ravenna Festival 2017 ha offerto un’efficace rassegna del
mondo musicale e culturale della Russia nel centenario della Rivoluzione
ed ha fatto conoscere musiche di cui in Occidente si ignorava l’esistenza.
mostra soprattutto che la musica russa, avvicinatasi a quella occidentale
nella secondo metà dell’Ottocento, ebbe, nella prima fase della Rivoluzione,
un ulteriore rapido avvicinamento (specialmente alle correnti più innovative)
prima di distaccarsene su impulso del Partito Comunista, e di Ždanov,
il potente Commissario alla Cultura, in particolare.
La Russia musicale della dissidenza
un assaggio della musica della «dissidenza» ci è stato offerto dall’uIC,
come già menzionato che ha commemorato la Rivoluzione, all’inizio del
1917, con un concerto di Jurij Abramovič Bašmet. Bašmet è un violinista
e direttore d’orchestra contemporaneo in piena attività, specialmente in
Italia, dove tra l’altro dal 1996 è direttore musicale della rassegna Elba,
Isola Musicale d’Europa in cui è anche presente con l’Orchestra dei solisti
di mosca dal 2013, è poi direttore artistico del Festival musicale sulle vie
del Prosecco che si tiene alla fine di agosto a Conegliano (treviso) e nelle
principali località artistiche della marca trevigiana. Nel 2000, l’allora Presidente
della Repubblica Giorgio Napolitano gli ha conferito l’onorificenza
di Commendatore della Repubblica Italiana. Nelle sue esibizioni suona
una viola costruita dal liutaio milanese Paolo Antonio testore nel 1758.
Le musiche scelte da Bašmet per il concerto romano non accettano i
dettami del «realismo socialista». Le Visions fugitives op. 22 di Prokof’ev
(eseguite nella versione per strumenti ad arco di Rudolf Baršaj) furono
scritte tra il 1915 e il 1917, quindi ancora prima della Rivoluzione d’Ottobre.
E già mostravano la sua «dissidenza». Quasi contemporaneamente,
a Siena, nell’ambito del Premio Internazionale Chigiana, il concerto conclusivo
del concorso veniva aperto e chiuso da due brani di Prokof’ev indicativi
rispettivamente del suo stile giovanile: la celebre Sinfonia Classica
del 1917, già un segno di ribellione nei confronti del «realismo socialista»
di Ždanov, e la Sonata per violoncello e orchestra del 1949, dopo il suo
ritorno in Russia nel 1936 al termine di una permanenza all’estero quasi
ventennale, una sonata raffinatissima ma lontana da ogni intento politico.
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 199
Non è certamente un’opera celebrativa della Rivoluzione anche la Sinfonia
da camera op. 110 di Dmitrij Šostakovič, una trascrizione per piccola
orchestra del già citato Quartetto n. 8, dedicato «alle vittime del fascismo
e della guerra» (di cui si è già parlato), non alle vittime di una parte sola,
ma a tutte le vittime, come chiariscono queste parole del compositore:
«Provo eterno dolore per coloro che furono uccisi da Hitler, ma non sono
meno turbato nei confronti di chi morì su comando di Stalin».
Risale ai tragici anni in cui in Europa infuriava la guerra anche la Sinfonia
da camera op. 14, scritta nel 1940 da Georgij Sviridov, allora appena
venticinquenne. Non è certamente un’opera «di regime» nemmeno il Concerto
“For Three” di Alfred Schnittke, scritto nel 1994 per Bašmet e per
due altri grandi strumentisti, Gidon Kremer e mstislav Rostropovič, che
vivevano in esilio come il compositore stesso. In questa occasione i solisti
Andrei Poskrobko al violino, lo stesso Yury Bašmet alla viola e Alexei Naidenov
al violoncello.
Numerosi musicisti russi emigrarono all’estero, alcuni per diversi anni
(Prokof’ev), altri per tutta la vita (Stravinskij), altri sino alla fine del regime
comunista e dell’uRSS (Rostropovič). Il fenomeno fu analogo a quello di
numerosi musicisti tedeschi di fronte al nazismo ma di più lunga durata.
In Russia e nelle altre Repubbliche dell’uRSS (ed ora nella Comunità degli
Stati Indipendenti) ci fu una dissidenza musicale interna e c’è ancora dopo
il crollo del muro di Berlino. Il fenomeno riguarda tanto la musica «colta»
quanto quella che potrebbe essere chiamata popolare.
Non si esprime in opere liriche e sinfoniche che richiedono grandi organici
e sono facilmente censurabili. ma in canti e canzoni di cui spesso esiste
solo uno spartito riassuntivo, non una vera e propria partitura. Nella Russia
contemporanea, quasi ogni manifestazione pubblica contiene l’interpretazione
dal vivo di canti che potrebbero essere definiti di protesta. Dalla fine
della seconda guerra mondiale, le canzoni di protesta hanno subito una
sostanziale evoluzione. Passando dai brani di autori ignoti che venivano
intonati dai prigionieri dei gulag di Stalin alle band punk dei nostri giorni
di ispirazione americana ed afro-americana. Durante l’era sovietica, lo Stato
totalitario incoraggiava il diffondersi di canzoni di protesta che criticavano
ad esempio l’imperialismo e il militarismo americano, lo sfruttamento della
classe operaia nel sistema capitalista o le dittature di tipo militare, che negavano
i diritti dei cittadini. tali canzoni venivano spesso intonate con l’intenzione
opposta: quella di critica all’autoritarismo del Governo.
A quest’ultimo genere appartiene ad esempio la canzone dedicata al
cileno Victor Jara (Victor Lidio Jara martínez; 1932-1973), poeta, scrittore,
regista teatrale, attivista politico e membro del Partito Comunista cileno,
200 Giuseppe Pennisi
violentemente assassinato durante un golpe organizzato dal generale Augusto
Pinochet. La canzone porta la firma di Igor Luchenok, compositore
ufficiale sovietico a cui si devono numerosi altri brani intrisi di ideologia
sovietica e dedicati a Lenin, al patriottismo e alla guerra.
Canzoni di questo genere coprivano ipocritamente che l’uRSS era, a
sua volta, una dittatura, che violava i diritti umani di base. Nell’uRSS
vivevano molti dissidenti, ma la loro protesta era confinata alle cucine
delle loro abitazioni, dove nottetempo, insieme a pochi amici, discutevano
sottovoce dell’ingiustizia e della repressione del sistema sovietico. Per non
rischiare il carcere, il messaggio delle canzoni di protesta veniva nascosto
tra le righe. Le prime canzoni di protesta anti-sovietiche divenute famose
dopo la seconda guerra mondiale furono probabilmente Vaninsky Port (Il
porto di Vanino), scritta da un autore ignoto prigioniero dei gulag e Tovarish
Stalin (Compagno Stalin), di Yuz Aleshkovsky (nato nel 1929), scrittore
e poeta che nei primi anni Cinquanta fu spedito nei gulag e nel 1979,
in seguito alla pubblicazione in Occidente del testo della sua canzone, fu
costretto a lasciare il Paese. Sarebbe auspicabile che in questo 2017 venissero
eseguite e registrate.
Negli anni Sessanta e Settanta nuovi autori e interpreti si affacciarono
alla scena musicale underground: erano attori, sceneggiatori, ingegneri,
dottori e altri rappresentanti dell’intellighenzia sovietica, che interpretavano
i loro brani accompagnandosi con la chitarra elettrica, esibendosi in case
private e nei circoli culturali.
A loro fu dato il soprannome di Bardy, ovvero cantautori che si accompagnano
con la chitarra. tra i più famosi, segnaliamo Aleksandr Galich
(1918-1977), che pagò il suo macabro senso dell’umorismo e il forte connotato
politico delle sue canzoni con il divieto di esibirsi in pubblico e di
pubblicare le sue opere teatrali e l’estromissione dal sindacato degli autori.
Nel 1974 Galich decise di lasciare il Paese. morì a Parigi nel 1977, in circostanze
misteriose.
Negli anni Ottanta emerse un nuovo stile musicale, nel quale musicisti
appena ventenni incidevano canzoni dalle sonorità simili a quelle del rock,
del punk, del blues, della new wave e della musica elettronica occidentale,
limitandosi però alla lingua russa come principale strumento di espressione.
tra gli interpreti di spicco di quegli anni, ricordiamo i televizor, un
gruppo di Leningrado guidato da mikhail Borzykin. Le canzoni della band
si distinguevano da quelle degli altri gruppi alternativi russi, perché esprimevano
una protesta politica. A dispetto della censura, i televizor continuarono
a interpretare i loro brani, e per questo motivo per sei mesi fu
loro vietato di esibirsi dal vivo nel Rock Club di Leningrado.
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 201
In Russia il panorama della musica di protesta appare nuovamente
mutato: a scrivere e interpretare i brani sono giovani musicisti che hanno
preso le distanze dalla tipica carriera dello show business, tradizionalmente
perseguita all’insegna della fama e del successo. Sino a pochi anni fa, la
scena musicale moscovita era dominata dalle klubnaya vecherinka (feste
da discoteca), dove gruppi rock, pop e hip hop intrattenevano un pubblico
modaiolo e annoiato, composto dai «nuovi ricchi»: uomini d’affari e imprenditori.
La Marsh Nesoglastnikh (marcia dei dissidenti) svoltasi a mosca il
16 dicembre 2006 fu la prima di una serie di manifestazioni analoghe,
organizzate in diverse città russe. Ben presto ai dissidenti si unirono anche
dei musicisti, che interpretavano i propri brani sul palco. mikhail Borzykin,
leader dei televizor, partecipò alla marcia nel marzo 2009 a San Pietroburgo,
dove si esibì con il brano Zakolotite podval: una canzone di protesta
contro il governo, tollerata data la volontà del Governo russo di essere
accettato «alla pari» con i Governi occidentali in organi come il G8.
Interessante notare che per il centenario della Rivoluzione d’Ottobre
il compositore Dmitri Kourliandski ed il regista Boris Yukhananov hanno
concepito uno spettacolo di musica elettronica e proiezioni che ha debuttato
ad Amsterdam ed è ora in giro per il mondo (la tappa italiana è stata
a Vicenza). Il lavoro, intitolato Octavia, Trepanation ha un’impronta metafisica
e visionaria, in linea con la tradizione culturale russa. Si oscilla tra
epoche diverse: la Roma di Nerone e la Russia di Lenin e Stalin. La scena
è dominata da un enorme cranio di Lenin, la cui calotta diventa il palcoscenico.
Ci sono quasi cento artisti in scena, tra musicisti, cantanti, attori,
mimi, atleti e ballerini. L’accostamento tra Nerone, da un lato, e Lenin-
Stalin, dall’altro, è senza dubbio dissacrante nei confronti di ottanta anni
di storia e cultura sovietica. ma il «colossal» (in programma a mosca ed
altre città della Federazione Russa) non contiene riferimenti alla Russia
di Putin.
Dal futurismo al «realismo socialista»: l’andata e ritorno di Prokof’ev
Intendo concludere questo articolo con una nota su Sergej Prokof’ev.
Fu, tra i maggiori musicisti russi del Novecento, il solo appartenente
all’avanguardia, nonché ai circoli più libertari, che emigrò per vent’anni
in vari Paesi europei e negli Stati uniti per tornare poi in Patria, accolto
trionfalmente ma costretto a perdere la moglie (inviata in un gulag prima
e poi obbligata a tornare in Spagna, suo Paese natale) ed a morire in povertà,
aiutato, nell’ultima fase della vita, dalla carità degli amici.
202 Giuseppe Pennisi
L’interessante monografia di Piero Rattalino su Prokof’ev, Sergej Prokofiev
la vita, la poetica, lo stile (zecchini Editore, 2005) è forse il lavoro
italiano più completo sul compositore. «Se si scorre il catalogo delle opere
di Prokof’ev – scrive Rattalino – si capisce subito quanto vasti fossero i
suoi interessi di creatore: opere, musiche di scena, sinfonie, concerti, lavori
sinfonico-corali, da camera, solistici. Nessun grande compositore del Novecento,
e nemmeno dell’Ottocento, presenta una così ampia sventagliata di
generi trattati o, meglio, nessuno ha lasciato tracce profonde in ogni campo
della musica. Per trovare un altro Prokof’ev bisogna tornare al Settecento
ed imbattersi in mozart… Entrambi, ben consci del loro genio, arroganti
in quanto uomini. tormentati entrambi in vita. Entrambi indomabili,
entrambi, in senso lato, libertini di spirito».
Prokof’ev veniva dalla borghesia agiata di provincia e, già molto giovane,
viaggiò con la madre (una pianista) in Europa in lungo ed in largo
prendendo contatti con la musica d’avanguardia dell’epoca, in particolare
di Francia ed Italia. Parlava correntemente il francese, segno di appartenenza
al ceto dirigente.
Aveva un temperamento fortemente drammatico: compose la prima
opera all’età di nove anni ed a circa venticinque anni aveva completato un
capolavoro come Il giocatore programmata per andare in scena al mariinskij
di San Pietroburgo, uno dei maggiori teatri Imperiali, nel 1916-17 con la
regia di Vsevolod mejerchol’d. un’opera tratta dalla breve novella di Dostoevskij
ma mordace e beffarda, nonché chiaramente d’impianto «futurista»,
come si è visto nel 2008 quando è stata rappresentata alla Scala in un’efficace
co-produzione con la Staatsoper di Berlino. Il progetto del mariinskij
non andò in porto; già, sulla base delle prove, la stampa locale scrisse articoli
«compiangendo gli abbonati costretti ad ascoltare tale musica». Le
fortune di mejerchol’d (entusiasta di Prokof’ev così come lo era di Šostakovič)
declinarono gradualmente sino a quando nelle purghe staliniane
venne condannato ad essere «estraneo ed ostile alla società sovietica» e
alla fucilazione.
Prokof’ev percepì che il nuovo clima non era quello che aveva sognato,
con majakovskij ed altri nella San Pietroburgo dell’inverno 1917. Era ideologicamente
tiepido, ma diventò freddo. In una prima fase, si ritirò in campagna
a Kislovodsk, una cittadina nel Caucaso meridionale che era stata
residenza di musicisti e artisti in periodo zarista e lo era ancora nel 1917-
18. Sperava di trovare lì la tranquillità per comporre serenamente. Durò
pochi mesi, Kislovodsk venne occupata dai bolscevichi. munito di un salvacondotto,
Prokof’ev partì per mosca in treno (un faticoso viaggio di otto
giorni) dove, dopo un ultimo incontro con majakovskij, espletò le proce-
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 203
dure per un espatrio che sarebbe dovuto essere temporaneo ma durò sino
al 1936 (circa quattro lustri).
In questo lungo periodo in Europa Occidentale e negli Stati uniti,
compose lavori di vera avanguardia che poco o nulla avevano a che fare
con il percorso iniziato nella musica dell’uRSS. Di questo periodo, il lavoro
per il teatro più noto è L’amour des trois oranges che debuttò a Chicago
nel 1931 ma dopo quattro anni era in scena a San Pietroburgo ormai diventata
Leningrado.
È opera che viene vista di rado in Italia. Ricordo un allestimento al
maggio musicale (ma in versione italiana L’amore delle tre melarance) nel
1979; è stata al Carlo Felice di Genova nel febbraio 2007; si è ascoltata una
versione concerto (in traduzione in russo) durante una tournée del teatro
di San Pietroburgo in Italia nel 1997; ho avuto modo di gustare un’edizione
godibilissima, ma in tedesco, nel dicembre 2008 alla Komische Oper di Berlino
dove viene ripresa per una dozzina di repliche ogni anno da circa quattro
lustri. Ricordo una co-produzione recente del Festival di Aix-en-Provence e
del Real di madrid che ha girato mezza Europa, ma non si è vista in Italia.
un’edizione molto ricca si è vista nel 2014 al maggio musicale Fiorentino
ed è programmata al San Carlo nella stagione 2017-2018.
È approdata alla Scala solo nel 1947, mentre aveva debuttato, con
enorme successo a Chicago nel 1921, ed era stata concepita nel 1917-18,
prima che l’autore scappasse dalla Russia, facendo un viaggio complesso:
ferrovia transiberiana sino a Vladivostock, transatlantico sino alla Baia di
tokyo, e di nuovo transatlantico sino a San Francisco, da dove in treno a
New York. tra tanti viaggi, il testo si perse e venne riscritto in francese
quando, dopo altre traversie, debuttò a Chicago (Prokof’ev, autore anche
del libretto, aveva poca dimestichezza con l’inglese).
Il compositore era molto giovane ma aveva al suo attivo già lavori di
cui un’opera, Il giocatore, in cui metteva in berlina la decadente società
zarista. L’amour des trois oranges è frizzante come uno champagne di
grande qualità. Sotto le vesti di una fiaba scombinata e dadaista (tratta da
Carlo Gozzi), mostra il processo di evoluzione di un giovane principe alla
piena maturità e fornisce indicazioni su come rottamare le classi dirigenti
che hanno portato l’Europa alla Grande Guerra, senza risparmiare da
ironia e sarcasmo i rivoluzionari bolscevichi, nonché, ovviamente, il «realismo
socialista», il verismo, il post-wagnerismo e lo stesso melodramma
italiano. Il libretto è una satira pungente del potere e dei sicofanti (specialmente
gli intellettuali) che lo contornano.
Prokof’ev si era proposto di creare un teatro in musica basato su fantasia,
ironia, azione e divertimento, tale da poter gareggiare (presso il pub-
204 Giuseppe Pennisi
blico) con i film di Charlie Chaplin e dei Fratelli max. Quindi, un po’ «futurista
» ed un po’ «dadaista». E con un ritmo molto rapido (da «comica finale
»). Il maestro concertatore ha il difficile compito di dirigere, da un lato,
un’orchestra di dimensioni quasi wagneriane dove su un tappeto sinfonico
si inseriscono il jazz, la musica afro-cubana, melodie popolari russe e, da
un altro, di tenere un buon equilibrio con un palcoscenico dove in due ore
si succedono (in undici quadri) avventure strampalate con ben ventisei cantanti
in grado di recitare, danzare, fare piroette e dare prova di atletismo.
Dopo L’amour des trois oranges, Prokof’ev riprese la propria carriera
in Europa di compositore e di concertista. Si trasferì, insieme alla madre,
sulle Alpi Bavaresi per oltre un anno, ove si concentrò principalmente sul
lavoro di composizione, dedicandosi all’opera L’angelo di fuoco (vista nel
1999 alla Scala e nel 2012 al Regio di torino), ma mai rappresentata quando
era in vita; la prima mondiale ebbe luogo a Venezia nel 1955. È lavoro
interessantissimo dal punto di vista sia estetico, sia musicale. Prokof’ev
infatti contrappone i principi del bene, rappresentati da un tema diatonico,
a quelli del male, rappresentati dal tema ottotonico, usato per esempio
anche da Stravinskij. I suoi ultimi lavori vengono sentiti anche in Russia e
Prokof’ev riceve i primi inviti a tornare in Patria, tuttavia preferisce investire
ancora sulla sua carriera europea. Nel 1923 sposa la cantante spagnola
Lina Lubera e si trasferisce nuovamente a Parigi.
L’angelo di fuoco è un’opera carica di simbolismo e misticismo con
personaggi come una monaca devota, una strega isterica, Faust e mefistofele,
un Inquisitore. un mondo cupo e sconvolto quello che arde nell’Angelo
di fuoco. È la storia di una tragica ossessione, ambientata nelle nere inquietudini
della Germania del 1500, tra duelli, premonizioni, stregonerie: protagonista
è Renata, giovane che, fin da bambina, veniva affiancata da
madiel, suo angelo custode, per essere avviata ad una vita casta e di santità,
ma che poi si invaghisce dello stesso che, irato, si trasforma in una colonna
di fuoco. tra duelli, rifugi in convento, e visioni demoniache, fino alla condanna
al rogo da parte dell’Inquisizione per essersi congiunta carnalmente
con il Demonio. La veemenza allucinata della musica ha imposto a L’angelo
di fuoco l’immeritato destino di una prima rappresentazione postuma, a
distanza di ben trent’anni dal suo completamento e a due dalla morte del
compositore. Il testo sparì infatti nei cassetti di un editore e fu riscoperto
solo nel 1955. Colpa anche delle difficoltà, con una delle parti di soprano
più massacranti dell’intera storia della musica.
Negli Anni trenta comincia il graduale ravvicinamento alla madre
Patria, con cui non aveva mai del tutto rotto i ponti, nonostante la sua
poetica musicale fosse quanto mai distante dal «realismo socialista». Inizia
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 205
a comporre su commissione di grandi teatri russi (ad esempio, il balletto
Romeo e Giulietta), ad effettuare tournée in Russia, dove viene accolto
trionfalmente. Per Prokof’ev, la nostalgia del Paese in cui è nato e cresciuto
è senza dubbio l’elemento trainante. Per i dirigenti della politica musicale
sovietica era un grande successo d’immagine riportare in Patria un musicista,
mondialmente famoso, e farlo proprio negli anni in cui «i processi di
mosca» non gettavano buona luce sull’uRSS.
Prokof’ev dovette pagar pegno. La sua prima opera dopo il ritorno in
Patria, fu Semën Kotko che è stata vista un paio di serate alla Scala all’inizio
degli anni Settanta nell’ambito di una tournée del Bolshoi e proposta come
opera inaugurale della stagione 2009-10 del teatro Lirico di Cagliari. Rientrato
in Russia dopo diciassette anni all’estero, Prokof’ev scelse uno dei romanzi
più apprezzati da Stalin (Io, figlio del popolo lavoratore) di Valentin Kataïev.
Negli ultimi mesi della prima guerra mondiale, il proletario soldato Kotko
torna nel suo villaggio ucraino, dove i possidenti tramano contro «i rossi»
(collaborando, più o meno apertamente, con i tedeschi). Kotkto è innamorato
della bella Sophia che lo ricambia. Il villaggio viene invaso da tedeschi (pur
in ritirata) che fanno stragi di contadini; il padre della fidanzata del buon
Kokto diventa un collaborazionista. Il ragazzo scappa in montagna per tornare,
con i partigiani, proprio mentre Sophia sta per essere data in moglie (controvoglia)
ad un proprietario terriero. Sconfiggono tedeschi e collaborazionisti.
Si lanciano in inni patriottici. La partitura presenta elementi d’interesse: le
tecniche vocali spaziano dal parlato con notazioni ritmiche a melodie tradizionali
con tutta una vasta gamma di soluzioni intermedie. Ci sono echi di
musorgskij nel modo in cui voci (ed orchestra) si sovrappongono. tra protagonisti
e caratteristi l’allestimento richiede circa venticinque solisti. L’opera
non venne apprezzata dai poteri costituiti; sparì dalla Russia sino agli anni
Settanta.
Altri quattro lavori per il teatro in musica caratterizzano Prokof’ev
dopo il rientro in Patria. Il più noto, ed il migliore, è la favola Pierino ed il
lupo, una delle sue ultime composizioni, che sembra riallacciarsi al futurismo
de L’amour des trois oranges. Matrimonio al convento è un’opera
comica scritta quasi per disintossicarsi da Semën Kotko; si è vista di recente
a torino. Guerra e pace (presentata anni fa al Festival dei Due mondi a
Spoleto ed alla Scala) è una grande opera di cinque ore concepita come
lavoro «popolare» e quindi tradizionale.
Non furono anni facili quelli dopo il rientro in Patria, nonostante Prokof’ev
avesse trovato una nuova strada dove fare confluire innovazione: la
musica da film, fianco a fianco di Sergej Ėjzenštejn per Alexsandr Nevsky,
ed Ivan il Terribile. Fu anche molto fecondo in sinfonica e cameristica, ma
206 Giuseppe Pennisi
una delibera del comitato centrale del partito comunista affermò che la sua
musica «peccava di intellettualismo e di perversioni formalistiche, era complicata
ed astratta, avulsa dalla realtà e contenente gravi errori formalistici
e naturalistici». Incarichi ed emolumenti cominciarono a diminuire. Inoltre,
la moglie Lina venne accusata di spionaggio e condannata a venti anni di
detenzione, pena che verrà interrotta e commutata in espulsione in Spagna.
È da menzionare che in quegli anni il matrimonio con cittadini non sovietici
era considerato illegale, ed è possibile che la rottura del matrimonio e le
accuse alla moglie siano state in qualche modo forzate.
Come si è detto, uno dei maggiori compositori del Novecento attirato
a rientrare in Patria, vi morì povero ed il suo stesso decesso venne ignorato
per alcuni giorni.
Conclusioni
Questo articolo, ispirato dal Ravenna Festival 2017, mostra tre aspetti
della musica nel mondo che allora si dichiarava comunista: a) il breve
periodo di euforia ed innovazione dopo la Rivoluzione d’Ottobre, presto
represso da Ždanov, Commissario alla Cultura, che Stalin avrebbe designato
come suo successore; b) la «dissidenza musicale» ancora esistente dopo la
fine dello stalinismo; c) l’ascesa breve e la discesa travagliata di uno dei
più importanti musicisti del secolo scorso.
Inevitabile chiedersi se ciò sia un risultato del totalitarismo comunista
od una caratteristica de Il dispotismo orientale che secondo Karl August
Wittfogel ha permeato per millenni società distanti dalla cultura dell’Europa
Occidentale.
Giuseppe Pennisi
Appendice I
I tEmI DEL RAVENNA FEStIVAL
2017 – Il rumore del tempo
2016 – Ho camminato lungo la strada per la libertà (Nelson mandela)
2015 – L’Amor che move il sole e l’altre stelle
2014 – 1914: l’anno che ha cambiato il mondo
2013 – Alchimie popolari «una balera ai giardini»
2012 – Nobilissima visione
2011 – Fabula in Festival
2010 – Ex tenebris ad lucem
2009 – … lâ ilahâ illâ… «Quando ti sento arrivare il mio cuore danza le mie braccia
si aprono»
1917. Gli effetti della Rivoluzione d’Ottobre sulla storia musicale Russa 207
2008 – Erranti, erotiche, eretiche
2007 – La pietra di diaspro «quando il cielo si squarcerà»
2006 – mozart? mozart!
2005 – Il deserto cresce… viaggio tra simbolismo e utopia
2004 – Illuminazioni sulla via di Damasco
2003 – Ravenna visionaria «pellegrina e straniera»
2002 – New York: 11 settembre
2001 – Dalla via dell’ambra alla via della seta… in compagnia del grande bardo
2000 – Cantastorie, gitani e trovatori
1999 – I pellegrinaggi della Fede (anno III). Verso Gerusalemme
1998 – I pellegrinaggi della Fede (anno II). Donna mater, voci erranti del mondo
1997 – La via dei Romei. I pellegrinaggi della Fede
1996 – Ravenna mediterranea tra Oriente e Occidente (anno II)
1995 – Ravenna mediterranea tra Oriente e Occidente
1994 – Bellini e Wagner (anno II)
1993 – Bellini e Wagner
1992 – Intorno a Rossini
1991 – Cherubini e la Scuola francese
1990 – Salieri e la Scuola di Vienna
Appendice II
LE VIE DELL’AMICIZIA
1997 – Sarajevo (Centro Skenderija)
1998 – Beirut (Forum di Beirut)
1999 – Gerusalemme (Piscina del Sultano)
2000 – mosca (teatro Bolshoi)
2001 – Erevan - Istanbul (Palazzo dell’Arte e dello Sport - Convention & Exhibition
Centre)
2002 – New York (Ground zero - Avery Fisher Hall del Lincoln Center)
2003 – Il Cairo (Ai piedi delle Piramidi)
2004 – Damasco (teatro Romano di Bosra)
2005 – El Djem (teatro Romano di El Djem)
2006 – meknès (Piazza Lahdim)
2007 – Concerto per il Libano (Roma, Palazzo del Quirinale)
2008 – mazara del Vallo (Arena del mediterraneo)
2009 – Sarajevo (Olympic Hall zetra)
2010 – Italia-Slovenia-Croazia (Piazza unità d’Italia, trieste)
2011 – Nairobi (uhuru Park)
2012 – Concerto delle Fraternità (Pala De André, Ravenna)
2013 – Concerto per le zone terremotate dell’Emilia (Piazza della Costituente,
mirandola)
2014 – Redipuglia (Sacrario militare, Fogliano di Redipuglia)
2015 – Otranto (Cattedrale di Otranto)
2016 – tokyo (teatro Bunka Kaikan - metropolitan theatre)
2017 – teheran

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