martedì 21 febbraio 2017

Kát’a Kabanová sulle rive del Po in Opinione 21 febbraio



Kát’a Kabanová
sulle rive del Po
di Giuseppe Pennisi
21 febbraio 2017CULTURA
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Torino è città adatta per mettere in scena Kát’a Kabanová di Leoš Janáček (1854-1928), compositore moravo tra i più grandi dell’inizio del Novecento, pur se l’Italia lo ha scoperto solo dopo la Seconda guerra mondiale. In Kát’a Kabanová del 1922 (di cui si sono viste belle edizioni al Massimo Bellini di Catania, a Firenze, a La Fenice in trasferta al Tronchetto ed alla Scala) ci sono (nel terzo atto) veri e propri uragani. Sottolineo, Torino ha circa 900mila abitanti, è stata capitale di un Regno, principale città industriale dell’Italia, città centrale nella moda e della cultura. Ha poco in comune con il villaggio dove si svolge l’opera, se non le acque fluviali sempre presenti in scena.
Kát’a Kabanová è la più fragile di tutte le eroine di Janáček. La vicenda è tratta da un romanzo, e da un dramma, di successo dello scrittore russo Alexander Ostrovsky. In un piccolo centro bigotto, dove domina la suocera Kabanicha (intenta, tra un paternostro e l’altro, in giochi sadomaso con il mercante Dikoj), Kát’a Kabanová ha un marito imbelle e forse impotente, Tichon, ed è amata in segreto dal bel Boris. Ai margini del clima pesante del villaggio, la sua migliore amica, la trovatella Varvara, ha una relazione amorosa-sessuale fresca e piena con il giovane professore di chimica Kudrjás. Durante un viaggio d’affari di Tichon, Varvara dà a Kát’a la chiave del luogo dove si incontra con Kudrjás. Non sapremo mai se il rapporto tra Kát’a e Boris va al di là del platonico. Il rimorso, però, è tale che al ritorno di Tichon, e nel corso di un uragano, Kát’a si confessa adultera. Trova sollievo solo gettandosi nel Volga, mentre Kabanicha ringrazia i presenti per la collaborazione data nel risolvere il caso aperto dalla confessione della nuora. E il villaggio torna alla bigotteria di sempre.
pennisi3_01In Kát’a Kabanová, a 67 anni, Janáček dimostra una grande capacità di sviscerare in musica l’animo umano (con una scrittura spezzettata e continuamente ricostituita, raramente superata). A Catania si è visto, vent’anni fa, un allestimento portato dall’Opera Nazionale di Praga. La produzione scaligera (2006) proveniva dalla De Vlaamse Opera di Anversa. La regia è stata curata dal canadese Robert Carsen, che cura pure l’edizione di Torino. La scenografia, giocata sulla predominanza dell’elemento acquatico che richiama l’incombente presenza del fiume, è opera, al pari dei costumi, di Patrick Kinmonth. Uno spettacolo di grande livello che il Teatro Regio di Torino mette in scena, in un programma in cui in sei anni proporrà, in collaborazione con il Teatro di Anversa, tutte le opere di Janáček con la regia di Carsen e l’apporto del suo team creativo (oltre a Kinmonth, Van Praet, Giraudeau) Alcune parti del ciclo si sono già gustate in Italia: Jenůfa a Palermo e Il caso Makropulos a Venezia.
Il 15 febbraio è stata la prima volta che Kát’a Kabanová veniva presentata a Torino, dopo La piccola volpe astuta in scena nel gennaio dello scorso anno. Come tutte le opere di Janáček, Kát’a Kabanová è breve (90 minuti); a volte i tre atti (ciascuno di mezz’ora e diviso in due scene) vengono proposti senza intervallo: ciò aumenta la tensione. Questa volta i primi due atti vengono presentati come un blocco unico, scaricando la tragedia sul terzo. È un lavoro complesso sia per la struttura orchestrale (Marco Angius ne ha mostrato tutta la modernità) sia per la vocalità in cui la musica e le parole (il libretto è in prosa) sono studiate perché l’una avvolga l’altra, facendo percepire ogni sfumatura del moravo. Janáček ha poi una distinta preferenza per i soprani drammatici, i mezzo soprani ed i tenori con un registro di centro. La protagonista è il soprano slovacco Andrea Dankova; il tenore Štefan Margita interpreta Tichon Ivanyč Kabanov, il marito di Kat’a; il mezzosoprano Rebecca de Pont Davies interpreta Marfa Ignatěvna Kabanová, la cinica suocera di Kat’a, l’ucraino Misha Didyk è Boris. Un cast impeccabile.
(foto: Ramella&Giannese © Teatro Regio Torino)

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