L’omaggio di
Palermo a Salvatore Sciarrino
L'articolo di Giuseppe Pennisi
Salvatore Sciarrino, (nella foto), è
uno dei maggiori musicisti mondiali degli ultimi cinquanta anni. È quindi naturale che in occasione dei suoi 70 anni, il Teatro della sua
città, il Teatro Massimo di Palermo gli offra un omaggio di interesse
internazionale. Quattro giorni che prenderanno il via mercoledì 1 novembre con
l’esecuzione dell’integrale dell’opera di Sciarrino
per flauto, per culminare venerdì 3 e sabato 4 novembre con la prima
rappresentazione italiana dell’opera Superflumina nel nuovo allestimento del
Teatro Massimo, direttore Tito Ceccherini, regia, scene e costumi Rafael R.
Villalobos, Orchestra e Coro del Teatro Massimo. Un
allestimento che esplora le possibilità visuali e acustiche del Massimo.
L’azione si svolge anche in platea, dove sono state rimosse le poltrone, mentre
il coro sta sul palcoscenico e il pubblico si affaccia dai palchi.
“Un grande omaggio a uno dei più
grandi compositori del nostro tempo che qui a Palermo è nato – dice il
sovrintendente Francesco Giambrone – e che ha portato il suo talento e la sua
musica in tutto il mondo. E inoltre un altro segnale dell’interesse del Teatro
Massimo per i nuovi linguaggi e la musica del nostro
tempo”.
La donna, protagonista dell’opera, è Valentina Coladonato;
un giovane/voce lontana è Riccardo Angelo Strano, un passante/un poliziotto è
Salvatore Grigoli. Altoparlante femminile Antonella Infantino, altoparlante maschile Alberto Cavallotti ed Ernesto Marciante.
L’opera Superflumina (il cui titolo è tratto dal Salmo biblico 136/137 Super
flumina Babylonis), composta su commissione del Nationaltheater di Mannheim nel
2010 ed eseguita per la prima volta il 20 maggio 2011
nello stesso teatro, è una riflessione sull’emarginazione e la solitudine umana
ispirata al romanzo autobiografico “By Grand Central Station I sat down and
wept” pubblicato nel 1945 della scrittrice canadese Elizabeth Smart, un grido
di dolore e di amore riferito alla sua travagliata e
contrastata relazione adulterina con il poeta inglese George Baker, da cui ebbe
quattro figli.
Una donna sola (e nel romanzo, incinta) si aggira in una
grande stazione attendendo un uomo mentre i passanti la scansano e la insultano e gli annunci degli altoparlanti
(realmente registrati nelle stazioni tra il 2003 e il 2006) annunciano ritardi
e guasti. La donna incontra un altro disperato come lei, ma i due dopo essersi
avvicinati, vanno ognuno per la propria strada, e
anche un poliziotto la maltratta, interrogandola senza compassione. Lei canta
tre canzoni, che descrivono la ricerca del cibo nella spazzatura, il sonno tra
i cartoni e le bottiglie che rotolano, i parassiti e il disprezzo che gli
emarginati subiscono quotidianamente. All’alba è
ancora sola, e continua a invocare l’uomo che ha atteso invano.
“La solitudine – scrive Sciarrino – non è che la superficie
dell’abbandono. Esso provoca ferite ben più profonde, invisibili, di cui si son
perse le tracce: il loro grido può risvegliarsi
tragicamente in ciascuno di noi, in qualsiasi momento. Da sempre mendicanti e
vagabondi fanno parte del paesaggio urbano, la storia della pittura anzi li
ostenta in primo piano. Oggi fingiamo di non vederli eppure sono dappertutto: sulle rive delle strade, in centro o in periferia, ai
giardini, che rappresentano il simbolo distillato dell’ordine cosmico, proprio
quello che la semplice presenza di un essere degradato mette in discussione. La
certezza della deriva, del disastro universale che
questi naufraghi incarnano ai nostri occhi, è ciò che irrita di più e ne rende
odioso il contatto. Non ci accusano, piuttosto azzerano la nostra umanità in
quanto messaggeri della verità, della fine comune di fronte a cui siamo tutti
uguali. Ecco perché non sopportiamo l’avanzare di
ogni loro richiesta”.
Il regista Rafael R. Villalobos ha creato per il Teatro un
allestimento “site specific”. “Durante tutto il processo di germinazione di
questo progetto – spiega – mi sono sforzato di incidere l’idea che la mia proposta per Superflumina, oltre che una regia
dell’opera, vuole presentare una trascrizione scenica dell’architettura
musicale di Salvatore Sciarrino. Così, partendo dalla macrostruttura di questo
polittico, formato da tre grandi sezioni ognuna
divisa in tre parti, ho cercato di creare linguaggi differenziati per i Quadri,
gli Intermezzi e le Canzoni. Ho diviso lo spazio scenico in orchestra,
proskenium e skené, considerando il Poliziotto e il Passante – in realtà, una
stessa persona in due momenti diversi della sua
quotidianità – il corifeo di un gruppo di coreuti magrittiani che simbolizzano
una società disumanizzata e sprovvista di empatia con il prossimo, in questa
stazione che si trae fuori dal mondo, intesa come un non-luogo di passaggio. Intorno a tutti loro, il pubblico della sala, come giudici
onnipresenti”.
Ma, prima di Superflumina, ci saranno tre giorni tutti
dedicati a Sciarrino. Mercoledì novembre il teatro risuonerà dell’esecuzione
integrale delle opere per flauto, un concerto che
partirà dalla Sala Grande (libro I), e poi andare in Sala Onu (libro II), in
Sala Stemmi (libro III), e in Sala Pompeiana (Coda). Il flauto è per Salvatore
Sciarrino uno strumento fondamentale, come scrive Pietro Misuraca, docente di
Storia della musica all’Università di Palermo: “Ancor
più del pianoforte è il flauto, strumento fortemente collegato alla fisiologia
del corpo umano e del respiro, al centro dell’indagine compositiva di
Sciarrino, con una grande fioritura di opere che parte dalla tabula rasa di All’aure in una lontananza e dai sibili rarefatti di
Fauno che fischia a un merlo per conferire una fisionomia nuova allo strumento,
accrescerne il ruolo incantatorio e ricondurlo alla sua ancestrale, magica
essenza (“Secondo le voci più antiche, Dio creò con
un suono di flauto”).
Il 4 novembre alle 17.30 in Sala Grande La bocca, i piedi,
il suono per 4 sassofoni contralti solisti e 100 sassofoni in movimento, in
collaborazione con il Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo e
l’associazione Amici della Musica di Palermo.
La composizione nasce nel 1997, nello stesso anno di
un’opera che le è gemella, Il cerchio tagliato dei suoni, che è invece per
quattro flauti solisti e 100 flauti migranti. Scrive Pietro Misuraca: “Le due
coeve composizioni seguono un percorso abbastanza
simile: da postazioni diametralmente opposte – col pubblico che sta al centro –
i quattro solisti si ‘passano’ i suoni (facendoli muovere con una concretezza
percettiva inattingibile da qualsiasi sperimentazione elettroacustica); a un certo punto innescano un movimento rotatorio che si sdoppia e
progressivamente accelera, fino a un avvitamento vorticoso e simultaneo nelle
due direzioni. Così come la fiumana dei flauti “migranti” interviene a un
tratto, passando lentamente attraverso il pubblico e
tagliando l’ambiente in diagonale, una migrazione dei cento sassofoni segna il
momento centrale di La bocca, i piedi, il suono”. E così Sciarrino definisce
l’ingresso dello sciame di sassofoni: “A un tratto sentiamo qualcosa risuonare
fuori, in un’altra dimensione, eventi prima isolati
crescono a fiumana. Sono una folla di sassofoni, un centinaio, delle varie
taglie (soprani, contralti, tenori e baritoni). La fiumana preme, poi
lentamente trabocca nello spazio: gli strumentisti entrano, escono e rientrano, costituendo per l’ascoltatore un flusso continuo
di piedi, volti, bocche”.
(Foto © rosellina garbo)