martedì 5 giugno 2018

Il discorso del Conte: produttività e istruzione i grandi assenti? in Quoridiano Atlantico 5 giugno


Il discorso del Conte: produttività e istruzione i grandi assenti?
http://1.gravatar.com/avatar/7a0d00b20269f859fb87932894b6a2d1?s=24&d=mm&r=gdi Giuseppe Pennisi, in EconomiaPoliticaQuotidiano, del 5 Giu 2018, 04:20
http://www.atlanticoquotidiano.it/wp-content/uploads/2018/06/giuseppe_conte_campanella_afp.jpg_997313609.jpg
Il discorso che il presidente del Consiglio prof. Giuseppe Conte farà oggi 5 maggio per illustrate il programma Lega-M5S non sarà come lo sgangherato “discorso del Re” del film di Tom Hooper. Conte è un professore articulate con lunga esperienza di arringhe nel foro di Firenze. Sa quindi come difendere in aula un programma che ha molti aspetti contraddittori, alti costi per la finanza pubblica e difficili coperture finanziarie. Metterà senza dubbio l’accento su misure come la drastica revisione dei vitalizi (per parlamentari vecchi e nuovi), il contenimento dei costi della politica, una nuova strategia per l’immigrazione, i provvedimenti per la sicurezza, ponendo l’accento su quelle parti del “contratto di programma” che sembrano maggiormente coerenti.
Temo che tra i temi il grande assente sarà quello della produttività, in ribasso in tutti i Paesi maturi ma in stagnazione da circa un quarto di secolo in Italia. Senza crescita della produttività, non cresce il Pil e le promesse del “contratto di programma” (anche una volta coordinate ed armonizzate) restano un libro dei sogni.
L’interrogativo di fondo è perché la produttività ha rallentato, o stagnato, nonostante il forte aumento degli investimenti in ricerca. È quanto avvenuto negli Stati Uniti, come documentato in uno studio collettaneo, guidato da John Fernald della Federal Reserve Bank di San Francisco. Una spiegazione è offerta da un nuovo modello teorico presentato da Daron Acemoglu del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e da Pascual Restrepo della Boston University. Il loro lavoro distingue due differenti tipologie di progresso tecnologico: a) quello che rimpiazza lavoro con macchine (e che crea disoccupazione e abbassa le retribuzioni di chi lavora); b) quello che crea nuove, e più complesse, attività per uomini e donne (che invece aumenta la loro produttività e i loro guadagni).
Nella storia economica queste due tipologie si sono mosse quasi di pari passo, spinte dalle forze del mercato. Tuttavia, da tempo non sono in sincronia. Le determinanti sono molteplici: il capitale ha un prezzo basso (a ragione delle varie misure di Quantitative Easing) rispetto al lavoro, la fiscalità premia gli investimenti in capitale, l’attenzione delle imprese e della politica economica è soprattutto rivolta all’automazione e via discorrendo. In questi casi, si dà poco peso a nuove, e più produttive, attività per uomini e donne. Un altro elemento è che una parte significativa della forza lavoro non ha la formazione di base per essere addestrata ad affrontare le nuove attività; in questo caso, gli investimenti in ricerca e sviluppo non trovano un terreno da fertilizzare.
Un lavoro di Erik Brynjolfsson (anche lui del Mit) fa da complemento alle analisi di Acemoglu e Restrepo: quando si è alle prese con tecnologie che possono essere utilizzate in vari settori e per molteplici scopi (in gergo general purpose technologies) possono essere necessari anni perché si vedano i risultati, perché occorre non solo alfabetizzare, nelle nuove tecnologie, i lavoratori a tutti i livelli (dai più alti dirigenti alla manovalanza), ma si deve modificare “l’ambiente” (organizzazioni, gerarchie, procedure, prassi). È quanto avvenuto, ad esempio, in Europa quando negli anni Novanta e nei primi anni di questo secolo si ebbe l’introduzione diffusa della net economy, ma una proporzione significativa della forza lavoro non aveva la preparazione e ai piani alti di aziende e di Pubblica amministrazione si pensava di poter introdurre le nuove tecnologie senza modificare organigrammi, procedure e prassi.
Occorre ricordare che due economisti, che non si conoscevano e che non si leggevano – l’americano Charles Kindleberger e l’ungherese Ferenc Janossy -, in libri pubblicati all’inizio degli anni Settanta, individuarono nell’istruzione e nella formazione la determinante principale del “miracolo economico” italiano. Sarebbe difficile affermare oggi che l’istruzione e la formazione possano essere la leva per una ripresa inclusiva se non si pone rimedio a situazioni che si leggono sulle prime pagine dei giornali: edifici fatiscenti, insegnanti anziani e demotivati, bullismo nelle aule.
Eppure, l’istruzione è un investimento che conviene. Agli individui e alla collettività. I dati Ocse dimostrano che nonostante la forte riduzione del “premio salariale” (ossia quanto con una laurea si guadagna in più), in Italia l’istruzione universitaria ha un tasso di rendimento interno finanziario superiore al 10 per cento per coloro che arrivano alla laurea e non si fermano a un diploma di scuola secondaria. È un dato aggregato che tiene conto anche dei “fuori corso” e assume una durata media di sette anni per studi che, incluso il ciclo magistrale, dovrebbero concludersi in cinque anni. Quindi, chi si laurea “in corso”, ha un rendimento ancora maggiore.
Non è un guadagno solo per l’individuo ma per la collettività. Un’analisi della Fondazione Agnelli, sulla base di dati Ocse-Pisa(l’analisi condotta periodicamente sull’apprendimento e le competenze dei quindicenni in matematica e materie scientifiche, le uniche che si prestano a comparazioni internazionali) conclude che un aumento di apprendimento e competenze di 25 punti Pisacomporta cinque decimi di Pil all’anno in più, consentendo di abbattere in debito pubblico in meno di una generazione, aumentando la produttività e facilitando ricerca e innovazione. Sempre la Fondazione Agnelli, sulla base di dati Itanes(l’associazione che promuove ricerche e studi in campo elettorale), documenta come l’istruzione comporti un maggiore impegno politico e sociale.
Tutto ciò può sembrare ovvio. Sappiamo dalle analisi Ocse-Pisa che in Italia ci sono differenze marcate tra Nord (in certe regioni i quindicenni hanno un livello d’apprendimento in matematiche e scienze non inferiori ai loro pari nell’Europa centrale e settentrionale) e Sud (dove i livelli d’apprendimento sono i più bassi dell’Unione europea e sfiorano quelli del Nord Africa). Il nodo è cosa fare? A una scuola elementare a livelli qualitativi simili a quelli del resto d’Europa segue una scuola media di livello insoddisfacente e una tripartizione (licei, istituti tecnici, formazione professione) in cui solo i licei nel Centro-Nord hanno livelli di qualità pari alla media dell’Ue.
Nella funzione di produzione dell’istruzione, l’elemento centrale è l’insegnante. In Italia, si seguono metodi tradizionali, con una didattica spesso stantia, e senza incentivi a migliorare. Un programma per il cambiamento dovrebbe includere un vasto schema d’aggiornamento degli insegnanti in moderne tecniche didattiche interattive e nell’uso delle tecnologie oggi disponibili, nonché un allungamento degli orari per ridurre dispersioni e abbandoni. Unitamente a un sistema di carriere. Lo schema dovrebbe essere articolato su diversi anni, anche per distribuirne i costi. Potrebbe essere il miglior investimento per la crescita e l’inclusione sociale.
La conclusione immediata che si trae da queste analisi è che non basta l’attenzione su investimenti in ricerca e sviluppo (come nel programma Industria 4.0) se non c’è una pari attenzione alla formazione e una ferma volontà di modificare “l’ambiente dello sviluppo”.
Ciò richiede non solamente una migliore istruzione ma anche un forte programma di liberalizzazioni in un mercato del lavoro fortemente dualistico (tra insider ed outsider, ossia chi riesce ad entrare con un impiego a tempo pieno ed indeterminato e chi vaga tra lavori discontinui), in un mercato dei prodotti segmentato, in un sistema di distribuzione ed anche di produzione basato su micro aziende familiari, ed un parco di infrastrutture inadeguato.
L’Italia è un Paese dove sta tornando il brain drain. Il fascicolo in edicola del settimanale The Economist ricorda che a Londra ci sono tanti italiani quanto in una città di medie dimensioni del Belpaese. E’ la produttività che sfugge chi non si cura di essa.

MAGGIO MUSICALE FIORENTINO 2018/ Le tenebre e l'angelo in Sussidiario 5 maggio


MAGGIO MUSICALE FIORENTINO 2018/ Le tenebre e l'angelo
Il Maggio Musicale Fiorentino 2018 il 3 giugno ha presentato in prima mondiale Infinita Tenebra di Luce di Adriano Guarnieri ed il 25 giugno La Dafne di Marco da Gagliano. GIUSEPPE PENNISI 05 giugno 2018 - agg. 05 giugno 2018, 9.31 Giuseppe Pennisi
Il cast, foto Project-ContrastoIl cast, foto Project-Contrasto
Pier Luigi Pizzi ama dire che Un Festival non è tale se non presenta una prima mondiale od una riscoperta di lavori dimenticati dell’antichità. Il Maggio Musicale Fiorentino 2018 ha ambedue questi ingredienti: il 3 giugno ha presentato in prima mondiale Infinita Tenebra di Luce di Adriano Guarnieri al delizioso teatro Goldoni (un gioiello di circa 350 posti, palchi e loggione compresi) ed il 25 giugno metterà in scena La Dafne di Marco da Gagliano nella Grotta dei Buontalenti del Giardino dei Boboli.  Guarnieri è uno dei compositori italiani contemporanei più apprezzati e più noti. Marco da Gagliano è un esponente del barocco fiorentino che, al pari ad esempio del barocco bolognese e romano, si è poco a poco perduto.
Il teatro in musica di Guarnieri è molto particolare in quanto si tratta di teatro ‘spirituale’ senza una vera e propria trama. Ricordo, ad esempio, Il Trionfo della Notte , su versi di Pier Paolo Pasolini, che ottenne il ‘Premio Abbiati’ (alla fine degli Anni Ottanta), Pietra di Diaspro su frammenti di Celant e Maritain tratti dall’Apocalisse che trionfò al Teatro Nazionale (la sala ‘piccola’ del Teatro dell’Opera di Roma) nel 2007 e Tenebrae su testi di Massimo Cacciari, Friedrich Nietzsche , Martin Heidegger e George Tral al Ravenna Festival del 2010, nonché L’Amor che muove il Sol e le altre Stelle, su testi danteschi, che si è vista sia al Festival dei Due Mondi sia al Ravenna Festival  rispettivamente nel 2014 e nel 2015. Tutti lavori, di ispirazione spirituale ove non apertamente religiosa, in cui la drammaticità è interamente interiore. La messa in scena fa ampio ricorso ai video e la partitura anche a musica elettronica. Di gran parte di questi lavori esistono registrazioni in DVD. Guardandole ed ascoltandole si può seguire un filo conduttore: Pietra di Diaspro, Tenebrae  e L’Amor che muove il Sol e le altre Stelle, ad esempio, sono un vero e proprio trittico sulla trascendenza
Lo è anche  Infinita Tenebra di Luce che prende indirettamente lo spunto dal saggio L’Angelo Necessario di Massimo Cacciari, una lettura filosofico-teologica dell’Angelo attraversando i testi e le immagini, a partire dall’antichità giudaico-cristiana o pagana o iranica sino a Klee o a Rilke o alla riflessione di Henry Corbin. Guarnieri utilizza versi tratti da Poesie alla Notte di Rainer Maria Rilke, si tratta di singoli versi non di brani completi. In tal modo si da il senso di come la luminosità dell’Angelo penetra l’oscurità e la sconfigge.
 L’opera inizia nel Foyer del Teatro dove gli spettatori, entrando, sono confrontati con una bella statua vivente di un Angelo dorato. Non ci sono personaggi, ma volti (due soprano, un baritono, un tenore, una voce recitante, un solista di ottavino che appare nell’ultima ‘sequenza’) . Il lavoro è suddiviso in 18 ‘sequenze’ , senza però soluzione di continuità. Le ‘sequenze’  non sono ‘numeri chiusi’ ma momenti che si susseguono con quattro interludi orchestrali dove entra in gioco ‘la voce recitante’. Guarnieri non fa uso di musica elettronica in Infinita Tenebra di Luce ; un piccolo ensemble (ContemporArtEnsemble) guidato da Pietro Borgonovo ed integrato da un ottavino sul palcoscenico nel finale da grandi sonorità nel piccolo ambiente del Teatro Goldoni. La scrittura musicale è rigorosamente cromatica. La parte vocale è, per molti aspetti, ‘classica’: voci straniate come in Monteverdi, arie, duetti, quartetti , momenti polifonici. Livia Rado e Clara Porta sono i due soprano, Gregory Bonfatti il tenore, Salvatore Grigoli , il baritono, Fulvio Cauteruccio l’attore/voce recitante. I cantanti restano immobili su due tavoli,
La regia, la scena e le luci di Giancarlo Cauteruccio (l’allestimento è in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Firenze) sono imperniate sul bianco e nero delle tenebre, con un breve momento di luci rosse anche sui palchi a rappresentare il pericolo dell’inferno,
L’opera dura un’ora. Di grande tensione e di grande spiritualità. Al debutto, il teatro era pieno ed ha salutato autore ed artisti con dieci minuti di applausi.
© Riproduzione Riservata.

domenica 3 giugno 2018

GOVERNO CONTE/ Le dritte per andare avanti 5 anni, aiutando la ripresa in Il Sussidiario 4 giugno


GOVERNO CONTE/ Le dritte per andare avanti 5 anni, aiutando la ripresa
Il Governo Conte è pronto a ottenere la fiducia delle Camere. Dovrà cercare di non sbagliare le mosse di politica economica, già dall'autunno. GIUSEPPE PENNISI 04 giugno 2018 Giuseppe Pennisi
La sede del Mef (Lapresse)
Un vecchio proverbio dice: "Hai voluto la bicicletta, ora pedala!". Si addice perfettamente al Governo che ha prestato giuramento il pomeriggio del primo giugno. Un Governo Lega-M5S a cui sono stati "aggregati" alcuni tecnici , non necessariamente di "area", ma tra coloro che si considerano "buoni per tutte le stagioni". Sono lieto che coloro che hanno raggiunto maggiori successi alle elezioni del 4 marzo, pur avendo weltanshaugen (visioni del mondo) e radicamenti sociali e geografici molto differenti (e per vari aspetti divergenti), siano riusciti a formare un Esecutivo. Si poteva farlo prima: su questa testata lo indichiamo sin dal 12 marzo in articoli in cui abbiamo sottolineato i punti di convergenza tra Lega e M5S. E soprattutto a minor costo. Le vicende convulse del 28-31 maggio hanno bruciato almeno 30 miliardi di risparmi degli italiani, un prezzo elevato per assistere a quelle che sono sembrate "bizze" fanciullesche e senili.
Ora, però, occorre augurarsi che il Governa pedali bene ed a lungo. È una pedalata tutta in salita; la compagine è mediamente giovane. Speriamo che tutti pedalino come Bartali in salita e scalino il Cold'Izoard, portando pace, calma e tranquillità all'Italia e agli italiani. Molti punti del "contratto di Governo" che Ministri politici e tecnici si sono impegnati a realizzare comporta costi addizionali tra i 75 e i 100 miliardi di euro al bilancio delle pubbliche amministrazioni. Sarebbe giudizioso programmare di spalmarli su cinque anni e cercare nel frattempo di individuare le coperture senza aumentare il disavanzo netto delle pubbliche amministrazioni e rapporto tra stock di debito e Pil. Non perché così prevedono Trattati e accordi intergovernativi che abbiamo firmato, ma perché ce lo impongono, a suon di spread, di aumento dei tassi d'interesse e di maggiori difficoltà nel collocamento dei 400 miliardi annui che ci occorrono per rifinanziare il debito pubblico. Lo ha dimostrato, a tutto tondo, la settimana nera appena trascorsa.
Su questa testata, si è più volte messo in evidenza l'opportunità e, in certi casi, l'urgenza di rinegoziare Trattati e accordi intergovernativi relativi all'unione monetaria. Per negoziare da un punto di forza (relativa soprattutto dopo la presa di posizione degli otto Stati nordici guidati dall'Olanda), occorre mostrare che stiamo mettendo i nostri conti in ordine, non che siamo in una bufera finanziaria con crolli in borsa, aumenti dei tassi e famiglie che pensano di correre agli sportelli per portare i loro risparmi all'estero. Quindi, la prima esigenza è stabilire un rapporto di fiducia con tutti gli italiani, tenendo presente che la piccola maggioranza parlamentare su cui regge il Governo è dovuta in parte al meccanismo elettorale e in parte all'alto tasso di astensione.
Ciò significa, in primo luogo, evitare di fare scattare le "clausole di salvaguardia" di aumento dell'Iva. So che mediamente in Italia l'Iva è più bassa che in gran parte degli altri Paesi europei. Sembra anche che all'interno del Governo c'è chi parteggia per l'incremento delle aliquote delle imposte indirette (che compenserebbe in parte la riduzione delle imposte dirette tramite la semi flat tax e la conseguente perdita di gettito). Tuttavia, l'aumento Iva graverebbe principalmente sui ceti a basso reddito, parte importante del "blocco sociale" che sostiene l'Esecutivo. Inoltre, l'economia comportamentale ci insegna che un aumento delle imposte indirette implica una riduzione dei consumi più che proporzionale (all'incremento delle imposte medesime), nonché quel nervosismo tra gli italiani che si vorrebbe proprio evitare.
In secondo luogo, occorre predisporre un bilancio programmatico possibilmente quinquennale su come finanziare i costi aggiuntivi, facendo ipotesi molto moderate di crescita dell'economia reale. Non siamo nell'America della prima Amministrazione Reagan dove il ministro del Bilancio David Stockman pilotò un forte aumento del disavanzo federale e un marcato deprezzamento internazionale del dollaro per ottenere, nell'arco di pochi anni, una crescita strabiliante. Non solo non possiamo utilizzare la leva del cambio, ma la produttività dell'Italia è da due decenni rasoterra e il fardello del debito pubblico frena l'espansione. Per la tranquillità degli italiani (e di chi investe in Italia anche solamente acquistando i nostri titoli di Stato) sarebbe utile se tale documento venisse vidimato e "bollato" dalla Ragioneria Generale dello Stato. Un corpo tecnico coeso e rispettato. E ovviamente analizzato dall'Ufficio parlamentare di bilancio.
Sono due suggerimenti per meglio pedalare. Nell'interesse di tutti.

Se l’Italia dimentica Charles Gounod e Claude Debussy in Formiche 2 giugno


Se l’Italia dimentica Charles Gounod e Claude Debussy
1
Se l’Italia dimentica Charles Gounod e Claude Debussy
Quest’anno ci sono due ricorrenze importanti nel mondo della musica: il bicentenario della nascita di Charles Gounod (1818-1893) e il centenario della morte di Claude Debussy (1862-1918). Ma, in Italia, hanno avuto meno eco di quella che avrebbero meritato
Quest’anno ci sono due ricorrenze importanti nel mondo della musica: il bicentenario della nascita di Charles Gounod (1818-1893) e il centenario della morte di Claude Debussy (1862-1918). Diversissimi, i due compositori, in quanto stilemi musicali ed epoche culturali di riferimento, hanno però un legame “italiano” comune: sono stati ambedue vincitori, in giovinezza, del prestigioso Prix de Rome e hanno soggiornato per un esteso periodo a Villa Medici, sede italiana de l’Académie de France.
Le due ricorrenze, in Italia, hanno avuto meno eco di quella che avrebbero meritato. Gounod è stato celebrato dal Centre pour la musique romantique française di Palazzetto Bru Zane, che ha organizzato un festival di Gounod, producendo lavori e opere rare. La più nota opera lirica del compositore, Faust, è stata inoltre messa in scena dai teatri di Piacenza e Reggio Emilia, in un interessante allestimento del gruppo teatrale di avanguardia Anagoor.
Per quanto riguarda Debussy, invece, la sua musica da camera è stata eseguita in numerose associazioni di “amici della musica”, ma nessuno dei maggiori teatri lirici ha avuto il coraggio di proporre il suo capolavoro per il teatro in musica Pelléas et Mélisande (che manca alla Scala di Milano dal 2005 e all’’Opera di Roma dal 2009, ma di cui si è visto un buon allestimento a Firenze nel 2015).
Il 25 marzo (data della morte), alle 10 del mattino (orario poco comodo per molti) Pelléas et Mélisande è stata trasmessa da Rai5 in forma di concerto con l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai. Mancano all’appello anche Le Martyre di Saint Sébastien (su testi di Gabriele D’Annunzio) e i balletti Jeux e L’après-midi d’un faune. Occorre ammettere che i due maggiori lavori per il teatro di Debussy hanno, a torto più che a ragione, la fama di non attirare pubblico pagante.
Solo l’Accademia filarmonica Romana, in collaborazione con l’Accademia nazionale di Santa Cecilia, ha realizzato un vero e proprio festival di musica cameristica del compositore, Prospettiva Debussy, iniziato il 21 gennaio ed esteso su sei concerti domenicali pomeridiani cadenzati sino al 22 aprile e tenuti nella piccola e deliziosa Sala Casella nei Giardini della Filarmonica di Roma.
Inoltre, il Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo dedica a Debussy un festival nel festival con concerti al Museo diocesano e nella sede della Provincia di Bergamo e chiude il programma agli Arcimboldi di Milano il 10 giugno con Prélude à l’après-midi d’un faune in apertura di programma.
Digitando su un motore di ricerca il nome di Debussy sono più di dieci milioni le pagine che compaiono, un milione di video su YouTube e il primo della classifica, un The best of Debussy, è stato visto e ascoltato 17 milioni e mezzo di volte. L’opera completa del musicista è stata raccolta in un cofanetto della Warner realizzato appositamente per il centenario, con in copertina La grande onda di Hokusai: 33 Cd con titoli del catalogo Emi e di quello Warner, fra cui L’enfant prodigue, scena lirica che valse a Debussy il Prix de Rome, il balletto Jeux e Le martyre de Saint Sébastien su libretto di D’Annunzio. Tra le altre, anche versioni delle partiture del musicista francese non ancora registrate, commissionate e realizzate appositamente per il box.
Occorre chiedersi se, data l’importanza di Gounod e di Debussy, non si sarebbe potuto fare di più. Ma dato che alcune stagioni aprono, di consuetudine, in autunno, c’è forse ancora tempo perché nella seconda parte del 2018 vengano prese interessanti iniziative, anche in forma di concerto, in loro onore.