martedì 11 settembre 2007

GIALLO ITALIA: NON COMPRIAMO MA I PREZZI RESTANO GLI STESSI

I dati sull’andamento dell’economia sono scoraggianti. In primo luogo, nel secondo trimestre il pil ha esposto una stagnazione (una crescita appena dello 0,1% rispetto allo stesso periodo del 2006). L’impercettibile aumento si deve quasi interamente all’export (ed in parte ai servizi), mentre industria, costruzioni e agricoltura sono in contrazione. I dati Istat confermano Ocse e Fmi: siamo il fanalino di coda dell’Europa (e del mondo). Secondo l’Economic Cycle Research Istitute, la recessione sta già bussando alla porta dell’Italia.
A Palazzo Chigi si dice che, le stime per il 2008, pur annunciando un rallentamento della crescita rispetto al deludente 1,8% ora previsto per il 2007, mostrano una decelerazione dell’inflazione dal 2% questo anno all’1,7% il prossimo. Purtroppo della eventuale frenata ai prezzi non si sono accorte le famiglie alle prese con una batteria di rincari (dai servizi pubblici ai libri s scolastici). Viene anche messa in discussione dagli statistici. Nel fascicolo di aprile dell’ Oxford Bulletin of Economics and Statistics , cinque esperti francesi (di cui quattro del servizio studi della Banque de France), mettono in dubbio la capacità di monitorare 13 milioni di movimenti dei prezzi nello stesso modo in ciascun Paese dell’euro al fine riflettere adeguatamente l’andamento del costo della vita. Un’analisi analoga è stata pubblica come Banco de España Research Paper n. 0703 circa un mese fa; riguarda i prezzi all’ingrosso ma le conclusioni sono simili. Non si vuole additare nessun istituto di statistica come taroccatore: metodo e procedure non riescono a stare al passo con la tecnologia. E’ sempre dall’Oxford Bullettin of Economics and Statistics che si avverte come oggi le analisi sugli umori dei consumatori (in Italia a picco) hanno un maggior valore predittivo di strumenti come gli indici dei prezzi.
Economisti collaterali al Governo avvertono di evitare di stare dietro alle Cassandre. La principessa troiana, però, aveva ragione: finì legata al carro del vincitore proprio perché non venne ascoltata. Da mesi l’Italia che lavora e che produce chiede una riduzione della pressione fiscale, contributiva e regolatoria – tutte aggravate da quando l’attuale compagine è alla guida del Paese. Lo ha ribadito lo scorso fine settimana il Direttore Generale dello Fmi Rodrigo Rato. Quasi in parallelo con i dati Istat sulla stagnazione e dei timori di una nuova ondata di inflazione è stato diramato l’indice delle libertà economica del Fraser Institute, un pensatoio canadese lontano dalla nostre beghe: siamo al 52simo posto - un dato su cui occorre riflettere in una fase in cui non si fanno privatizzazioni, si tentano pateracchi per l’Alitalia e la Cassa Depositi e Presiti minaccia di diventare una nuova Iri. Così si invita a cena lo spettro della stagflazione: aumenti dei prezzi ma non dell’economia.

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