martedì 11 settembre 2007

L’11 SETTEMBRE NON FA PIU’ PAURA, ALMENO IN BORSA

Influiranno sull’andamento ( abbastanza tormentato) dei mercati le nuove minacce di El Quayda e la scoperta di centrali di terrorismo islamico che stavano predisponendo nuovi maxi-attentanti nel cuore dell’Europa? Alcune risposte si possono dare sulla base di analisi recenti, anche se non tutte riferite ai mercati azionari Ue. La più interessante (ancora a distribuzione limitata- è un working paper che verrà pubblicato in settembre) è un lavoro della facoltà di finanza ed economia aziendale della Ohio State University in cui si raffrontano i rischi ed i rendimenti di due strategie alternative nell’arco di tempo 1994-2006. La prima riguarda un portafoglio costruito sulla base delle 500 azioni che compongono l’indice Standard & Poor (S & P 500) sulla base di indicatori di rischio di terrorismo e misura le operazioni delle aziende pertinenti in Paesi con alta incidenza di terrorismo. La seconda strategia estrae (sempre dallo S & P 500) in portafoglio “privo di rischi” di terrorismo- quindi di aziende che non hanno operazioni in Paesi da dove, secondo le classifiche del Dipartimento di Stato, si fomenta il terrore. Come è noto, ai rischi dovrebbero corrispondere, in economia e finanza, opportunità di rendimenti più elevati. L’analisi rivela che il portafoglio maggiormente esposto al terrorismo avrebbe reso (rispetto all’indice S & P 500) 16 punti di base in più al mese con un margine di errore del 2,8% al mese. Un portafoglio altamente selezionato per evitare azioni di imprese con operazioni in Paesi nella lista del Dipartimento di Stato sarebbe addirittura perdente , pur se di pochissimo: - 1,6 punti di base al mese con un margine di errore di 25 punti di base al mese. Il messaggio che se ne trae è che, nonostante forti contraccolpi di breve periodo, nel medio e lungo termine un portafoglio che rischia sul terrorismo (sperando di guadagnarci) ed uno che, invece, lo schiva danno risultati molto simili e comunque non molti distanti di quelli di uno degli indici azionari con la base più vasta e più diversificata.
Ci sono altri aspetti che inducono a pensare che non saranno le cellule islamiche a frenare la borsa. Un’analisi della London School of Economics e della Università doi Exeter, ancora inedita (ma se ne possono avere copie chiedendola per mail a uno degli autori, Thomas Pluemper- tpluem@essex.ac.uk ) chiarisce che anche su territorio europeo, gli americani e le imprese Usa sono i principali bersagli del terrorismo internazionale: in supporto vengono esaminati fatti e tendenze del terrorismo internazionale dal 1978 al 2005. Sulla stessa linea il World Bank Policy Research Working Paper No. 4094 pubblicato all’inizio di luglio ed un voluminoso lavoro dell’Università di Innsbruck (per averlo si contatti l’autore coordinatore Prof. Arno Tausch arno.tausch@bmsk.gv.at ) che illustra come e perché l’Europa sia il continente che accoglie meglio le comunità mussulmane e più facilmente ne agevola l’integrazione.
Una chiosa conclusiva. Dall’inizio degli Anni 60 esiste un vero e proprio filone di analisi economica che applica al terrorismo la strumentazione della teoria dei giochi; in tal modo, ad esempio, è stato possibile simulare le strategie e le tattiche di dirottamento aereo e ridurne, nell’arco di meno di un lustro, il numero dei dirottamenti da 30 a circa 2 l’anno. Gli “economisti del terrorismo” di Chicago hanno pure sviscerato l’”effetto di sostituzione” nelle strategie e nelle tattiche: posto un argine ai dirottamenti aerei, i terroristi si sono rivolti ad altri comparti, che, però, comportano costi maggiori e per essere attuati, necessitano di risorse molto più ampie e di risultati attesi molto più consistenti. In tempi più recenti, l’Università della California del Sud è diventato il cenacolo più importante di studi di “economia del terrorismo”; la figura di spicco è Todd Sandler. I lavori degli ultimi anni coniugano la teoria dei giochi con l’economia dell’informazione e della comunicazione e con paradigmi tratti dall’analisi dei mercati finanziari. Da un lato, documentano come il “terrorista razionale” cerchi risultati con vasto contenuto mediatico e comunicativo. Da un altro, sottolineano come un “anti-terrorismo a vasto raggio od a pioggia” avrebbe costi elevatissimi e avrebbe comunque molti aspetti deboli; sono preferibili strategie di prevenzione incentrate sulla decodificazione di segnali indiretti. Più di recente, in Europa, l’Università di Zurigo è diventata il maggior centro di analisi di economia e finanza del terrorismo: studi imperniati sulla simulazione di mercati di derivati finanziari si sono mostrati particolarmente efficienti nell’annusare quelli che in gergo vengono chiamati i “sentiment” (gli “umori”) e i “roumors” (“rumori di fondo”) delle piazze nei confronti di avvenimenti (fusioni aziendali, innovazioni di prodotto e di processo) che gli interessati vogliono tenere segreti.

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