La correzione e il rischio assalto alla
diligenza L’antidoto però esiste
La manovra di primavera rischia di avere un profumo di
antico. Nei 'corridoi romani' circola un timore: quello che il prossimo
intervento possa ricordare le vecchie Finanziarie. L’episodio della 'lobby del
golf' per la Ryder Cup è eloquente. Fino agli anni Ottanta, dopo la prima
'trimestrale' di cassa dell’anno ci si accorgeva che i conti effettuati
l’autunno precedente non avrebbero trovato la quadra e si interveniva allora
con nuove misure (spesso una sfilza di ritocchi a tasse ed imposte); a quel
punto, sentito l’olezzo di nuovi soldi pubblici, scattava quello che l’allora
ministro del Tesoro Giuliano Amato chiamò l’«assalto alla diligenza». Con
l’effetto che una legge nata per contenere il deficit si trasformava, invece,
anche nella fonte di nuove spese. Con le riforme delle procedure di bilancio
del 1987-89 si era tentato di impedire l’assalto. Con esiti, però, inferiori
alle aspettative. Una lettura attenta del Fiscal Compact, che paradossalmente è
una delle determinanti stesse di questa manovrina, spiega perché l’esecutivo e
il Tesoro hanno avviato rapidamente i lavori per trovare 3,4 miliardi di euro.
Le previsioni economiche della Commissione non sono incoraggianti, per
l’Italia. Inoltre, appena Angela Merkel ha chiarito che non ci sarà un euro a
due velocità, Jens Weidmann (Bundesbank) ha rimarcato come Roma abbia «deluso
le aspettative di risanamento », con un debito pubblico sopra il 133% del Pil.
Si sussurra che Gentiloni e Padoan abbiano un’arma segreta: la privatizzazione
di un importante 'gioiello di famiglia' (quote della Cassa Depositi e
Prestiti?). Anche in questo caso, occorre cautela: in passato non tutte le
privatizzazioni hanno portato gli esiti auspicati.
Eppure il governo dispone di antidoti per rintuzzare
l’assalto. Sin dal 1999 la normativa prevede che gli emendamenti siano
corredati da analisi dei costi e dei benefici alla collettività. Esistono
'guide operative' (gli oltre 700 funzionari e dirigenti formati alla Scuola
nazionale di amministrazione fino al 2008, quando tali corsi furono dismessi)
per distinguere la 'buona spesa' da quella cattiva fatta a fini
particolaristici clientelari. Quindi, il modo di evitare la trappole c’è.
Giuseppe Pennisi
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