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SALISBURGO/ Evgenia Muraveva,
brilla una stella nel "distretto di Mzensk"
Grande
prestazione al Festival Estivo di Salisburgo di Evgenia Muraveva in "Una
Lady Macbeth del distretto di Mzensk" di Dmitri Shostakovich. La
recensione di GIUSEPPE PENNISI
23 agosto
2017 Giuseppe Pennisi
Una scena dell'opera (© Salzburger
Festspiele / Thomas Aurin)
E' nata una
stella: Evgenia Muraveva, giovanissima, bella (anzi sexy), con una voce che
riempie l'enorme sala della Grosses Festpielhaus del Festival di Salisburgo.
Era stata scritturata per un piccolo ruolo in Una Lady Macbeth del distretto
di Mzensk di Dmitri Shostakovich, opera che secondo i programmi dovrebbe
cantare, da protagonista, a San Pietroburgo la prossima stagione. Si è ammalata
la protagonista, Nina Stemme (una delle più note voci del mondo della lirica),
e la Muraveva ha debuttato nel ruolo il 21 agosto, ricevendo non solo applausi
ma ovazioni dal pubblico che gremiva la sala. E' un nome da tenere bene in
mente.
Ma andiamo
al lavoro ed alla sua produzione al Festival Estivo di Salisburgo. Messa
all'indice da Stalin in persona nel 1936, nonostante l'ancor giovane Dmitri
Shostakovich fosse quasi il "compositore di corte" della Mosca
dell'epoca, Una Lady Macbeth del distretto di Mzensk è forse il dramma
in musica con più sesso e violenza estrema della prima metà del Novecento.
Supera la stessa Lulu di Berg che è schiettamente erotica (ma non
sessuale). In Puccini (soprattutto in Manon Lescaut) c'è eros soffuso
dalla prima all'ultima nota ma il sesso è appena adombrato e non c'è violenza. La
Elena Egizia di Richard Strauss è opera sensualissima, ma temperata
dall'amor coniugale de La donna senz'ombra. In Jenufa e Katia
Kabanova di Janaceck la violenza si accoppia all'amore, non al sesso.
Invece, la Lady di Shostakovich, tratta da un racconto breve di Nicolai
Leskov, è tutta sesso e sangue. Il compositore aveva tra i 25 ed i 27 anni
quando adattò, in gran parte di proprio pugno, il racconto e lo mise in musica;
da pochi mesi si era sposato con Nina Varzar, con cui già da diversi anni aveva
un rapporto fortemente passionale. Nel difendersi dalle accuse, che portarono
al ritiro dalle scene ed al rimaneggiamento sostanziale dell'opera (decenni più
tardi), sostenne che il lavoro non tratta della degenerazione dell'amore in
violenti rapporti puramente sessuali ma della natura stessa dell'amore che,
"frustrato dalle condizioni esteriori della vita", deve giungere a
"farsi spazio con l'omicidio".
La
protagonista, Katerina Ismailova, ha sposato un mercante e possidente locale,
ma, nella noia della provincia, è concupita dal vecchio suocero e trova sempre
più inutile il marito. Cade nelle braccia del bracciante Sergej. Con
quest'ultimo uccide dapprima il suocero e poi il marito. I due finiscono, come
è d'uopo, all'ergastolo in Siberia. Tra i ghiacci un nuovo ménage à trois:
Sergej, Katerina ed un'altra ergastolana, Sonetka, di cui il bracciante si è
invaghito. Katerina la uccide, e si uccide, gettandosi con lei in un gelido
lago quando si accorge che Sonetka è la preferita e Sergej giunge a truffarla
di un paio di calze. In effetti, Katerina è l'unico personaggio analizzato a
tutto tondo e sostanzialmente positivo; gli altri sono poco più che
caratterizzazioni della società borghese che Lenin e Stalin volevano
distruggere. In diversi momenti, la musica è pervasa da ironia proprio nei
confronti della borghesia.
L'ira di
Stalin — si badi bene — non cadeva sulla vicenda, né sul libretto quanto mai
esplicito (per il teatro in musica degli anni trenta); vicenda e libretto anzi
potevano venire assunti come critica alle degenerazioni borghesi che l'uomo
nuovo del comunismo avrebbe curato. L'ira era con la partitura, chiamata
"caos non musica". Scrittura difficile, che richiede un grande
organico ed è intrisa del linguaggio del Novecento allora più moderno; la
musica accentua il sesso ed il sangue con la ferocia degli ottoni (chiamati a
sottolineare gli amplessi) e l'arditezza delle soluzioni timbriche. Utilizza
richiami a canti e cori popolari nonché alla "musica futurista" russa
che aveva cultori in quegli anni prima di essere schiacciata dalla stalinismo.
Richiede un enorme organico orchestrale, diciotto solisti in venti ruoli, un
grande coro e frequenti cambiamenti di scene. Richiede soprattutto una direzione
incalzante, veloce, a volte ruvida ma pronta al tempo stesso a scivolare in
afflati lirici negli intermezzi. Si ricorda un'esecuzione bellissima di
Myung-Whun Chung per l'Opéra di Parigi ed una esemplare (anche grazie alla
regia di Lev Dodin) di Semyon Bichkov al Maggio Musicale Fiorentino.
A
Salisburgo, l'azione drammatica è diretta, con grande abilità, da uno dei più
noti registi teatrali tedeschi: Andreas Kriegenburg, le scene sono di Harald B.
Thor, i costumi di Tanja Hofmann. Grazie al tecnologico palcoscenico di
Salisburgo (a vari livelli e manovrabile elettronicamente) domina una scena
unica che con praticabili, ponti ed ascensori, ci porta dai locali borghesi del
possidente Boris alla camera da letto di Katerina, alla piazza della piccola
città di provincia ed anche alla marcia nella neve verso la Siberia senza
interruzione di scena (l'opera è in quattro atti e nove quadri) con un ritmo
quasi cinematografico e con un unico intervallo tra il secondo ed il terzo
atto.
Mariss
Jansons è con grande perizia alla guida dei Wiener Philharmoniker e del coro
della Staatsoper di Vienna. Tra i numerosi interpreti, oltre a Evgenia
Muraveva, è doveroso citare Brandon Jovanovich (un tenore di razza nel ruolo di
Sergej, amante della protagonista, interessato tanto al sesso quanto al denaro
ed al ruolo sociale) e Dmitry Ulyanov (baritono di grande scuola, nel ruolo di
Boris, il libidinoso suocero). Tutti gli altri di grande livello. Ovazioni dopo
tre ore e mezzo di grande tensione.
©
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