*PENSIONI E MANOVRA: CONSIGLI PER UNA RIFORMA VERA
Roma -
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Roma - La parola “p…” è entrata – come ci si aspettava - nel dibattito sul “programma di stabilità e convergenza finanziaria”, in breve l’articolato approvato il 30 giugno dal Consiglio dei ministri e che ha, nella mente dei più, preso il posto della legge finanziaria d’antan. I meno giovani si ricorderanno che negli Anni 50 e 60, la “p…” era considerata una parolaccia tanto che Jean-Paul Sartre intitolò “La p….respecteuse” uno dei suoi drammi di maggior successo che a Roma venne rappresentato, tra molti borbottii dei pensanti, dagli irriverenti coraggiosi del Teatro delle Arti. Allora voleva dire “puttana” e la pièce era un dialogo tra una “p..” parigina e un militare alleato afro-americano, dialogo che toccava i massimi sistemi e riguardava la tolleranza nei confronti del mestiere dell’una e della pelle dell’altro.
Anche adesso la parola “p….” è vocabolo che nessun politico vorrebbe pronunciare: vuole dire “pensioni” ed evoca ricordi dei veri e propri moti che, utilizzando come stendardo la parola “p….”, nell’inverno 1994-95 venne scalzato un Governo legittimamente eletto e sostituito con un Esecutivo “del presidente”. Evoca anche una serie di riforme iniziate nel 1993 e conclusesi – si pensava nel 2004- ma in gran parte neutralizzate con la controriforma prevista della legge n. 247 del 24 dicembre 2007 , uno degli ultimi atti di quel “Governo Prodi” che nessuno desidera ricordare (neanche in sedute spiritiche organizzate da Medium di rango”. Nel 2009 – è doveroso ricordarlo – parte della legge n. 247/2007 è stata modificata con buon senso e razionalità.
Per chiunque è al Governo, la parola “p….” è pur sempre un macigno che si aggiungerà a tutti gli altri nel percorso minato per pareggiare il bilancio e ridurre drasticamente il debito pubblico. Tanto più che a causa della recessione (la contrazione di ben cinque punti del Pil nel 2009-2010) la spesa per le pensioni pubbliche ha raggiunto il 16 per cento del reddito nazionale e non si è ancora attivato un efficiente sistema di previdenza privata (sono stati autorizzati circa 700 fondi privati, molti dei quali così lillipuziani da non infondere fiducia a nessuno).
Il macigno si trasforma in un detonatore al momento in cui le pensioni medio–alte (ossia sopra i 1.400 euro lordi al mese), già penalizzate del populismo prodian-ferreriano con l’Accordo sul Welfare del 27 luglio 2007, vengono ulteriormente colpite. È comprensibile che i sindacati protestino. È anche comprensibile che la Lega Nord minacci di sfilacciarsi dal Governo come già fece nel 1994. Non sono unicamente ragioni particolaristiche (ossia il fatto che in gran misura i pensionati con assegni – lordi – superiori ai 1400 euro al mese si concentrino nel Centro Nord).
Ci sono determinanti economiche serie:
1. In primo luogo, la bassa crescita economica è in gran misura funzione della stasi (ove non riduzione dei consumi). E’ iniziata la stagione dei saldi: i negozi sono vuoti. E’ cominciata quelle delle vacanza: gli alberghi offrono stanze a prezzo di costo e le crociere pure a prezzi inferiori al costo marginale. I pensionati hanno un’alta propensione al consumo: senza il loro apporto, l’Italia resta piatta.
2. In secondo luogo, nel lontano 1997, documentai in un libro esaurito da tempo ma da nessuno smentito che il “welfare” all’italiana si basa su un marchingegno bizzarro: le pensioni dei nonni pagano la scuola dei nipoti e anche parte del fitto dei figli. È un sistema da correggere ma con gradualità e buon senso non soltanto per risparmiare cassa.
Non che il sistema previdenziale italiano non vada ritoccato con misure quali: a) aumento dell’età della pensione (con eccezioni per i lavori davvero usuranti); b) estensione a tutti le tecniche di computo pro-quota previste dal Notional defined contribution system introdotto nel 1995 c; c) aggiornamento dei coefficienti di trasformazione per tenere conto dell’allungamento delle aspettative di vita); d) incremento delle pensioni minime e aggancio della loro evoluzione all’andamento dei salari (come prima del 1993); e) un indicizzazione più forte per gli ultra 75enni (a ragione delle pi alte spese per la cura della persona in cui si incorre in tarda età. I risparmi sulle voci a), b) e c) di cui beneficiano, di norma, coloro con redditi alti o medio alti, sarebbe serviti a finanziare le voci d) ed e) , dirette invece a chi è in condizioni di vero disagio. Per la previdenza complementare è urgente favorire l’accorpamento di fondi pensione ed abolire la Covip o affidarla a effettivi esperti di previdenza, anche comparata. La possibile riorganizzazione degli istituti previdenziali deve essere vista in questa ottica e portata avanti solamente se comporta risparmi certi e dopo l’integrazione dei rispettivi sistemi informatici. Parte di queste misure sono previste nel provvedimento in attesa di essere presentato al Parlamento. La riduzione delle indicizzazioni ed in molti casi il blocco è in aperto contrasto con i punti c) e d).
Soprattutto senza una riforma vera dei costi della politica (portare immediatamente indennità di ogni genere ai livelli della media europea per tutte la cariche elettive; dimezzamento dei contributi alle spese elettorali ed ai giornali di partito) vorrebbe dire sconfitta certa alle prossime elezioni per chi propone tagli o contenimenti alla pensioni.
Cavaliere, attenzione alla “p…..”, potrebbe non essere rispettosa (come lo era quella di Sartre).
(Giuseppe Pennisi) 04 Luglio 2011 19:49
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