Economia e Finanza
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SCENARIO/ 2. Così Tremonti rischia di perdere la partita della manovra
Giuseppe Pennisi
martedì 28 giugno 2011
Giulio Tremonti (Foto Ansa)
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Giovedì prossimo il Consiglio dei Ministri dovrebbe varare la manovra di finanza pubblica per il 2012-15 in linea con gli obiettivi del “semestre europeo” e del patto “euro-plus”: il raggiungimento del pareggio di bilancio e una drastica riduzione dello stock di debito pubblico in proporzione al Pil.
Le cifre che circolano nei Palazzi parlano di un aggiustamento di 40-45 miliardi di euro; un settimanale finanziario ha scritto addirittura 60 miliardi di euro. Sui contenuti circolano le voci più disparate in maniera tanto di metodo (un solo provvedimento o un “antipasto”, in attesa che il resto delle portate venga presentato negli anni futuri) quanto sulle specifiche.
La teoria economica può essere di aiuto nel rispondere ad alcune delle domande che ci si pone in queste ore. In primo luogo, la “teoria dei giochi” ci dice che Tremonti è alle prese con un gioco multiplo, ma simultaneo, su tavoli differenti e con giocatori pure essi differenti. Anche le poste in gioco differiscono. Per vincere, il Ministro deve fare, contemporaneamente, poker su due tavoli.
Su uno la posta è “la reputazione” e gli altri giocatori sono i partner europei e (i più temibili) i mercati internazionali. Sull’altro, la posta è “la popolarità” che si gioca con i portatori di interessi (spesso legittimi) e con gli elettori in senso lato. La “teoria delle scelte collettive” lo avverte che per fare poker (sull’uno e sull’altro tavolo) le misure i cui costi si spalmano su un numero tanto vasto di soggetti da non colpire nessuno con particolare forza sono quelle che pesano di meno in termini di “popolarità” e possono dare esiti migliori in termini di “reputazione”. Di converso, quelle che toccano pochi, ma li mordono, possono innescare reazioni dannose per “la popolarità” e per “la reputazione”. La “teoria economica dell’informazione”, infine, ci dice che comunicazioni o azioni contraddittorie possono mettere il giocatore a repentaglio su ambedue i tavoli.
Partiamo da quest’ultimo punto. Nel 1992-98, quando ci imbarcammo nel percorso verso la moneta unica, non seguimmo una strada lineare, ma a balzi. Dopo le maxi-manovre del Governo Amato, il Ministero Ciampi arrestò in sostanza il percorso pur continuando a parole a invocare la moneta unica come “la priorità delle priorità”. Dovettero metterci le pezze prima il Governo Dini e poi il Governo Prodi, in quanto i nostri partner, e i mercati, erano disorientati sui nostri effettivi obiettivi.
Se ne trae una lezione: giovedì è preferibile presentare un programma complessivo (anche se scaglionato su due-tre esercizi finanziari) con strumenti per il suo monitoraggio. Si darebbe un’indicazione di serietà sia sul tavolo della “reputazione”, sia su quello della “popolarità”. La comunicazione chiara è essenziale per fare poker; il bluff non paga, specialmente in caso di giochi ripetuti.
Veniamo al secondo punto. La “teoria delle scelte collettive” indica che tra le varie misure di cui si parla la più popolare e quella a cui è associato il maggior grado di reputazione è la riforma tributaria, ossia la riduzione del numero di tasse e imposte, nonché degli scaglioni di aliquote, l’introduzione di un fisco tarato alla famiglia (e tale da contribuire a risolvere il nodo centrale dei problemi economici dell’Italia: l’invecchiamento demografico causato dalla denatalità), la semplificazione del sistema specialmente della tassazione sulle rendite finanziarie. Sarebbe ancora più popolare se prevedesse l’abolizione dell’imposta di scopo più anacronistica e più odiata: il canone Rai.
È senza dubbio “popolare” e anche “reputazionale” la riduzione dei costi della politica, sempre che non si tratti di blaterare principalmente su auto blu e simili, ma si portino da subito (non dalla prossima legislatura) prebende varie alla media europea, si operi effettivamente sui rimborsi elettorali e su sovvenzioni a giornali-fantasma.
In materia di stipendi dei dipendenti pubblici e di pensioni c’è il pericolo, da un lato, di avere a che fare con interessi molto agguerriti e con il finire con molto rumore per nulla (varando misure prive di effetti concreti o che vengano annullate dai tribunali). Sarebbe molto più significativo varare un “programma delle scelte di bilancio” simile a quello che negli anni Ottanta ha portato la Francia da frequenti riallineamenti della moneta (modo elegante per parlare di svalutazioni) all’accordo del Louvre del 1987 sulla parità fissa tra franco e marco. Sarebbe saggio affidarlo al servizio studi della Ragioneria Generale dello Stato.
Sarebbe “popolare” e “reputazionale” non solo un vasto piano di liberalizzazioni (con una “norma del tramonto”, secondo cui qualsiasi legge decade se non riapprovata entro un certo numero di anni), ma anche l’introduzione di competitività tra enti pubblici: la “premialità” ai Comuni con i conti in regola è un buon passo. Deve però essere accompagnata dalla cancellazione immediata di tutte quelle “contabilità speciali” - il solo Ministero dei Beni Culturali ne ha 324 - che rendono impossibile qualsiasi gestione efficace di bilancio e costano molto sul tavolo della “reputazione” pur se rendono qualcosa su quello della “popolarità” rispetto ad alcuni forti interessi costituiti.
Riuscirà il nostro eroe a fare il doppio poker simultaneamente? La teoria economica ci dice che ciò comporta un sistema di equazioni alle differenze finite. Ma siamo nella realtà effettiva di una società . E le equazioni alle differenze finite non ci aiutano più di tanto.
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