GLI Africani conquistano Ravenna e ci spiegano la musica contemporanea
Beckmesser
Gran parte della critica musicale si è soffermata sulla riscoperta dell’opera di Mercadante (vedi Box) e sui grandi concerti (Abbado, Mehta, Nagano, Salonen , Campanella e, ovviamente, Muti) che caratterizzano la XII edizione del Ravenna Festival (oltre 60 spettacoli e 20 eventi collaterali, dal 5 giugno all’8 luglio, tra cui un concerto replicato a Piacenza, le cui masse artistiche collaborano alla manifestazione ed all’Hururu Park, Parco dell’Indipendenza, di Nairobi nel quadro del programma “le vie dell’amicizia” che ogni anno collega Ravenna con Paesi e mondi lontani).
Pochi commentatori hanno posto l’accento, non solo sulla musica religiosa, che ha sempre caratterizzato Ravenna come crogiolo di Fedi, ma soprattutto sulla specificità dell’attenzione alla musica africana. Oltre al concerto a Nairobi, i concerti di musica africana ed un’opera prodotta inizialmente a Capetwon rappresentano una parte importante del Festival. La musica africana - si badi bene - ha influito molto sul Novecento Storico , non solamente tramite le letture fattene da americani (si pensi a Gershwin) che avevano tuttavia come fonte d’ispirazione i canti degli afro-americani, ma anche tramite compositori europei. Si pensi a Ernst Kreneck (ed al suo Jonny Spielt Auf che debutto con successo a Dresda nel 1927 e pochi anni dopo veniva incluso dai nazisti tra la “musica degenerata”. Incise sul Novocento europeo sia con il ritmo che quella serialità che era diventata una caratteristica della dodecafonia. In Italia, si pensi ha come ha ispirato le sonate per una nota sola di Giacinto Scelsi.
Quindi, il programma in corso a Ravenna (e dintorni) non è soltanto una curiosità ma un’occasione per rileggere anche la nostra musica contemporanea.
Tra i lavori significativi, il concerto del gruppo congolese Staff Benda Bilili, un gruppo di “diversamente abili”, che con un’esplosione di gioia, è partito dagli slums e della zoo di Kinshasa per approdare alle maggiori sale di concerto europee (come il parigino Olympia) e quello, molto politico, del nigeriano Seun Kuti che aiuta a comprendere il movimento verso la democrazia in anno in Nord Africa e nel resto del Continente.
La vera chicca è la prima italiana (dal 30 giugno al 3 luglio) dell’adattamento del mozartiano “Flauto Magico” effettuato, per una compagnia musicale di Capetwon, dal regista britannico Mark-Dorford May e dalla regista sud-africana Janet Suzman. Di adattamenti dell’ultima (o penultima) opera di Mozart se ne sono visti ed ascoltati moltissimi: da quelli per bambini a quello dell’Orchestra Multi-etnica di Piazza Vittorio (che da Roma ha girato molti Paesi europei). Quello che sorprende di questa edizione africana è lo scrupolo del rigore nel mantenere ogni nota della partitura del salirburghese, pur adattando la strumentazione a marimbe, trombe, percussioni ed archi africani, e traducendo il testo dal tedesco alla lingua Xhosa. Sotto il profilo drammaturgico, la regia esalta la parte “magica”, irreale, della favola e volutamente sfuma (quasi sino a farla sparire) quella massonica (che poco vorrebbe dire agli spettatori). La ricerca della pace viene assunto, correttamente, come tema di fondo del lavoro. Ottime le voci e l’orchestra. Merita di essere visto ed ascoltato in altre città italiane.
BOX
Dopo il debutto al Festival di Pentecoste di Salisburgo e prima di andare a Madrid, si è visto ed ascoltato , dal 24 al 26 giugno, al Ravenna Festival “I due Figaro” di Saverio Mercadante, la cui partitura è stata scoperta, quasi per ,caso di recente. L’opera, che probabilmente si vedrà anche in un circuito regionale il prossimo inverno, conclude il ciclo quinquennale di “riscoperte” di opere del Settecento napoletano proposto da Riccardo Muti a Salisburgo. E’ un lavoro divertente, composto nel 1826 (ma andato in scena solo nel 1835 a causa di difficoltà con la censura ). La trama è un seguito de “Le Nozze di Figaro”; la scrittura vocale e musicale risente più dello stile di Mozart (con echi di Bellini, Donizetti e Rossini nonché di musica spagnola) che del brio farsesco della “scuola napoletana” in senso stretto. L’opera è un segno importante di come l’ombra lunga del salisburghese si era estesa in Europa; in Italia avrebbe avuto un’influenza ancora maggiore se non le fosse stato contrapposto il melodramma verdiano.I tre teatri (Salisburgo, Ravenna, Madrid) che co-producono l’allestimento non hanno lesinato nella messa in scena. Spigliata la regia di Emilio Sagi. Eleganti le scene di Daniel Bianco ed i costumi di Jesus Ruiz. Buoni l’orchestra giovanile Cherubini ed cast (in gran misura di debuttanti). Spicca Annalisa Stroppa,, un contralto di agilità che promette un’importante carriera internazionale. Grande successo e di pubblico e di critica.
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