GOVERNO CONTE/ Le dritte per
andare avanti 5 anni, aiutando la ripresa
Il Governo
Conte è pronto a ottenere la fiducia delle Camere. Dovrà cercare di non
sbagliare le mosse di politica economica, già dall'autunno. GIUSEPPE PENNISI 04
giugno 2018 Giuseppe Pennisi
La sede del Mef (Lapresse)
Un vecchio
proverbio dice: "Hai voluto la bicicletta, ora pedala!". Si addice
perfettamente al Governo che ha prestato giuramento il pomeriggio del primo
giugno. Un Governo Lega-M5S a cui sono stati "aggregati" alcuni
tecnici , non necessariamente di "area", ma tra coloro che si
considerano "buoni per tutte le stagioni". Sono lieto che coloro che
hanno raggiunto maggiori successi alle elezioni del 4 marzo, pur avendo weltanshaugen
(visioni del mondo) e radicamenti sociali e geografici molto differenti (e per
vari aspetti divergenti), siano riusciti a formare un Esecutivo. Si poteva
farlo prima: su questa testata lo indichiamo sin dal 12 marzo in articoli in
cui abbiamo sottolineato i punti di convergenza tra Lega e M5S. E soprattutto a
minor costo. Le vicende convulse del 28-31 maggio hanno bruciato almeno 30
miliardi di risparmi degli italiani, un prezzo elevato per assistere a quelle
che sono sembrate "bizze" fanciullesche e senili.
Ora, però,
occorre augurarsi che il Governa pedali bene ed a lungo. È una pedalata tutta
in salita; la compagine è mediamente giovane. Speriamo che tutti pedalino come
Bartali in salita e scalino il Cold'Izoard, portando pace, calma e tranquillità
all'Italia e agli italiani. Molti punti del "contratto di Governo"
che Ministri politici e tecnici si sono impegnati a realizzare comporta costi
addizionali tra i 75 e i 100 miliardi di euro al bilancio delle pubbliche
amministrazioni. Sarebbe giudizioso programmare di spalmarli su cinque anni e
cercare nel frattempo di individuare le coperture senza aumentare il disavanzo
netto delle pubbliche amministrazioni e rapporto tra stock di debito e Pil. Non
perché così prevedono Trattati e accordi intergovernativi che abbiamo firmato,
ma perché ce lo impongono, a suon di spread, di aumento dei tassi
d'interesse e di maggiori difficoltà nel collocamento dei 400 miliardi annui
che ci occorrono per rifinanziare il debito pubblico. Lo ha dimostrato, a tutto
tondo, la settimana nera appena trascorsa.
Su questa
testata, si è più volte messo in evidenza l'opportunità e, in certi casi,
l'urgenza di rinegoziare Trattati e accordi intergovernativi relativi
all'unione monetaria. Per negoziare da un punto di forza (relativa soprattutto
dopo la presa di posizione degli otto Stati nordici guidati dall'Olanda), occorre
mostrare che stiamo mettendo i nostri conti in ordine, non che siamo in una
bufera finanziaria con crolli in borsa, aumenti dei tassi e famiglie che
pensano di correre agli sportelli per portare i loro risparmi all'estero.
Quindi, la prima esigenza è stabilire un rapporto di fiducia con tutti gli
italiani, tenendo presente che la piccola maggioranza parlamentare su cui regge
il Governo è dovuta in parte al meccanismo elettorale e in parte all'alto tasso
di astensione.
Ciò
significa, in primo luogo, evitare di fare scattare le "clausole di
salvaguardia" di aumento dell'Iva. So che mediamente in Italia l'Iva è più
bassa che in gran parte degli altri Paesi europei. Sembra anche che all'interno
del Governo c'è chi parteggia per l'incremento delle aliquote delle imposte
indirette (che compenserebbe in parte la riduzione delle imposte dirette
tramite la semi flat tax e la conseguente perdita di gettito). Tuttavia,
l'aumento Iva graverebbe principalmente sui ceti a basso reddito, parte
importante del "blocco sociale" che sostiene l'Esecutivo. Inoltre,
l'economia comportamentale ci insegna che un aumento delle imposte indirette
implica una riduzione dei consumi più che proporzionale (all'incremento delle
imposte medesime), nonché quel nervosismo tra gli italiani che si vorrebbe
proprio evitare.
In secondo
luogo, occorre predisporre un bilancio programmatico possibilmente quinquennale
su come finanziare i costi aggiuntivi, facendo ipotesi molto moderate di
crescita dell'economia reale. Non siamo nell'America della prima
Amministrazione Reagan dove il ministro del Bilancio David Stockman pilotò un
forte aumento del disavanzo federale e un marcato deprezzamento internazionale
del dollaro per ottenere, nell'arco di pochi anni, una crescita strabiliante.
Non solo non possiamo utilizzare la leva del cambio, ma la produttività
dell'Italia è da due decenni rasoterra e il fardello del debito pubblico frena
l'espansione. Per la tranquillità degli italiani (e di chi investe in Italia
anche solamente acquistando i nostri titoli di Stato) sarebbe utile se tale
documento venisse vidimato e "bollato" dalla Ragioneria Generale
dello Stato. Un corpo tecnico coeso e rispettato. E ovviamente analizzato
dall'Ufficio parlamentare di bilancio.
Sono due
suggerimenti per meglio pedalare. Nell'interesse di tutti.
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