Per Romano Prodi più importante del Partito Democratico, a cui si sta tentando di dare vita in questi giorni, è “partito-aziende”- un soggetto politico che, per la pattuglia di fedelissimi portati in Parlamento avrebbe la propria forza non nel suffragio elettorale ma in una rete di aziende ad esso collaterali. E’ un disegno non condiviso affatto dal resto del sinedrio dell’Unione a cui va benissimo un Presidente del Consiglio debole a cui si può dare lo sfratto da Palazzo Chigi quando ci sono altri inquilini (sempre a sinistra) pronti a subentrare.
Il primo blocco del “partito-aziende” è stato messo con la fusione Intesa- San Paolo. Un banchiere serio come Giovanni Bazoli, in interviste concesse negli ultimi giorni, non ha fatto mistero né dei suoi collateralismi bolognesi né dei ripetuti inviti a entrare in politica attiva a cui ha risposto sostenendo di essere più utile come fiancheggiatore che come attore.
La banca di Prodi (chiamiamola così) si sta rivelando molto importante nel dipanare la matassa Telecom. Dopo il ritiro di AT & T, Intesa. San Paolo potrebbe diventare il “cavaliere bianco” a garanzia dell’italianità dell’ex-monopolio, nonostante le mire (e la liquidità) dei messicani (rimasti ancora in campo). Sotto il profilo economico, non soltanto non si abbandona il programma, peraltro piuttosto ragionevole, di dare vita a quello che potrebbe diventare un “campione europeo” se Intesa- San Paolo fa da collante ad una cordata industriale in cui potrebbero entrare anche gruppi che non hanno grande simpatia per Prodi e la s.p.a. spagnola delle telecomunicazioni. L’intervento dell’istituto finanziario vicino alla pattuglia del Presidente del Consiglio (se ci sarà), porrebbe un’ipoteca di collateralismo anche sulla nuova Telecom, quale che sia la compagine azionaria.
Su un altro fronte, il recente contratto Eninftgaz (la joint venture Eni-Enel – ah quelle partecipazioni statali sempre nel cuore di Romano Prodi e della sua squadra!) per bocconi appetitosi della ex-Yukos sta diventando la leva per un’altra componente importante del “partito- aziende”; l’Alitalia, compagnia anche essa sempre presente nei sogni di suoi fedelissimi come Giovanni Bisignani e Alessandro Ovi. Ai russi - è noto- piace il baratto: se Eninfgatz assapora le parti più succulente della ex-Yukos perché alzare barriere ai piani (non tanto segreti) che Aeroflot ha per Alitalia (farla diventare un linea di superlusso, dando una tagliata ai rami in perdita o a bassa redditività)? Potrebbe essere anche più promettente (sotto il profilo del “partito-aziende”) di una vendita dell’Alitalia all’Air One.
Ai politologi l’ardua sentenza sui meriti e demeriti del “partito-aziende”. Agli economisti, una riflessione: i suoi benefici alla collettività sono difficili da individuare mentre il suo costo è facilmente stimabile, soprattutto in termini di posti di lavoro (la riorganizzazione delle rete Intesa Sanpaolo già in atto, il riassetto di Telecom chiesto dalla banca di Prodi a voce ancor più alta di quella degli americani e dei messicani, una cura dimagrante siberiana per Alitalia). Quanti? Almeno sui 30-50 mila. I 20 maggiori istituti di previsioni econometriche prevedono un aumento del tasso di disoccupazione , ora al 6,5% della forza lavoro, nel 2008. Risultato del “partito-aziende” di cui si stanno tessendo le fila nelle merchant bank di Palazzo Chigi (dove di questi tempi si parla bene l’inglese e si parlotta pure un po’ di russo)?
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