MA NELL’AGENDA C’E’ POCO REDDITO
Giuseppe Pennisi
I Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea (UE) si riuniscono nell’ultimo (in ordine di data) vertice del 2010 per riflettere su dove sta andando l’UE in un “dopo-crisi” di cui non si vedono ancora i lineamenti. Appena tre giorni fa, un rapporto dell’Ocse sull’eurozona ha ammonito che la ripresa della produzione sarà lenta; ancora più distanti sono i tempi del rilancio dell’occupazione e del lavoro. I 20 maggiori istituti econometrici internazionali prevedono il ritorno, per alcuni anni, di quei tassi di disoccupazione a due cifre che sembravamo avere dimenticato. Uno studio, al momento disponibile unicamente in tedesco, della Friedrich Ebert Stiftung, FES (il pensatoio tradizionalmente vicino al Partito Social Democratico tedesco) documenta che le diseguaglianze stanno crescendo non solo tra Paesi (il Pil pro-capite del Lussemburgo è 60.000 euro l’anno, quello della Romania non raggiunge i 3.000 euro) ma anche all’interno dei singoli Paesi, come affermano gli stessi dati Eurostat che pur , secondo l’analisi della FES, sottostimano il fenomeno. All’interno dell’eurozona, già prima della crisi, era in corso una compressione dei redditi da lavoro rispetto ai redditi da capitale: tra il 1970 ed il 2006, nell’area dell’euro la proporzione dei redditi da lavoro sul totale era scesa dal 68% al 57% del totale – curiosamente una quota analoga a quella rilevata in Italia nel 1967, alla vigilia, quindi, dell’”autunno caldo”. Dal 2006 alle stime preliminari per il 2010, i redditi da lavoro nell’eurozona hanno avuto un’ulteriore compressione ed ora sfiorano il 55% del totale. Ciò vuol dire che l’obiettivo di fondo di “Europa 2020” – “la crescita inclusiva”- si sta allontanando. Non avvicinando.
Inoltre, le reti di tutela sociale differiscono profondamente da Stato a Stato sia sotto il profilo normativo sia sotto quello del loro effettivo funzionamento: a fine novembre, la Banca centrale di Finlandia ha diramato un’analisi statistica relativa specificamente al funzionamento, non solo alle normativa, delle “ciambelle di salvataggio” per chi scende sotto il livello di povertà nei 27 dell’EU ed in particolare nell’eurozona. Il divario si sta accentuando: lo studio avverte che è una mina vagante che mette a repentaglio tanto l’Unione quanto l’area dell’euro.
L’agenda del vertice europeo sfiora appena questi temi. L’attenzione dei Capi di Stato e dei Ministri che li accompagnano con il consueto seguito di barracuda-esperti, è concentrata su tematiche immediate, principalmente quelle dell’aumento di capitale della Banca centrale europea (Bce) e della capacità del Fondo Europeo di Stabilizzazione a fare fronte al rischio di insolvenze di “debiti sovrani” nell’area dell’euro – insolvenze che minacciano l’esistenza stessa dell’unione monetaria e, quindi, il processo d’integrazione europea. In questo contesto si pone anche il dibattito sulla desiderabilità ed opportunità di Eurobonds e su come tali “bonds” debbano essere strutturati (se coprire il 100% del valore nominale del debito che andrebbero a riscattare od una percentuale minore), chi debba emetterli, chi sottoscriverli prima che vengano venduti al dettaglio tramite i consueti canali bancari. Questi non sono unicamente problemi di breve periodo: un’analisi dell’autorevole centro studi Bruegel documenta che senza ridurre il fardello del debito (e di quello con creditori esteri in particolare), in Europa, ed in specie nell’area dell’euro, la crescita sarà rasoterra per il decennio che sta per iniziare. Aggravando anche i problemi di coesione sociale.
Tuttavia, proprio il nesso forte (anche se poco visibile nella diplomazia economia europea e nei media) tra il risanamento finanziario e la coesione sociale nell’UE e nell’eurozona, dovrebbe indurre i Capi di Stato e di Governo ad un maggiore equilibrio, nelle loro discussioni al vertice, tra le due categorie di temi e problemi. E’ compito specifico loro, non del codazzo di “barracuda esperti”. Lo auspichiamo.
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