CECONOMICUS
d i Giusep pe Penni
si ':·
L'a nno della deglobalizzazione
di una marcia indietro,
prima graduale, poi brusca, del pro cesso di integrazione economica internazionale in corso dal 1970 o giù di lì. Nel 2003, Joseph Stiglitz documentò con preveg genza, in Globalization and its discontent, che l'integrazione internazionale covava in sé i germi della scontentezza che avrebbero portato
alla sua crisi. Lo
abbiamo toccato con mano ancora prima che il 20 gennaio, Donald Trump, il cui program ma
economico è marcatamente protezionista, diventasse presi dente degli Stati Uniti. L'ac cordo di libero scambio
e sulla liberalizzazione dei movimenti
di capitale (e in parte delle per sone e delle imprese) nell'area del Pacifico, pur concluso,
non è stato ratificato e non pare abbia possibilità di esserlo.
I negoziati per un accordo analogo nell'area dell'Atlantico sono
stati effettivamente inter rotti sine die nella seconda metà del 2016.
Un'analisi di documenti tecnici sul
commercio internazionale evidenzia che è cambiata l'ela-
sticità degli scambi mondiali
di manufatti alle variazioni del Pil: dopo essere stata,
nel corso de gli anni 90, attorno a 2,5 (ossia gli scambi mondiali
aumenta vano di 2,5 punti percentuali quando il Pil cresceva
di un punto percentuale), in questo primo scorcio di XXI secolo ri sulta inferiore a 2, e pare tenda ad approssimarsi a 1. In parole povere, e senza tantì tecnicismi, ciò
vuol dire che il meccanismo tradizionale di propagazione della crescita si sta indebolendo. E lo sta facendo molto rapida mente.
Altro indicatore di rilievo è
il
vero e proprio crollo degli investimenti diretti esteri: pur tenendo conto delle scorrerie dei fondi sovrani dei nouveaux riches dell'economia mondiale, dall'inizio del secolo il flusso
di
investimenti diretti esteri (non
in portafoglio) è quasi dimezzato rispetto all'ultimo decennio del secolo scorso.
Il Long term investment
club (Ltic), un'iniziativa nata poco più
di cinque anni fa su stimolo delle maggiori banche interna
- zionali di sviluppo (pubbliche
e private), ha dato esiti inferiori
alle attese. Non per sua colpa, ma
perché il clima è cambiato. Non ci sono dati attendibili sulle migrazioni internazionali in
rapida e convulsa
crescita;
è tuttavia chiaro che quasi tutti i
Paesi di immigrazione netta stanno adottando politiche dirette a contenere i flussi, oppure a incoraggiare solo
quelli di professionalità (tecnici,
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informatici, paramedici) di cui l'offerta è generalmente carente nel mondo
industrializzato ad alto
reddito.
la prima grande deglobalizza zione 1870-1910 si chiuse con
due colpi di pistola a Sarajevo. Il conflitto armato risultante da questa nuova deglobalizza zione è già iniziato; il terro rismo e i suoi colleghi, ormai
sparsi in tutto il mondo (anche
in Italia ) sono le avanguardie. E non ce ne accorgiamo.
Un libro recentissimo ( M igra tion and the welf are state
)
di Assaf Razin e Efraim Sadka (ambedue dell'Università di Tel Aviv) ci ricorda che la fine della precedente fase di globalizza zione nutrì il comunismo, il fascismo e due guerre mondiali. Il termine di questa seconda deglobalizzazione ci ha portato l'Isis e i movimenti populisti
nei
maggiori Paesi industrializ zati
a economia di mercato.
*Presidente della commissione
informazione del Cnel
e del comitato
scientifico del Centro studi impresa
lavoro
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