giovedì 27 gennaio 2011

L’ombra del petrolio dietro la rivolta in Albania in Affari Internazionali 27 gennaio

L’ombra del petrolio dietro la rivolta in Albania
Giuseppe Pennisi
27/01/2011
Il conflitto tra governo ed opposizione in corso in Albania non ha radici esclusivamente politiche, ma anche, e forse soprattutto, economiche. Le elezioni parlamentari del 2009 sono state vinte per un soffio dall’Alleanza per il Cambiamento, una coalizione di partiti di centro-destra guidata da Sali Berisha, che ha conquistato il 46,85% dei voti (70 seggi). L’Unione per il Cambiamento, una coalizione di centro-sinistra guidata dall’attuale sindaco di Tirana Edi Rama si è fermata al 45,34% dei voti (66 seggi); il resto si è disperso in liste minori di ispirazione socialista (che hanno conquistato otto seggi). Pur rilevando varie irregolarità, gli osservatori internazionali hanno giudicato le elezioni nel complesso corrette, nei limiti di quanto possibile in un paese in via di sviluppo che ha subito decenni di dittatura e la cui struttura sociale è ancora in parte basata su clan spesso in lotta tra loro.

Nuovi giacimenti
Una delle cause principali dell’acuirsi delle tensioni tra governo ed opposizione, e degli scontri in atto in questi giorni è la situazione economica del paese, povero di risorse naturali ed umane, ma a cui si prospettano opportunità di rapida ed inattesa ricchezza grazie alla scoperta di giacimenti di petrolio e di gas naturale che potrebbero essere molto consistenti. Il condizionale è d’obbligo perché la scoperta dei giacimenti risale a circa il 2005, ma non sono ancora chiare né quantità né qualità delle riserve rinvenute.

A sfruttare i pozzi dovrebbe essere la società petrolifera svizzera Manas Corporation, che nel dicembre 2007 ha ottenuto la concessione per le attività di esplorazione, sviluppo e produzione grazie ad un accordo tra il ministero dell'Economia, Commercio e Energia, rappresentato dall'Agenzia nazionale di risorse naturali (Akbn) e la Dwm Petroleum AG (una controllata della Manas). Ottimista uno studio della Gustavson Associates LLC, società internazionale di consulenza ingegneristica e finanziaria: "le riserve di petrolio rinvenute in Albania sono molto più grandi di quanto si pensasse sino ad ora", oltre all'esistenza di un giacimento sotterraneo di tre trilioni di metri cubi di riserve di gas naturale. Secondo la Gustavson Associates, l`Albania diventerà il paese della regione con la maggiore riserva di idrocarburi. Le prospettive del paese cambierebbero drasticamente. Intanto, c’è un’accanita lotta interna - non soltanto tra governo ed opposizione, ma soprattutto tra i vari clan - per assicurarsi il controllo delle risorse energetiche.

Non che non ci sia stata crescita dalla fine del regime comunista ad oggi. Grazie al forte afflusso di aiuti pubblici allo sviluppo e alle rimesse degli 1,2 milioni di albanesi all’estero, nel corso degli ultimi anni le risorse non sono mancate. Carenti, invece, sono le opportunità di investimento. Gli aiuti allo sviluppo sono stati in gran parte indirizzati verso le infrastrutture di base (specialmente trasporti) di cui il paese era estremamente carente vent’anni fa. Gli investimenti non sono stati valutati sempre con il necessario rigore - troneggia al centro di Tirana lo scheletro di un grandioso ospedale la cui costruzione, avviata all’inizio degli anni novanta poi abbondata nel 2004 a causa della sproporzionalta lievitazione dei costi -, ma ora il Paese dispone di un’infrastruttura fisica di base.

Piramidi truffa
Il capitale umano è ancora carente nonostante, in base ad una legge pre-elettorale del 2008, operino in Albania ben 53 università quasi tutte private, molte delle quali di dubbia qualità e nate dietro spinte particolaristiche. I capitali privati dall’estero sono affluiti in gran misura nell’edilizia residenziale o commerciale, in misura minore nel terziario e pochissimo nel manifatturiero (essenzialmente ancora a carattere artigianale). Sono stati uno dei volani delle privatizzazioni delle imprese di stato. Ma hanno anche alimentato la speculazione finanziaria interna che ha portato nel 1997 alla crisi delle “piramidi” truffa, con il fallimento di due delle principali banche, una caduta drastica del Pil, l’esplosione dell’inflazione e dei disordini che causarono oltre un migliaio di morti e gravi distruzioni di proprietà pubbliche e private.

I dati positivi sulla crescita economica e soprattutto quelli sulla distribuzione del reddito sono da prendere con le pinze. Si consideri, ad esempio, che l’Albania è solo al 69simo posto dell’indice di sviluppo umano dell’United Nations development programme. Comunque, la politica economica del Paese viene monitorata con rigore dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale e si sono effettuate privatizzazioni importanti (ad esempio, quella di Telecom Albania-Albtelecom tramite partner importanti sotto il profilo tecnologico e finanziario). Il problema è che la pubblica amministrazione e la struttura di produzione è fortemente incentrata su costruzioni, commercio e agricoltura a bassa produttività. In questo quadro la prospettiva di realizzare cospicue rendite petrolifere è allettante, ma può anche fare da miccia a nuove tensioni politiche e istituzionali.

Giuseppe Pennisi insegna economia internazionale e politica economica europea all'Università Europea di Roma ed all'Università di Malta. V

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