venerdì 17 agosto 2007

SU ALITALIA PESANO LE TRE SOLUZIONI CONTRASTRANTI DEI CANDIDATI AL PD

L’”affare Alitalia” (e la sua soluzione, se mai ci sarà) rappresentato l’aspetto oggi di maggiore importanza la politica industriale e tecnologica del Paese. Anche se il CdA Alitalia del primo agosto (che partorire quel “piano industriale” propedeutico alla vendita della partecipazione di controllo della compagnia di cui è titolare il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Mef) ha rinviato le delibere di rilievo alla fine del mese, nel silenzio di agosto si sta lavorando intensamente. E tali lavori interessano non poco il Partito Democratico, Pd (ancora in via di gestazione) pure in quanto sarà uno dei primi dossier che il PD dovrà sbrogliare se a metà ottobre verrà partorito.
Le alternative sul tappeto sono quattro: a) procedura di fallimento e liquidazione di ciò che resta del vettore; b) una asta vera e propria (meglio se alla Vickrey) per privatizzare la quota del Mef e predisporre un’Opa totalitaria; c) un nuovo beauty contest con condizioni meno stringenti (di quelle del precedente) in materia di “italianità” e livelli di occupazione; d) un aumento di capitale con un partner anche straniero. Nessuno parla più di trattativa diretta, anche in seguito alla chiara e netta posizione presa in materia da ItaliaOggi e seguita, dopo alcuni giorni, da altre testate. Tutti i candidati alla leadership del PD escludono le procedure fallimentari e la liquidazione, specialmente Walter Veltroni che, da sindaco di Roma, ne avrebbe un duro smacco. L’ipotesi dell’aumento di capitale con uno dei Swf (Sovreign wealth fund), fondi di investimento molto liquidi controllati da Stati Sovrani e da essi utilizzati per operazioni all’estero – in portafoglio quanto dirette- è recente; è stata analizzata in dettaglio dal nostro confratello MF del 7 agosto.
Tra gli aspiranti alla guida del PD, soltanto Enrico Letta pare avere idee chiare su varie tipologie di aste (ivi comprese le “aste alla Vickrey”) e preferenze spiccate per una procedura competitiva che ceda l’azienda a chi è in grado di farla funzionare meglio; non solo ha studiato economia ma le sue esperienze in dicasteri economici gli hanno fatto acquisire dimestichezza con gli aspetti tecnici della materia. Inoltre, l’ultimo Privatization Barometer pubblicato il 6 agosto, lo ha fatto trasalire: l’Italia non è il fanalino di coda ma non compare proprio nell’elenco dei privatizzatori in quanto nel periodo preso in considerazione (prime semestre 2007) non ha privatizzato un bel nulla e si è posta fuori dal club. Meno chiare le idee di Walter Veltroni: il suo consigliere economico più fidato (l’attuale assessore alla programmazione del Comune di Roma, Marco Causi) ha un bel da fare nel farlo entrare nei dettagli tecnici di gare, aste, beauty contest – la sua attenzione è alla primarie del PD (ed alla Festa del Cinema al romano Parco della Musica)- purché, ovviamente, quale che sia la soluzione, ne escano bene Fiumicino e i livelli occupazionali. Rosy Bindi guarda con cura ad un accordo con uno Swf : fornirebbe – lo ha scritto lo stesso ex-Segretario al Tesoro Usa , Lawrence Summers- “obiettivi più vasti” (di quelli finanziari) e potrebbe permettere una ristrutturazione morbida, con tempi lunghi, e con attenzione agli aspetti occupazionali. In fin dei conti , quando la Fiat era in serie difficoltà non ricapitalizzò rivolgendosi alla Libia?
Cosa concludere? Non solo ribadire che la trattativa privata non si addice ad Alitalia ma anche l’ingresso di Swf richiede la massima cautela . Alcuni Swf – quelli dell’Alaska, dell’Australia, della Norvegia – sono di tutto rispetto. Altri rievocano episodi poco edificanti di quella che viene chiamata Prima Repubblica. Prima che altrove scatenerebbero risse all’interno del nascituro PD. Rendendo ancora più difficile il parto.

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