LEAR/ Solitudine e potere nel
capolavoro di Reimann in scena a Salisburgo
Ogni anno il
Festival Estivo di Salisburgo presenta un'opera contemporanea. Stavolta è
toccato a Lear di Aribert Reimann. L'ha vista GIUSEPPE PENNISI
22 agosto
2017 Giuseppe Pennisi
Una scena dell'opera (© Salzburger
Festspiele / Thomas Aurin)
Ogni anno il
Festival Estivo di Salisburgo presenta un'opera contemporanea. A volte, come
nel 2016, è una prima mondiale (The Exterminating Angel di Thomas Adès).
A volte di autore vivente di grande successo. Quest'anno, in linea con un
festival il cui tema è la "panoplia del potere", la scelta è caduta
su Lear, un lavoro (anzi un capolavoro) di Aribert Reimann, composta su
impulso del baritono Dietrich Fischer-Dieskau e andata in scena, con grande
successo, al Teatro Nazionale di Monaco nel 1978. L'opera viene rappresentata
di frequente in Germania (si ricorda una bella produzione a Francoforte una
decina di anni fa - ne è stato registrato un ottimo CD), nonché in altri Paesi
dell'Europa centrale e orientale e negli Stati Uniti. Non credo sia stata mai
messa in scena in Italia, nonostante si presti bene a un'inaugurazione di
stagione (un solo intervallo, circa due ore e mezzo di spettacolo).
Giuseppe
Verdi tentò più volte di tradurre in opera la tragedia di Shakespeare Re
Lear. Dovette desistere perché non trovò mai un librettista in grado di
trasformare in melodramma cinque atti densi di intrecci secondari e di numerosi
personaggi. In Verdi, l'immagine del Re generoso, ma abbandonato da tutti o
quasi, costretto a morire in solitudine era un tema centrale di una poetica che
produsse Simon Boccanegra, I Due Foscari e Don Carlo.
Molto abile
il librettista di Reimann, Claus H. Henneberg. I cinque atti (e le oltre
quattro ore di spettacolo) vengono ridotti in due, abolendo gli intrecci
secondari e scarnendo il testo del Bardo di Sradford-upon-Avon. Il dramma in
musica ha due temi di fondo: la solitudine della stessa generosità e la brama
per il potere (che porta i protagonisti a distruggersi a vicenda). Su tutto
incombe un verso tristissimo di Shakespeare Quando un bambino viene
partorito piange/ perché sa che arriva nel palcoscenico del mondo. Una
visione cupa in cui anche i migliori (come Cordelia) vengono puniti dal fato.
Non è un caso che l'opera si chiami Lear non Re Lear. Reimann
considera il personaggio Shakespeariano il simbolo di ciascuno di noi. Come lo Jedermann
che nel 1920 inaugurò il Festival Estivo di Salisburgo e che da allora viene
replicato nella piazza del Duomo circa 15 volte a ciascuna edizione della
manifestazione. C'è una differenza profonda: mentre Jedermann, di fronte
alla morte trova la Fede in Dio, nel mondo di Lear non c'è spazio per il
trascendente.
Nel 1978,
Reimann non doveva certo seguire le regole del "melodramma" che
impedirono a Verdi di comporre il "suo" Re Lear. Lear è
teatro in musica con una smisurata orchestra (le percussioni sono in un palco
nel lato dell'enorme palcoscenico) e una scrittura vocale basata sul declamato
che si scioglie in ariosi, concertati e anche arie di bravura per
contro-tenori. Bravissimi i Wiener Philharmoniker diretti da Franz Welser-Most
nell'eseguire la complessa scrittura orchestrale di Reimann che,
ecletticamente, incorpora varie tendenze della seconda metà del Novecento dando
enfasi ai vari gruppi di strumenti e inserendo nel clima cupo del dramma
momenti di squisita tenerezza (gli intermezzi orchestrali, il finale in pianissimo).
La vicenda,
attualizzata ai giorni nostri viene rappresentata su una pedana; piena di erbe
e fiori nella prima parte, nuda e spoglia nella seconda. L'allestimento scenico
(regia di Simon Stone, scene di Bob Cousins, costumi di Mel Page) non ha convinto
tutto il pubblico: cosa insolita per Salisburgo, agli applausi al calar del
sipario si sono aggiunti sonori fischi quando è apparso il team creativo.
Tra i
numerosi interpreti, spicca in primo luogo Gerald Finley nell'impervia parte di
Lear. Un ruolo estenuante in quanto è quasi sempre in scena anche in ardue
posizioni attoriali. Utilizza, con sapienza, vari aspetti della vocalità, dal
declamato, all'arioso, all'aria; magnifici i suoi "pianissimi". Nel
gruppo maschile, occorre citare il controtenore Kai Wessel (Edgar) e Michael
Maertens (il buffone), nonché Charles Workman (Edmund). Nel gruppo femminile,
spiccano Evelyn Herlitzius (Goneril), Anna Prohaska
(Cordelia) e Gun-Brit Barkmin.
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