OPERA/ Il fascino di
"Ariodante"
Uno
spettacolo di grande eleganza che iniziato alle 19 si è concluso oltre le 23 30
con circa un quarto d’ora di ovazioni. GIUSEPPE PENNISI ci racconta l'Ariodante
di Händel
25 agosto
2017 Giuseppe Pennisi
Una scena de L'Ariodante
Ariodante di Georg Friederich Händel tratta
anch’essa di amore e potere. E’ un lavoro del 1734 quando a Londra infuriava
una propria guerra tra il teatro italiano, portato dal sassone Händel e quello
inglese. Guerra tra teatri commerciali; la Corte sembrava parteggiare per il
sassone che era impresario oltre che musicista e la cui impresa dovette
dichiarare ben due volte fallimento. L’opera ha avuto un’anteprima di due
recite al Festival di Pentecoste dove ha avuto un grande successo. Debuttò nel
1734. Periodo in cui il barocco stava cedendo spazio all’illuminismo in tutte
le arti; quindi, l’opera barocca aveva iniziato a trasformarsi in quella che
sarebbe stata l’opera seria.
Il merito
va, oltre che a Händel ed al suo anonimo librettista, a Cecilia Bartoli ed al
regista Chritof Loy che hanno concepito lo spettacolo. Tratta dal quarto canto
dell’ariostesco Orlando Furioso e dal racconto Ginevra, principessa
di Scozia di Antonio Salvis, non ci porta in un mondo di castelli in
cartapesta e di armature di latta. E’ ambientata in un salone neoclassico, la
cui parete principale si apre per mostrare ambienti esterni (giardini,
montagne) della pittura del settecento. I costumi sono in gran parte moderni,
ma in alcuni casi si ritorna al settecento ed in altri ancora (il duello) al
Medioevo. Come in Orlando di Virginia Wolff, si spazia per vari secolo
per dare il senso della perenne attualità dei sentimenti alla base del lavoro.
La vicenda è
semplice e, al tempo stesso, complessa. Come in Genoveva di Schumann
(del 1848, quindi, in pieno romanticismo), al momento delle nozze la futura
sposa (Ginevra, Katryn Lewek) viene calunniata. Alla calunnia ed alle prove
apportate dal Duca Polineso (Christophe Dumaux) crede anche il Padre, Re Di
Scozia (Nathan Berg). Il suo promesso Ariodante (Cecilia Bartoli) tenta il
suicidio. Dopo vari intrighi, il fratello di Ariodante (Rolando Villazon) e la
dama di fiducia della principessa, Dalinda (Sandrine Piau) svelano le malefatte
di Polinesso. Una grande festa di nozze termina l’opera. In ciascuno dei tre
atti, c’è un simpatico balletto.
Una trama
così esile non reggerebbe le oltre tre ore e mezzo di spettacolo se la musica
(in gran misura arie con da-capo, alcuni duetti ed un coro) non fosse di
eccezionale qualità ed eseguita con grande perizia da Les Musiciens du Prince -
Monaco su strumenti d’epoca o il più simile possibile a quelli del 1734. Le
voci, poi, sono di altissimo livello. Non solo Cecilia Bartoli, per la prima
volta in abiti maschili e con barba da cavaliere crociato, ma tutta la
compagnia vocale. A ciascun interprete sono affidate almeno tre arie, tutte
impervie e piene di trabocchetti.
Uno
spettacolo di grande eleganza che iniziato alle 19 si è concluso oltre le 23 30
con circa un quarto d’ora di ovazioni.
Lo rivedremo
certamente all’Opéra di Montecarlo ed altrove.
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