Quanto costa alla collettività (ed in particolare alle imprese) la regolamentazione? E’ stato uno dei temi fondanti dell’ultima parte della XIII legislatura, quando venne varato il programma di Analisi di impatto della regolazione (Aiv), sulla scia di una strategia analoga allora al centro dell’attenzione da parte dell’Ocse. Nella XIV legislatura si è cercato di portarlo avanti, dando la priorità a deregolamentare, e delegiferare, al fine di ridurre il vero e proprio Everest di norme primarie, secondarie, terziari, decreti e quant’altro da cui rischia di essere non solo frenata ma anche schiacciata l’economia. L’idea di fondo nel 2001-2005 era non tanto di cercare di trovare un filo di Arianna per attraversare la selva oscura (di norme primarie, secondarie, terziari, decreti e quant’altro) ma di prendere un diserbante serio (come la sunset regulation) in base al quale tutte le leggi debbano hanno una validità temporale ben precisa – non si accavallano all’infinito le une sulle altre). In questa ottica si sarebbero fatte analisi rigorose di costi e benefici e di impatti (quali l’Aiv) alla collettività. A tale scopo era stato messo al lavoro un comitato per la semplificazione a Palazzo Vidoni (sede del Dipartimento della Funzione Pubblica) Gli studi iniziati nella XIII legislatura sono, tuttavia, continuati nella XIV e completati – dopo ritardi biblici- all’inizio della XV legislatura. Anni ed anni di analisi e consulenze hanno partorito un topolino: si è arrivati ad avere contezza dei costi alle imprese della regolamentazione in materia di biscotti, vivai e qualche altra piccola cosa. Adesso i consulenti lavorano sui costi ed i benefici della regolamentazione in tema di privacy, tema importante (specialmente dopo gli ultimi scandali sulle intercettazioni) ma non fondamentale per la politica economica.
Nella XII legislatura si era, come si è accennato, al traino dell’Ocse che nel 1997 aveva lanciato un programma di deregolamentazione, a completamento ed integrazione dei programmi di privatizzazione e di liberalizzazione allora in corso in gran parte dei 30 Stati membri dell’organizzazione. Le istanze stataliste hanno gradualmente inciso non solo in Italia ma anche a Château de la Muette, prestigiosa sede parigina, dell’organizzazione. Adesso di privatizzazioni e di liberalizzazioni si parla molto poco nel maniero parigino che appartenne ad André Pascal. Più raffinato il modo con cui si è declassata, in sede Ocse, la priorità della deregolazione – unica arma per tagliare il nodo della rete di regole e contro-regole che avviluppano le imprese europee. Il programma è stato trasformato in strategia per “migliorare” la qualità della regolazione”.
In Italia, sempre sulla scia dell’Ocse, il comitato per la semplificazione normativa (in effetti per la deregolazione) creato a Palazzo Vidoni nella XIV legislatura, è stato sostituito con un’architettura barocca: a Palazzo Chigi un comitato di Ministri per dare indirizzo sulla “qualità” della regolazione (il comitato si riunisce di rado) non su come sfoltirla, un tavolo permanente (in pratica intermittente) per la semplificazione, una unità per la semplificazione e la qualità della regolazione (allo scopo, pare, di chiudere il comitato nominato dal Governo precedente a Palazzo Vidoni, perdendo il lavoro già fatto), 20 esperti esterni (i soliti jobs for the boys).
L’Abi ha avuto la buona idea di mettere a confronto, esponenti Ocse e l’Ue per esaminare esperienze internazionali : il seminario (di cui è da augurarsi che gli atti vengano pubblicati e diffusi) riguardava naturalmente la regolazione (e la sua qualità) nel campo bancario e finanziario; non ha potuto, però, non toccare il quadro più vasto (ossia il metodo per calcolarne i costi). In primo luogo, è apparso che l’analisi della regolazione fatta dalla Financial services authority britannica sia ben superiore a quella delle altre agenzie: con una seria analisi costi ricavi e/o costi benefici, si possono disboscare le regole inutili da quella che i francesi chiamano la montagna legislativa. Molto criticato il modello danese, seguito (pare) dell’Italia, in quanto troppo elementare e privo del rigore economico. Del caso Italia si è parlato poco ed in termini generali. Meglio così. Le stessa analisi sui costi della regolazioni per vivai e forni non sono state pubblicate o rese di evidenza pubblica: gli addetti ai lavori sanno qualcosa sull’impatto, in termini di costi, delle regolazione sulle piantine e sui biscotti, ma poco o nulla sui settori davvero rilevanti (come le banche). Tevye, il lattaio russo, protagonista del noto romanzo di Sholom Aleichem, da cui sono stati tratti una commedia musicale ed un film diffusissimi, diceva che di una situazione del genere non ci si deve necessariamente vergognare ma non si può neanche essere orgogliosi. Il Sottosegretario Enrico Letta a cui è stata affidata questa grana (con visibilità internazionale) ha la potestà di cambiare metodo e squadra. Speriamo lo faccia presto. Ne “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare, Porzia, travestita da avvocato, invoca the quality of mercy , la qualità della tolleranza, come argomento per sbrogliare il complesso nodo giuridico-regolatorio in cui, a fin di bene, si è ficcato il suo amato Antonio. Il mercy - lo sapeva bene Porzia – è più importante della sua qualità. Invochiamo anche noi the quality of mercy. Perché si ritorni all’obiettivo iniziale di semplificazione delle regole (senza tante costose architetture barocche e schiere di barracuda- esperti). (g. p.)
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