“Il Paradiso e la Peri”
incanta Santa Cecilia
incanta Santa Cecilia
di Giuseppe
Pennisi
14 febbraio
2017CULTURA
“Il paradiso
e la Peri” di Robert
Schumann è un’indicazione della nuova direzione che sta prendendo l’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia: proporre, accanto al “repertorio tradizionale” ,
lavori di rara esecuzione , non necessariamente moderni o contemporanei. Questo
“oratorio profano” ebbe la prima esecuzione a Lipsia nel dicembre 1843 ed è
solo la seconda volte che approda nella sinfonica della maggiore e più antica
istituzione musicale italiana. Era stata ascoltata nella stagione 2003 di Santa
Cecilia sotto la direzione di Wolfgang Sawallisch. Non ho notizia di
esecuzioni precedenti, con l’eccezione all’Auditorium della RAI nel 1974 con
sul podio Carlo Maria Giulini ed un grande cast vocale internazionale.
L’Accademia
non ha fatto di meno invitando Daniele Gatti, che, ben noto al pubblico del
Parco della Musica, avrà un ruolo non secondario al “cugino” Teatro dell’Opera
ed alcune delle migliori voci oggi sul mercato internazionali (Angel Blue,
Regula Mühlemann, Jennifer Johnston, Martina Mikelić, Brenden Gunnell, Patrick
Grahl, Georg Zippenfeld, nonché nei ruoli minori reclute dal coro come Maria
Chiara Chizzoni, Patrizia Roberti, Francesca Calò e Tiziani Pizzi). Il pubblico
dell’Accademia spesso freddo di fronte a novità (anche se di oltre 170 anni fa)
, è rimasto entusiasta e commosso a vedere le lacrime della protagonista Angel
Blue alla fine delle spettacolo.
L’“oratorio profano” (che in alcuni tedeschi viene presentato con
scene e costumi dato che è molto teatrale) si basa su una novella persiana che
tratta del dilemma della Peri, una divinità esclusa, per avere commesso un
peccato, dalla beatitudine celeste che aspira alla redenzione. In effetti
esprime l’essenza delle inquietudini più profonde dell`artista romantico,
pesantemente segnato da un nobile ed irrefrenabile anelito al trascendente. Il
testo proviene dalla raccolta “Lalla Rookh” del poeta irlandese Thomas
Moore (1779-1852), intimo amico di Lord Byron.Il fascino del mito dell’angelo
caduto viene amplificato dall'ambientazione esotica del racconto, che si svolge
nelle remote terre d’Oriente, misteriose ed irraggiungibili. A causa della sua
originaria funzione di ancella di Arimane, il diavolo della religione
zoroastriana, la Peri è una divinità della mitologia persiana destinata a
cercare “il dono più caro al cielo" che le consenta di conquistare
l’accesso al paradiso. Combinando sapientemente desiderio di trascendenza e
fascino dell’ignoto, “Il paradiso e la Peri” costituisce il coronamento
di un’inveterata attrazione del compositore verso mondi lontani e sconosciuti.
Stando alle dichiarazioni d’intenti dell’autore , “Il paradiso e la Peri”,
è “un oratorio non destinato al luogo di preghiera, ma per gente lieta”. La
composizione è articolata in tre parti, che corrispondono alle tre dolorose
peregrinazioni compiute dalla Peri nella ricerca di un dono gradito al cielo.
Nella prima parte vaga per l’India, dove raccoglie l’ultima goccia di sangue di
un giovane patriota vittima della tirannide, Dopo il diniego delle potenze
celesti di fronte alla sua prima offerta, la Peri vola verso l’Egitto, ove
assiste al sacrificio di una donna che decide di morire accanto al suo amato
colpito dalla peste. Solo nell'ultima parte dell’opera tuttavia, “fra i mille
minareti della Siria”, la Peri riuscirà a trovare il dono decisivo, le “sante
lacrime di profondo pentimento” versate da un peccatore incallito di fronte
alla purezza di un bambino assorto in preghiera.
La semplicità e la chiarezza della struttura narrativa sono
confortate da una elaborazione musicale che, evitando complicazioni
contrappuntistiche e virtuosismi vocali, introduce una serie di innovazioni
particolarmente significative rispetto alla prassi stilistica dell‘epoca.
Superando quella rigida divisione dei ruoli tipica dell'oratorio tradizionale,
il compositore ha distribuito le parti narrative fra i vari solisti ed il coro,
che diventano alternativamente attori e commentatori della vicenda. La mancanza
di recitativi secchi conferisce all'insieme un'impronta lirico-liederistica
costante, in cui l’arioso declamato si trasforma impercettibilmente in canto
spiegato e viceversa. Il magico mondo dell'Oriente è reso attraverso un colore
orchestrale caldo e luminoso, completamente scevro di effetti pittoreschi e
banali turcherie. Il coro dei conquistatori che acclamano il tiranno Gazna
costituisce l'unico passo pittoresco dell’opera, in cui la deliberata
trivialità della scrittura diventa un valido espediente di condanna nei
confronti dell'umana mediocrità. In tutti gli altri casi l'ambientazione
esotica viene resa attraverso procedimenti raffinati, come nel coro delle urì
che apre la terza parte dell'opera, in cui l’iterazione delle quinte vuote al basso,
l'uso delle sole voci femminili e il potenziamento della strumentazione con
triangoli, tamburi e cimbali, concorrono a restituire un effetto di grande
fascino sonori.
Un grande e
meritato successo.
(Fotografie
di Riccardo Musacchio e Flavio Ianniello)
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