SPILLO/ Italia, un'altra tassa
occulta contro famiglie e imprese
Il ceto
politico, in Italia e in Gran Bretagna, ha subito duri colpi negli ultimi
giorni. E questa mediocrazia toglie risorse a famiglie e imprese, ricorda
GIUSEPPE PENNISI
12 giugno
2017 Giuseppe Pennisi
Lapresse
La settimana
scorsa si è chiusa con un doppia caduta della politica e del ceto che la
interpreta e le dà voce. In Italia e in Gran Bretagna. In Italia, come
sappiamo, la legge elettorale, apparentemente concordata tra le quattro
maggiori forze politiche, è fallita alla prima prova dell’aula, un fallimento
tanto più grave in quanto accompagnato dal goffo incidente di percorso di
rendere palese una votazione che sarebbe dovuta essere segreta. In Gran
Bretagna, il Primo Ministro Theresa May, che aveva indetto elezioni anticipate
nelle convinzione di ottenere una significativa vittoria, ha ora difficoltà nel
formare il Governo. Questi due avvenimenti avranno ripercussioni su tutta
Europa.
In Italia,
svanisce il programma di fare presentare la Legge di bilancio da un Governo
forte (probabilmente di grande coalizione) che avrebbe dato al Paese maggior
peso in Europa di quanto può averne un Esecutivo di fine legislatura e il cui
il Segretario del maggior partito delle coalizione insulta senza mezzi termini
il ministro degli Affari esteri. In Gran Bretagna è quanto mai difficile che si
riesca a formare un Governo, con gli “unionisti” dell’Irlanda del Nord, senza
che il programma del negoziato per la Brexit non subisca rimodulazioni. “I
negoziati per stabilire i termini del divorzio tra il Regno Unito e l’Unione
europea dovranno iniziare quando il Regno Unito sarà pronto”, ha detto il Capo
dei negoziatori europei per la Brexit, Michel Barnier, all’indomani del voto
britannico. “Il calendario e la posizione dell’Ue sono chiari. Ragioniamo
insieme su come chiudere un accordo”, ha detto Barnier, che lo scorso mese
aveva indicato il 19 giugno come data di inizio degli incontri.
Nel
contempo, alla notizia del fallimento del programma per l’approvazione della
legge elettorale italiana, le Borse hanno esultato. Più complesse le reazioni
alle elezioni britanniche. La sterlina si è indebolita nei confronti delle
principali monete. Secondo Léon Cornelissen, Chief Economist, e Lukas Daalder,
Chief Investment Officer di Robeco, i mercati finanziari si adatteranno ai
risultati delle elezioni britanniche “anche perché alla fine non cambia nulla
di sostanziale”.
Mentre il
ceto politico europeo incassa due brutti colpi, nello stesso giorno, a Tallinn,
in Estonia, il Presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha
tracciato un quadro relativamente incoraggiante dell’andamento dell’economia
reale nell’area dell’euro. La leggera ripresa si sta rafforzando e la Bce
intende sostenerla continuando sino a fine anno il programma di misure
monetarie “straordinarie” che va sotto il nome di Quantitative easing. Ciò non
toglie i sassi della scarpe di Paesi ad altissimo debito pubblico come
l’Italia, ma dovrebbe indurre a maggiore attenzione all’ormai prossima Legge di
bilancio e, dato che il Parlamento è in scadenza, a predisporre una legge
elettorale condivisa, semplice e trasparente.
Due
considerazioni, quindi, tra il politico e l’economico. Per un decennio, il
sindacalista francese Marc Blondet (non certo collaterale alla destra) ha
lamentato che nell’età della globalizzazione finanziaria, i Governi siano
diventati “subappaltanti” dei mercati. Più di recente, Andrea Mattozzi (del California
Institute of Technology) e Antonio Merlo (della University of Pennsylvania)
hanno elaborato, sulla base di un’analisi internazionale ma guardando
specialmente al caso Italia, una teoria sui metodi di reclutamento nei partiti
politici tradizionali - “Mediocracy” (“Mediocrazia- ossia il potere dei
mediocri”) NBER Working Paper No. W12920. I partiti sono in concorrenza con le
lobby dell’industria, della finanza, del commercio e via discorrendo per
reclutare dirigenti, quadri e personale con profili analoghi. Anche ove i
partiti potessero avere la prima scelta (le lobby pagano di più e offrono
carriere più stabili), decidono di reclutare i mediocri al fine di evitare che
i loro leader siano minacciati, o meglio insidiati, dall’interno. Per questo, i
loro dirigenti sognano di essere invitati a cena nei salotti buoni delle banche
e della finanza.
Più che
azionisti di riferimento di una “merchant bank” casereccia, si pongono come
subappaltanti di chi le “merchant bank” (anche a cacio e pepe) congettura (a
torto o a ragione) di controllarle. Ne risultano governi di subappaltanti. Ciò
non solo ha aspetti che interessano i politologi (può esistere una democrazia
in subappalto?), ma anche dimensioni nel campo degli economisti. Un Governo in
subappalto, infatti, ha difficoltà a decidere; si potrebbe dire che ciò è
dimostrato dalle vicende italiane degli ultimi 14 mesi. In un mondo dove tutti
corrono, chi non decide al più cammina - quindi, rispetto agli altri sta fermo.
Un’analisi della London Business School, della Boston University e della
Harvard Business School conclude che l’onere è pari allo 0,6% delle risorse di
famiglie e imprese - una vera pietra di piombo. Cari subappaltanti, quanto ci
costate!
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