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ECO - Eurobond: manuale per l'uso
Roma, 23 dic (Il Velino) - Gli Eurobond sono il tema rimasto, per così dire, senza risposta al vertice europeo del 16-17 dicembre per motivi sia politici (l’opposizione principalmente della Germania) sia tecnici. Sul tema c’è una vasta letteratura e il lavoro migliore e più recente è un saggio di Carlo A. Favero e Alessandro Missale, rispettivamente della Bocconi e dell'Università di Milano. Pure questo lavoro, però, presenta delle lacune. Cerchiamo di fare una sintesi sulla base dell’esperienza in un linguaggio che possa essere utile ai nostri lettori. Non si tratta di un’idea nuova. Ne sono state fatte numerose formulazioni in passato. Ad esempio, già negli Anni Sessanta, Alexandre Lanfalussy propose obbligazioni a supporto della politica agricola comune. Negli Anni Settanta, venne fatta una proposta da François-Xavier Ortoli, all’epoca presidente della Commissione europea (giornalisticamente vennero chiamati “Ortoli Bonds”): avrebbero avuto essenzialmente lo scopo di rilanciare occupazione e crescita tramite grandi investimenti. Ne circolarono varie versioni: secondo alcune sarebbero stati emessi dalla Banca Europea per gli Investimenti (Bei), secondo altre dalla Commissione europea in prima persona. Vennero, poi, proposti, sempre in chiave di finanziamento dello sviluppo, nel piano Delors per l’integrazione del mercato europeo.
L’ultima proposta, formulata da Mario Monti, riguarda “Eurobond” a più valenze, che verrebbero emessi da un’Agenzia europea per il debito ancora da istituire. In prima battuta, servirebbero ad alleggerire il debito “sovrano” di Stati iper-indebitati; in seconda, allo sviluppo, alla stregua degli “Ortoli Bonds” e dei “Delors Bonds”. In questo quadro, si collocano anche gli Eurobond lanciati da Giulio Tremonti e Jean-Claude Juncker. Se ho ben compreso la proposta a sottoscriverli sarebbero i Tesori e le banche degli Stati iper-indebitati dell’Unione monetaria; in tal mondo si alleggerirebbe (a tassi e termini più conveniente) il fardello dei loro debiti (principalmente quelli con l’estero). Al pari dei bond di Bei, di Banca mondiale, di banche regionali di sviluppo, gli "Eurobond" potrebbero arrivare al dettaglio tramite i normali canali bancari ed essere acquistati dai risparmiatori che si recano dai promotori finanziari e dai “borsini” (in linguaggio colloquiale) d’intermediari finanziari per essere consigliati su come collocare quanto messo da parte. Gli Eurobond proposti da Mario Monti non salverebbero l’euro ma toglierebbero d’impaccio (alleviando il peso del debito sovrano) alcuni Stati.
In effetti, uno schema analogo (i “Brady Bonds” dal nome del Segretario al Tesoro Usa Nicholas Brady) è stato applicato, con successo, a cavallo tra la fine degli Anni Ottanta e l’inizio degli Anni Novanta e, poi, nel 1998-99, per agevolare Stati altamente indebitati principalmente dell’America Latina e dell’Asia. Vennero utilizzati per riscattare parte del debito in valuta forte. I “Brady Bonds”, però, coprivano solo il 70 per cento del valore nominale dei titoli portati al riscatto: chi aveva investito in Brasile o in Malesia attratto da alti interessi (o alti spread), ci rimetteva parte del valore in conto capitale e in futuro sarebbe stato più accorto. “Bonds” pari al 100 per cento del valore facciale – come sembra sia la versione più recente – sarebbero come un condono od una sanatoria: secondo Berlino incoraggerebbero a razzolare male nella prospettiva di qualche buon samaritano (i contribuenti europei, ossia tutti noi). Gli elettori tedeschi hanno inviato al loro governo un messaggio del tutto condivisibile, nonostante i maggiori beneficiari degli “Eurobond” sarebbero le banche tedesche che, con quelle francesi, si sono più esposte nei confronti di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna (in ordine rigorosamente alfabetico).
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