lunedì 18 luglio 2011

I CONTI DELLE INFRASTRUTTURE , FORMICHE LUGLIO

I conti delle infrastrutture
01/07/2011 | Giuseppe Pennisi

La politica per le infrastrutture sarà tema centrale della ripresa autunnale nell´Unione europea. Per formularla occorrono, in primo luogo, definizioni e dati su cui si sia tutti d´accordo.

Uno studio della Bei pubblicato a fine maggio documenta come, nonostante decenni di lavoro da parte dell´Eurostat, gli indicatori della spesa per le infrastrutture siano difficilmente comparabili. Specialmente se si esce dal campo relativamente semplice delle infrastrutture fisiche spesso in condizione di monopolio naturale (strade, ponti, ferrovie, porti, idrovie, smaltimento di rifiuti). Secondo Bei, tale definizione include esclusivamente l´infrastruttura "economica", escludendo quella "sociale" (scuole, ospedali). Da circa trent´anni varie forme di capitale "umano" e di "capitale sociale" sono considerate le leve per la crescita inclusiva e lo sviluppo endogeno. Inoltre, le infrastrutture immateriali, quali le reti della Itc (Tecnologia dell´informazione e della comunicazione) sono da anni incluse nel comparto delle infrastrutture. Paradossalmente in Italia, mentre negli ultimi quattro anni il rapporto investimenti pubblici per infrastrutture, in senso stretto, è sceso (raffrontando i bilanci dello Stato pubblici e la contabilità economica nazionale) da 2,5% a 1,6% del Pil e si aggirava sul 3% negli anni Ottanta il rapporto sarebbe rimasto sostanzialmente stabile (attorno al 18% del Pil) includendo le spese per istruzioni e sanità, quelle maggiormente dirette al capitale umano e sociale, e toccherebbe il 25% aggiungendo varie forme di Itc. Una delle ragioni per cui non è stata accettata, a livello dell´eurozona, l´ipotesi di una "golden rule" tale da esentare le spese per l´investimento dal computo del rapporto tra spesa pubblica e Pil ai fini del "patto di crescita e di stabilità" risiede nella difficoltà di definire cosa, in una visione moderna del pensiero economico, debba o non debba rientrare nel concetto di spesa per investimento.

Occorre poi ricordare un aspetto sollevato circa venti anni fa dall´allora direttore del Congressional budget office, Alice Rivkin: in un´economia avanzata e matura, le spese infrastrutture fisiche differiscono in misura significativa da quelle che caratterizzano Paesi o regioni in via di sviluppo: nei Paesi maturi riguardano non tanto la creazione di nuove infrastrutture fisiche quanto l´ammodernamento e la manutenzione straordinaria di quelle esistenti e, di conseguenza, assume un ruolo specialmente importante il dibattito su come contabilizzare i "costi accantonati" (in gergo i sunk cost) mentre, di converso, esternalità ed interdipendenze e prezzi ombra di alcuni fattori (lavoro) sono centrali nell´analisi economica di nuove infrastrutture fisiche.
Queste considerazioni sono utili non unicamente sotto il profilo metodologico ma anche per spiegare, da un canto, il differente grado e natura di dotazione in infrastrutture tra varie aree d´Europa e d´Italia, ma anche i differenti effetti della crisi in corso dal 2007 tra il gruppo originario, o quasi, di Stati dell´Unione europea e gli Stati neo-comunitari.
Nell´Ue a 15, in effetti, c´è stata una marcata riduzione della spesa per infrastrutture secondo la definizione di Gramlich, mentre negli Stati neo-comunitari la flessione è stata breve e poco marcata. Nel primo gruppo, i programmi di ammodernamento e di manutenzione straordinaria potevano essere posposti; nel secondo, invece, ritardi in questo campo avrebbero reso molto più lunga e molto più difficile la convergenza con il resto dell´Ue.

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