lunedì 24 settembre 2007

OLTRE I CONFINI PER NON RESTARE AL BUIO

In dialetto romano, “moccolo” (o“moccoletto”, vocabolo usato ancora più spesso) vuole dire lumicino di cera con una flebile fiammella. Un tempo, prima dell’avvento dell’elettricità, era lo strumento di cui si disponeva per tentare di illuminare la lettura dopo il calare del sole. Oggi, i “moccoli”, a luce flebile ma elettrica, esistono quasi esclusivamente al camposanto.
Tuttavia, da qualche tempo c’è la prospettiva di riutilizzare i lumicini di cera oppure le candele oppure ancora i lumi ad olio in caso di blackout . Se ne parla di tanto in tanto; ne abbiamo sperimentati alcuni che hanno paralizzato per diverse ore parte dell’Italia. In un contesto in cui l’energia idrica è in sofferenza per il cambiamento del clima (ed il graduale prosciugarsi dei ghiacciai) ed in cui il prezzo internazionale del petrolio è aumentato del 33% in un anno (e del 18% soltanto nell’ultimo mese), la politica energetica sta assumendo un ruolo centrale per lo sviluppo economico, od anche soltanto per il mantenimento degli standard di vita raggiunti. Dopo anni di torpore,se ne è accorta la stessa Commissione Europea, piuttosto restia ad entrare in questo campo. La molla che le ha fatto fare il salto è stata la vera e propria tenaglia in cui si trova l’Ue per l’approvvigionamento di gas naturale – stretta tra le società a partecipazione statale dell’Algeria e della Russia , imprese che non operano unicamente con finalità aziendali ma agiscono dietro chiaro impulso politico.
Il tardivo, ma ciononostante utile, documento della Commissione non riguarda soltanto i barracuda-esperti del settore (confraternita di cui per un paio di lustri ha fatto parte anche il vostro chroniqueur) ma noi tutti- individui, famiglie, imprese, pubblica amministrazione, politica. E’ un testo ostico. In sintesi propone tre linee di azione: a) una maggiore competizione tra aziende europee del settore al fine di rafforzarle; b) per consentire tale slancio una separazione giuridica (ossia societaria) tra produzione, da un lato, e trasporto distribuzione di energia, dall’altro; c) la sempre più spinta diversificazione delle fonti di energia (in altri termini, come anticipava “The Economist” due settimane fa- la riconsiderazione del nucleare in quei Paesi, come l’Italia, che nel 1986 , dopo l’incidente di Chernobyl, hanno pensato di poterne fare a meno).
Il dibattito politico si è accesso principalmente sulla separazione tra produzione e reti (pure i verdi più ecologisti hanno ingoiato la necessità di riaprire la porta al nucleare). Francia e Germania sono i due Stati Ue che più si oppongono all’idea al fine di difendere i loro “campioni nazionali”. L’Italia ha preso un atteggiamento più moderato esprimendo riserve solamente in materia di trasporto di gas (sulla base di ragioni tecniche che la rendono differente dalla rete per il trasporto di elettricità).
Mai come in questo campo (e con lo spettro del ritorno al moccolo) difendere l’esistente è una strategia perdente. In primo luogo, lo scorporo delle reti dalle aziende di produzione è un mezzo per rendere più competitivo il mercato non un fine in se stesso. In secondo luogo, sono possibile varie modalità, tra cui mantenere la proprietà della rete ma affidarne la gestione ad una società indipendente- meglio ancora se partecipata da varie imprese, anche a partecipazione statale, dell’Ue. In terzo luogo, in un’Europa sempre più stretta (si veda il libro di Mario Baldassarri e Pasquale Capretta The World Economy towards Global Disequilibrium- American-Asian Indifference and European Fears) baloccarsi con “campioni nazionali” appartiene al passato. Occorre invece pensare (proprio in settori come l’energia) a “campioni europei”, quali proposti dalla stessa Francia in sede Ue circa due anni fa. La soluzione è a portata di mano. Non facciamocela sfuggire.

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