Il presidente della Commissione Ue, Barroso
Caso Battisti: il Parlamento Ue si è espresso. E la Commissione?
Ma il Brasile non può
intimidire l'Europa
di Giuseppe Pennisi
Il Parlamento europeo, con un voto che ha rasentato l’unanimità, ha chiesto al Brasile l’estradizione in Italia del pluriomicida Cesare Battisti. È un primo importante passo verso quella “risposta europea” auspicata dal nostro Ffwebmagazine del 7 gennaio. Il passo è tanto più importante e significativo perché il Parlamento Europeo è istituzione politica e democratica; ha agito, inoltre, in un momento in cui la posizione internazionale dell’Italia è indubbiamente indebolita da quelle che possiamo chiamare il “Rubygate”. Il Parlamento ha, quindi, voluto esprimere come il torto sia stato fatto non solo all’Italia ma all’intera Europa, alla sua tradizione giuridica, ai suoi valori di umanità, pietas ed equità.
La Commissione Europea, organo che dovrebbe essere considerato meramente burocratico e a tal rango dovrebbe essere ridotto, trascina i piedi e sostiene che la questione è puramente bilaterale tra Roma e Brasilia. Non sono un esperto di diritto europeo ma specialisti del campo dovrebbero esaminare se la posizione della Commissione è in linea con i Trattati. Ove non lo fosse il prossimo Consiglio Europeo del 4 febbraio dovrebbe metterla in riga e chiedere che vengano applicate sanzioni comunitarie nei confronti del Brasile, resosi vero e proprio “out-lawed” del diritto internazionale.
L’argomento è che sono troppi gli interessi economici e finanziari che il’Europa ha nel vasto paese sudamericano. Oggi il Brasile è l’ottava maggiore economia del mondo in termini di Pil nominale e la nona in termini di Pil calcolato in termini di parità di potere d’acquisto secondo la metodologia della Banca Mondiale. Il potenziale di crescita del paese è noto da decenni e si fonda su una ricca dotazione di risorse naturali e su una popolazione di circa 200 milioni di abitanti, fortemente integrati pur se provenienti da razze ed etnei differenti. Il portoghese e la religione cattolica sono stati tra gli elementi unificanti. Da circa vent’anni, il tasso di crescita annuo del Pil è stato attorno al 5% l’anno. Si temeva in una contrazione quando un esponente della sinistra , Luis Lula da Silva, è stato eletto presidente nel 2002 (e ri-eletto nel 2008).
L’aumento del Pil non ha subito freni, nonostante una politica economica caratterizzata da un maggior intervento pubblico che nel passato e una più marcata attenzione agli aspetti sociali: dal 2000 a oggi il reddito pro-capite è aumentato circa del 35% (nonostante la crisi economica internazionale, che ha comunque appena sfiorato il Paese). Nel 2002, per fare fronte a difficoltà alla bilancia dei pagamenti (dovute anche a fughe di capitali conseguenti l’avvento del nuovo Governo), il Brasile ha ottenuto dal Fondo monetario un prestito di ben 30 miliardi di dollari da rimborsare entro il 2006; lo ha restituito un anno prima della scadenza.
Un rapido sguardo alla contabilità economica nazionale mostra una nazione fortemente caratterizzata dai servizi e dal manifatturiero; l’agricoltura conto quasi il 6% del Pil. Molto dinamico il commercio con l’estero: i principali prodotti da esportazione sono l’aeronautica, l’impiantistica elettrica, le automobili, i tessili, la siderurgia, il caffè e derivati dall’agricoltura (come la soia, la carne in scatola, i succhi di frutta e, in misura crescente, l’etanolo).
Tuttavia, nonostante l’attenzione alla distribuzione del reddito e alla mobilità sociale particolarmente marcata negli ultimi otto anni, il Brasile ha ancora oggi un tasso d’analfabetismo del 10%, aree (quali in Nord Est) in forte ritardo di sviluppo e periferie delle grandi metropoli dove domina la povertà. Le tensioni stanno crescendo. Le stime per il 2011 parlano di un forte rallentamento della crescita del Pil.
In breve, il Brasile è, indubbiamente, una tigre. Ma una tigre di carta. Che non può e non deve intimidire l’Europa. Se la Commissione si impaurisce, non merita di restare in carica.
22 gennaio 2011
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