Così tra ritardi e gelosie l’Europa si perde Atene
l’analisi
Tra luglio e agosto la Grecia deve rimborsare 13 miliardi. I prestiti Ue-Fmi erogati nei mesi scorsi non bastano. Senza nuovi capitali dall’estero non potrà fare fronte a queste scadenze
DI GIUSEPPE PENNISI
A più di un anno del 9 maggio 2010 quando tutti (Unio¬ne Europea, Fondo Mone¬tario Internazionale, e Go¬verno della Repubblica El¬lenica) pensavano di avere la soluzione a portata di mano – una ciambella di salvataggio internazionale e una politica interna di ri¬sanamento – la situazione appare peggiorata. Tra luglio e agosto la Gre¬cia deve rimborsare 13 miliardi di euro, ma no¬nostante i prestiti Ue e Fmi erogati nei mesi scorsi, pare non abbia un quattrino in cassa, e senza nuovi afflussi di capitali dall’estero (pub¬blici poiché nessun privato si azzarda a fare a¬perture di credito) non potrà fare fronte a que¬ste scadenze. A dirlo non sono gli arcigni economisti del F¬mi, ma un cattedratico ( Theodore Pelagidis) e un imprenditore (Michael S. Mitsopoulos) in un saggio nell’autorevole trimestrale World E¬conomics
che pesa come un macigno rispetto alle ottimistiche dichiarazioni del governo di Atene. Lo studio, pubblicato in primavera, do¬cumentava già allora come la Grecia avesse «una finestra di opportunità sempre più stret¬ta » per recuperare competitività tramite un programma di riforme che attende ancora di essere approvato. Non solo: dopo due pesan¬ti anni di recessione, anche il 2011 minaccia di essere caratterizzato da un segno negativo. È responsabilità unicamente della Repubblica Ellenica? Sarebbe errato e ingeneroso pensar¬lo. L’Ue è stata la prima fonte di ritardi e di di¬sorientamento. In un primo momento ha ten¬tato di evitare interventi del Fmi nell’Eurozo¬na come se fossero reati di lesa maestà, men¬tre nello stesso periodo il Fmi, che ha espe¬rienza di situazioni del genere, ha sostanzial¬mente aiutato due Stati Ue, Ungheria e Litua¬nia, a rimettersi in ordine e a ripartire.
Compreso, tardivamente, che la ciambella eu¬ropea non sarebbe bastata, l’Europa è corsa al Fondo, ma non con una sola voce. Si sono in¬nescate gelosie tra le varie istituzioni – la Ban¬ca Centrale Europea, i nuovi strumenti 'salva Stati', e via discorrendo. E a queste gelosie i¬stituzionali si sono aggiunte polemiche tra gli Stati: la banca più esposta nei confronti della Grecia è la francese Bnp. Quindi, il dibattito sulla «partecipazione dei privati» o meno na¬sconde essenzialmente un negoziato su quan¬to far pagare alla Bnp e alle altre banche per il rischio che si sono assunte prestando ai greci. Appare chiaro che i tedeschi, e non soltanto lo¬ro, sono pronti a un atto di generosità nei con¬fronti della Grecia, ma non a tendere la mano a chi ha giocato d’azzardo. Mentre le diatribe non si quietano, la freccia del tempo corre, ag¬gravando gli oneri e restringendo «la finestra di opportunità». Una strada possibile è un il ri-scadenzamento ordinato per tutti i creditori (banche private comprese). Oggi meno fatti¬bile, poiché da un lato i costi sono aumentati e, dall’altro, la matassa si è ingarbugliata.
L’euro è ancora giovane e il tracollo della pic¬cola Grecia avrebbe sull’Ue, e sull’unione mo¬netaria, effetti molto più gravi di un default e¬ventuale della grande California sugli Usa e sul dollaro. E l’Italia? Vale la pena ricordare l’esta¬te del 1992 quando, dopo che in seguito a re¬ferendum la piccola Danimarca respinse la ra¬tifica del trattato di Maastricht, si scatenò una crisi di sfiducia sui mercati e il nostro Paese, con un assetto politico traballante e un alto debi¬to pubblico, fu il Paese Ue più colpito, Costretto a dare in pegno tutte le proprie riserve e a de¬prezzare il cambio del 30%. Uno scenario da non replicare.
l’analisi
Tra luglio e agosto la Grecia deve rimborsare 13 miliardi. I prestiti Ue-Fmi erogati nei mesi scorsi non bastano. Senza nuovi capitali dall’estero non potrà fare fronte a queste scadenze
DI GIUSEPPE PENNISI
A più di un anno del 9 maggio 2010 quando tutti (Unio¬ne Europea, Fondo Mone¬tario Internazionale, e Go¬verno della Repubblica El¬lenica) pensavano di avere la soluzione a portata di mano – una ciambella di salvataggio internazionale e una politica interna di ri¬sanamento – la situazione appare peggiorata. Tra luglio e agosto la Gre¬cia deve rimborsare 13 miliardi di euro, ma no¬nostante i prestiti Ue e Fmi erogati nei mesi scorsi, pare non abbia un quattrino in cassa, e senza nuovi afflussi di capitali dall’estero (pub¬blici poiché nessun privato si azzarda a fare a¬perture di credito) non potrà fare fronte a que¬ste scadenze. A dirlo non sono gli arcigni economisti del F¬mi, ma un cattedratico ( Theodore Pelagidis) e un imprenditore (Michael S. Mitsopoulos) in un saggio nell’autorevole trimestrale World E¬conomics
che pesa come un macigno rispetto alle ottimistiche dichiarazioni del governo di Atene. Lo studio, pubblicato in primavera, do¬cumentava già allora come la Grecia avesse «una finestra di opportunità sempre più stret¬ta » per recuperare competitività tramite un programma di riforme che attende ancora di essere approvato. Non solo: dopo due pesan¬ti anni di recessione, anche il 2011 minaccia di essere caratterizzato da un segno negativo. È responsabilità unicamente della Repubblica Ellenica? Sarebbe errato e ingeneroso pensar¬lo. L’Ue è stata la prima fonte di ritardi e di di¬sorientamento. In un primo momento ha ten¬tato di evitare interventi del Fmi nell’Eurozo¬na come se fossero reati di lesa maestà, men¬tre nello stesso periodo il Fmi, che ha espe¬rienza di situazioni del genere, ha sostanzial¬mente aiutato due Stati Ue, Ungheria e Litua¬nia, a rimettersi in ordine e a ripartire.
Compreso, tardivamente, che la ciambella eu¬ropea non sarebbe bastata, l’Europa è corsa al Fondo, ma non con una sola voce. Si sono in¬nescate gelosie tra le varie istituzioni – la Ban¬ca Centrale Europea, i nuovi strumenti 'salva Stati', e via discorrendo. E a queste gelosie i¬stituzionali si sono aggiunte polemiche tra gli Stati: la banca più esposta nei confronti della Grecia è la francese Bnp. Quindi, il dibattito sulla «partecipazione dei privati» o meno na¬sconde essenzialmente un negoziato su quan¬to far pagare alla Bnp e alle altre banche per il rischio che si sono assunte prestando ai greci. Appare chiaro che i tedeschi, e non soltanto lo¬ro, sono pronti a un atto di generosità nei con¬fronti della Grecia, ma non a tendere la mano a chi ha giocato d’azzardo. Mentre le diatribe non si quietano, la freccia del tempo corre, ag¬gravando gli oneri e restringendo «la finestra di opportunità». Una strada possibile è un il ri-scadenzamento ordinato per tutti i creditori (banche private comprese). Oggi meno fatti¬bile, poiché da un lato i costi sono aumentati e, dall’altro, la matassa si è ingarbugliata.
L’euro è ancora giovane e il tracollo della pic¬cola Grecia avrebbe sull’Ue, e sull’unione mo¬netaria, effetti molto più gravi di un default e¬ventuale della grande California sugli Usa e sul dollaro. E l’Italia? Vale la pena ricordare l’esta¬te del 1992 quando, dopo che in seguito a re¬ferendum la piccola Danimarca respinse la ra¬tifica del trattato di Maastricht, si scatenò una crisi di sfiducia sui mercati e il nostro Paese, con un assetto politico traballante e un alto debi¬to pubblico, fu il Paese Ue più colpito, Costretto a dare in pegno tutte le proprie riserve e a de¬prezzare il cambio del 30%. Uno scenario da non replicare.
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