mercoledì 27 luglio 2011

L'ESTATE DEGLOBAL in Il Velino del 27 luglio

L'ESTATE DEGLOBAL
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Roma - Il Velino del 5 gennaio ha avvertito che il 2011 sarebbe stato ricordato negli annali della storia economica come l’anno della deglobalizzazione. Non ci piace certo essere profeti di sventura, ma i fatti ci stanno dando ragione: siano in una nuvolosa e tempestosa “estate deglobal” che nelle storie dell’economia verrà ricordata come quella in cui il rallentamento del processo di integrazione economica internazionale iniziato con la crisi economica del 2007 ha superato il punto del non ritorno; grazie al processo d’integrazione economica internazionale, produzione e redditi sono aumentati a tassi mai visti raggiungendo, in alcune aree del mondo, livelli considerati, un tempo, inconcepibili. In Italia i giornali non ne parlano, presi da tanti altri avvenimenti e internazionali e nostrani. Anche nel resto del Vecchio Continente e negli stessi Usa, l’“estate deglobal” è tema per quei palati fini che assaporano riviste specializzate. Su una di esse “Foreign Affairs” ha lanciato un avvertimento apocalittico lo storico Niall Ferguson: traccia un parallelo con l’estate 1914 (quella dell’inizio della prima guerra mondiale).

Restiamo più terra terra rivolgendosi a fatti e indicatori alla portata di tutti (e non presi in considerazione da Ferguson). Il primo è il fallimento del negoziato per la liberalizzazione degli scambi mondiali lanciato nel novembre 2001 nell’ambito del Wto (Organizzazione commerciale mondiale): in questi giorni, a Ginevra, le delegazioni hanno ammesso di essere giunte a un punto morto sui temi centrali e mirano al più a un’intesa minimale che forse il Congresso Usa neanche ratificherà. Alla riunione ministeriale in programma a Hong Kong in dicembre verranno fatti unicamente ritocchi marginali ai regimi in vigore. Infatti, nonostante sei ani fa abbiano preso l’avvio la zona di libero scambio centro americana (Cafta) e la zona di libero scambio Usa-Australia (Ausfta), il Congresso ancora non ratifica gli accordi bilaterali con Corea, Colombia e Bolivia conclusi dall’Amministrazione Bush. La galassia degli acronimi indica che il sistema commerciale è in via di frammentazione. Le mancate ratifiche degli stessi accordi bilaterali suggerisce che il protezionismo sta avanzando alla grande.


In tema di integrazione finanziaria il quadro non è più incoraggiante. Anni fa nel Journal of Finance, René Stullz dell’European Corporate Governance Institute ne mostra “i limiti” e ne traccia “i passi del gambero”. Stiamo però andando molto peggio di quanto preconizzato: per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, Usa ed Europa sono afflitti da crisi del debito sovrano , differenti in natura e sostanza, e vanno ciascuna per la propria strada senza alcun coordinamento nell’area economica “atlantica”. All’interno dell’Unione Europea (Ue) numerosi Stati che avevano sottoscritto l’accordo di Schegen lo hanno sospeso, o di fatto o di diritto. I provvedimenti anti-terrorismo comportano necessariamente freni alle migrazioni internazionali.

Si potrebbero citare molti altri casi. Chi sono gli alleati della deglobalizzazione? Non sono certo i rumorosi “no global” in grado di organizzare manifestazioni ma non di invertire tendenze. I veri alleati della deglobalizzazione sono quelli che, ai tempi del Kennedy Round della metà degli Anni 60, Mario Casari chiamava i ”barracuda-esperti”, sovente alti funzionari molto vicini a settori intrinsecamente protezionisti, nonché a sindacati anch’essi ostili alla globalizzazione. I deglobalizzatori hanno trovato nuova nobiltà nell’atmosfera neo-colbertiana che, da qualche anno, aleggia nelle cancellerie e nei Ministeri. Il rallentamento economico in atto in Europa aggrava la situazione alimentando e “barracuda esperti” e “neo-colbertiani”.
(Giuseppe Pennisi) 27 Luglio 2011 10:50
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