Oggi 16 aprile scadono i termini per presentare offerte tecniche e finanziarie per la gara Alitalia. Dagli 11 contendenti che il 29 gennaio, senza sborsare un solo euro, si erano fatto avanti, sono rimasti tre moschettieri- in ordine alfabetico, Aeroflot (ultima arrivata, ma con il sostegno finanziario di UniCredit), AirOne (dietro le cui spalle c’è il supporto di Sanpaolo Intesa e quello tecnico di Lufthansa) e Tpg e MattlinPatterson (che hanno recente acquistato una piccola compagnia area Usa e contano sulla borsa, e la rete di rapporti, di Mediobanca). E’ abbastanza chiaro il disegno di Palazzo Chigi (che si considera la stazione appaltante, anche se si credono tali il Ministero dell’Economia, il Ministero dei Trasporti ed il Ministero delle Infrastrutture ed un’altra mezza dozzina di dicasteri- poiché che tutti i titolari fanno dichiarazioni in proposito alla gara ): dato che il beauty contest (come Il Tempo ha rivelato dallo scorso autunno non si sta facendo un’asta, ma una gara a chi più si approssima ai desideri di chi vende) dà ampia discrezionalità, l’idea sarebbe di creare un polo AirOne-Lufthansa vicino al Presidente del Consiglio, da giustapporre in Europa al nascente polo Air France-Iberia. Però Aeroflot (e UniCredit) hanno rotto le uova nel paniere tanto più – come sottolineato da Il Tempo del 10 aprile- che i russi si aspettano qualcosa dalla generosità mostrata, in una gara simile, nei confronti di Eninftgaz (joint venture Eni-Enel) per la parti più succulente di quella che fu la Yukos. Ed i russi hanno ascoltatori attenti nei dicasteri economici ed alla Farnesina, nonché tra i Ds (con cui hanno legami cinquantennali).
A rendere tutto più complicato sono le parole dei vari esponenti del sinedrio dell’Unione. Le più recenti sono quelle del Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi secondo cui chi vuole Alitalia deve mettere sul piatto 3 miliardi di euro (a fronte di una capitalizzazione di mercato di 1,4 miliardi di euro e di un fardello di 1,1 miliardi di debiti finanziari). Non è da escludersi che, nonostante l’ampia libertà di manovra data dal beauty contest, si finisca con la cronaca di una buca annunciata, senza né vincitori né vinti (tra i moschettieri) a ragione della poca chiarezza di idee del sinedrio della stazione appaltante.
Ci sono buche pure nel caso di aste. Patrick Meister e Kyle Anderson analizzano il fallimento dell’asta per USAir in un saggio nell’ultimo numero di Economic Inquiry (Vol. 44 , N 2 pp. 311-317) che a Palazzo Ghigi e dintorni si farebbe bene a leggere. L’asta non era stata impostata con tutti i crismi (quali indicati, ad esempio, nel manuale curato da Nicola Dimitri, Gustavo Piga, Giancarlo Spagnolo per conto della Cambridge University Press meno di un anno fa). Soprattutto se vincere equivale sborsare troppo od ad accollarsi perdite si lascia prima degli ultimi stadi poiché chi vince ci rimettere in termini di competitività nei confronti dei concorrenti che, invece, perdono la gara. La “maledizione del vincitore”, aspetto noto della teoria dei giochi, diventa, romanescamente parlando, una vera sola o fregatura. Tuttavia, è proprio la buca (peraltro non annunciata) dell’asta USAir indica come l’Italia possa uscire dal vicolo.
L’asta USAir era al maggior offerente (date le specifiche di flotta, equipaggi, supporto a terra). Non sarebbe fallita se fosse stata un’asta alla Vickrey, quella che garantisce la maggiore efficienza in quanto aggiudica a chi offre di più ma al prezzo del secondo concorrente. L’Alitalia avrà sì le ossa rotte ma dispone ancora di tecnici capaci di redigere un capitolato dettagliato, essenziale per una vera asta di questo tipo. Si restringerebbe, è vero, l’ampio margine di manovra alla commissione di aggiudicazione. La politica dovrebbe fare un passo indietro. Per Romano Prodi vorrebbe dire addio al sogno di essere al centro di un rosone di banche ed aziende collaterali. Un addio che sarebbe un bene per l’Italia.
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