lunedì 29 febbraio 2016

Oedipus Rex di Igor Stravinskij all'Accademia Santa Cecilia in Il Sussidiario 1 marzo



OPERA/ Oedipus Rex di Igor Stravinskij all'Accademia Santa Cecilia
Pubblicazione: martedì 1 marzo 2016
Il direttore d'orchestra Sakari Oramo Il direttore d'orchestra Sakari Oramo
NEWS ROMA
Anche se mancava dal 1998 dalle ‘stagioni’ della sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Oedipus Rex di Igor Stravinskij (su libretto di Jean Cocteau tradotto in latino da Jean Daniéliou), è un frequentatore abituale dei palcoscenici e delle sale di concerto romani. Si ricordano ottime esecuzioni all’Accademia di Santa Cecilia alcuni nel 1996 e nel 1998 ed una all’Opera di Roma nel 2005 in un allestimento di lusso (regia di Luigi Squarzina, scene e costumi di Giacomo Manzù, concertazione di Zoltan Plesko). Ne ha presentato un’edizione scenica nel 2008, utilizzando con intelligenza gli spazi dell’Auditorium di Via della Conciliazone, l’Orchestra Sinfonica di Roma, purtroppo sciolta circa un anno fa.
Nella cultura francese il 1927 è ricordato come l’anno il cui il genio profilico e multiforme di Jean Cocteau (scrittore, poeta, pittore e regista di film di rottura) vide la prima di tre opere, su suoi libretti, messe in musica da tre dei grandi musicisti dell’epoca ed accolte dalla critica e dal pubblico con grande successo: Oedipus Rex di Igor Stravinskij al Teatro Sarah Bernard di Parigi, Le pauvre matelot di Darius Milhaud al Palais Garnier (ossia all’Opéra vera e propria) e Antigone di Arthur Honneger al Teatro de la Monnaie a Bruxelles. Delle tre, le seconde due sono opere vere e proprie, strutturate di una durata (peraltro non lunga) tale da occupare un’intera serata. La terza è di fatto sparita dalle scena. La prima e la seconda  sono tra i capolavori del teatro in musica del “Novecento storico” (il secolo appena trascorso ma già storicizzato sotto il profilo musicale). Sono diversissime, anche se ambedue articolate su due “gialli noir” – uno contemporaneo ed uno che si perde nella notte dei tempi che avvolge i miti. Il Matelot è ispirato alle ballate marinare. Oedipus è un oratorio in due atti (della durata complessiva di meno di un’ora) in lingua latina in 12 numeri collegati da un narratore (che recita nella lingua del Paese in cui l’opera viene messa in scena).
Stravinskij (1882-1971) è uno dei giganti del “Novecento storico”. “Oedipus” è una delle sue otto opere di cui solamente “The Rake’s Progress” (commissionata da La Fenice) ha la durata “normale” di un dramma in musica; in un’altra, nessuno canta; in due altre, la danza è più importante della voce e l’ultima venne concepita per la televisione (con intervalli per la pubblicità). Si va da lavori ispirati a leggende russe ed a musica russa (Rimisky-Korsakov era stato il suo maestro) alla musica elettronica e dodecafonica di quello per la televisione. Nella vita e nell’opera di Stravinskij (profondamente avverso al comunismo) l’Italia ha avuto un ruolo importante; nonostante abbia vissuto principalmente in Francia e negli Usa, ha chiesto di essere sepolto in suolo italiano- e riposa all’isola di San Michele nell’arcipelago veneziano.
Oedipus Rex viene considerata come l’epicentro del periodo “neo-classico” di Stravinskij: la lingua latina, la struttura a numeri chiusi, la severità stessa del lessico musicale militano per questa interpretazione. Secondo Leonard Bernstein in una serie di conferenze tenute nel 1973. Secondo questa lettura, Oedipus (riduzione fedele della tragedia di Sofocle) avrebbe un’ispirazione verdiana , e come tale sarebbe un omaggio di Stravinskij al grande compositore italiano il cui melodramma appare, ad un ascoltare superficiale, agli antipodi stessi della sua poetica
Alla Sala Santa Cecilia dal 27 febbraio al primo marzo, la direzione musicale del maestro finlandese Sakari Oramo un’impostazione verdiana: grande enfasi sul ritmo (a tratti eccessiva nell’accento sugli strumenti a percussione), tempi stringati, accento passionale (nella scena ed aria di Giocasta). 
Il coro è il vero protagonista musicale sotto il profilo vocale. fa veri e propri miracoli con la impervia (e faticosa) scrittura. Tra i solisti primeggiano i due due potragonisti: Edipo e Giocasta. Mati Turi che ha dato vita al medesimo ruolo al Teatro dell’Opera nel 2005 è un “tenore eroico” ancora di grande potenza vocale che affronta senza difficoltà un ruolo vocale interamente articolato sul registro di centro (come in molti ruoli wagneriani a cui è abituato). Sonia Ganassi conferma di essere uno dei migliori mezzo-soprani su piazza; in linea con la lettura “verdiana” della partitura, la sua è una Giocasta  anche sensuale, con cenni di coloratura e discese smaglianti vero le tonalità gravi. Di tutti gli altri particolarmente efficace  il giovane Simone Ponziani che nel ruolo del Pastore ha il difficile compito di reggere l’ultimo lungo numero dell’opera. Di livello il Creonte di Alfred Muff (che ha anche interpretato il ruolo del Messaggero. Suadente e subdolo il Tiresia di Marco Spotti Elegante il Narratore di Massimo De Francovich 
Per aprire la serata, è stata suonata la breve sinfonia n.22 di Franz Joseph Haydn  ‘Il Filosofo’ che , con la grazia, contrastava la tragica monumentalità di Oedipus. 
Molti applausi da parte di un pubblico che riempiva ogni ordine di posti.


Grandi novità per la musica italiana in Artribune 29 febbraio



Grandi novità per la musica italiana: le quattro maggiori orchestre si alleano per un nuovo progetto col compositore Peter Eotvos. E a Roma nasce un nuovo festival
Scritto da Giuseppe Pennisi | lunedì, 29 febbraio 2016 · 0 
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L'orchestra Filarmonica della Scala
L’orchestra Filarmonica della Scala
La notizia della nascita di una nuova orchestra sinfonica a Roma, e quella dell’affermazione di Ivan Fedele nel Prix International Arthur Honegger, sono segnali del buon momento per la musica in Italia. Che vede già nuove iniziative in cantiere: come le quattro maggiori orchestre italiane che si sono “gemellate” per commissionare una nuova composizione a Peter Eotvos. Si tratta della prima volta in cui la Filarmonica della Scala, l’Accademia di Santa Cecilia, il Maggio Fiorentino e l’orchestra della Rai si alleano: il nuovo progetto è stato appena presentato a Milano alla presenza dei responsabili delle quattro compagini, con una videointervista al compositore ungherese che ha a lungo collaborato con Stockhausen e Pierre Boulez. A breve, inoltre, verrà annunciato a Roma un nuovo festival di teatro in musica contemporanea che, nell’ambito del Teatro dell’Opera, verrà curato da Giorgio Battistelli.
Giuseppe Pennisi

Jazz al Quirinetta da Tempi del 29 febbraio



Jazz al Quirinetta
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febbraio 29, 2016 Giuseppe Pennisi
A Roma la John Papa Boogie suonerà e canterà due ore di musica all’insegna del loro inconfondibile suono firmato da Gianni Frasi
John Papa Boogie
Il jazz ed un jazz davvero speciale approda al Quirinetta nell’ambito di un programma musicale intitolato “barocco al jazz”. Per chi non è romano, e per le generazioni più giovani, ciò significa forse poco perché non sanno che si era pensato di trasformare in locale da fast food una delle più eleganti piccole sale del centro storico. La storia del Teatro Cinema Quirinetta comincia con la trasformazione dei palazzi Sciarra alla fine del XIX sec., «trasformazioni innescate dalle nuove ipotesi urbanistiche sul tessuto tra Fontana di Trevi e il Corso dai primi piani per Roma Capitale».
Il Principe Maffeo Sciarra si impegnò in un piano di riorganizzazione dell’intero isolato tra via delle Vergini, via dell’Umiltà, via delle Muratte e via del Corso. La prima concreta conseguenza che riguarda il nostro argomento fu la costruzione del Teatro Quirino nel 1871 (sala e palcoscenico completamente in legno); in seguito, nel 1882, il Quirino fu ricostruito su progetto dell’architetto De Angelis, al quale si deve «l’orchestrazione del tono architettonico e urbano dell’intero complesso».
Il Teatro Cinema Quirinetta viene realizzato nei sotterranei di Palazzo Sciarra, con ingresso in via Marco Minghetti, tra il 1923 e il 1926, da Marcello Piacentini, vero “archistar” in quegli anni dopo i suoi interventi progettuali nell’Expo del 1911, e a cui si doveva già nel 1914-15, lo splendido restauro dell’adiacente Teatro Quirino.
Al Teatro Quirino fa peraltro riferimento anche nel nome il nuovo Teatro Cinema, che dispone di duecento posti e di un ristorante/bar collocato nelle sei salette annesse (indicate ciascuna da nomi suggestivi dovuti alle pitture caratterizzanti, Sala etrusca, di Venere, di Bacco, dell’Ombrello, degli Stucchi Bianchi), che fanno parte integrante del progetto culturale/gestionale del nuovo Teatro. Il Quirinetta segnò anche la sperimentazione di un sistema di climatizzazione assolutamente rivoluzionario per quei tempi, a cicli caldo e freddo, con intercapedini tra i vari locali e aspiratori per consentire un ricambio d’aria completo ben quattro volte ogni ora. La sala teatrale veniva descritta come «cosa davvero signorile e ha un palcoscenico assai curioso e bizzarro, lungo e pieno di meandri, ove uno scenografo moderno potrebbe sbizzarrirsi parecchio. Il Teatro è, si capisce, in miniatura, ma può essere adibito a spettacoli d’eccezione e di raffinatezza, a piccole opere da gustare da vicino in tutti i particolari». Per anni, prima della Seconda guerra mondiale, il Qurinetta era l’unica sala cinematografica romana che presentava film in lingua originale. Nell’immediato dopo guerra programmò per oltre un anno Via col Vento (ovviamente in edizione originale integrale). Dopo essere stato per anni un cinema d’essai, inizio la decadenza, impedita da un intervento della Fondazione Roma (la cui sede è a Palazzo Sciarra) che lo ha trasformato in uno spazio per spettacoli culturali,
In questo contesto “dal barocco al jazz” i martedì sera. Il jazz della John Papa Boogie inserisce un eccezionale interludio domenicale; nel quadro di una tournée in varie città italiana, terrà un concerto domenica 6 marzo alle 17.45. La John Papa Boogie «enigmatica e misteriosa blues band di caratura europea» suonerà e canterà due ore di musica all’insegna del loro inconfondibile suono firmato da Gianni Frasi, la Voce “nera” del blues italiano. Grande è la dignità contenuta nel loro particolare “Blues de l’Haitienne”, concerto celebrativo che dedica e devolve ad Haiti tutto ciò che la John Papa Boogie propone. “Blues de l’Haitienne” nasce da un’idea ispirata di Gianni Frasi, che è stato pervaso in Haiti da questa “visione”, che deve a quella terra e al suo popolo, il manifestarsi della sacralità e della radicalità del segno musicale. I musicisti che accompagnano Frasi hanno aderito a questa “visione” in nome dello Spirito che gli dà Vita. Il suono, il sentimento di passione, il grido, il Mistero, sono tutti nell’emozione dei loro concerti in Italia e in Europa. Il recente microsolco della John Papa Boogie, TRIDUO, è stato presentato con ottimo riscontro alla 55ma Biennale di Venezia e con un concerto a Londra all’Electric Lane di Market Row a Brixton, è il riflesso su vinile di questo grido mistico. Nell’esclusivo concerto al Quirinetta accanto a Gianni Frasi, ci saranno Antonio Piacentini e Leonardo Zago alle chitarre, Gianmaria Tonin alla batteria, Marco Bosco al basso, Giorgio Peggiani all’armonica, Simone Bistaffa al piano, organo e chitarra.
Ricordiamo che la band si era costituita, quasi per scherzo, all’inizio del 1985, per esaudire un grande desiderio del “giovane” Gianni Frasi che fin da adolescente portava segretamente con sé la passione per il canto e una sconfinata attrazione per la musica nera dei grandi padri del Blues (Robert Johnson, Elmore James, Muddy Waters, Albert King e Freddy King). In quella prima formazione faceva parte anche il chitarrista Antonio Piacentini: l’incontro tra i due fu determinante, nacque subito un sodalizio artistico, proficuo e ininterrotto durato fino al 1997.


domenica 28 febbraio 2016

RIPRESA?/ Il G-20 lascia a piedi l'Italia in Il Sussidiario 29 febbraio



RIPRESA?/ Il G-20 lascia a piedi l'Italia
Pubblicazione: lunedì 29 febbraio 2016
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L’appuntamento che i soci del G-20 “finanziario” si sono dati nei pressi di Shangai (conclusosi con un comunicato finale già negoziato per settimane) conferma che di tutti i vari “G” della galassia dell’economia internazionale questo è quello che più assomiglia al “Cosmos Club” in bella vista sulla Massachusetts Avenue, N.W. C’è una differenza importante: al G-20 sono ammesse donne con rilevanti cariche di Governo, mentre al “Cosmos Club” non solo le regole impediscono alle donne di diventare socie (anche quando hanno i “rilevanti meriti scientifici” per l’ammissione), ma non possono entrare per la porta principale; c’è una piccola “ladies door” nel fianco della villa dove ha sede il circolo.
Al pari del G-20, gran parte dei soci del “Cosmos Club” servono a colorire l’ambiente; pagando una quota non indifferente, possono però usufruire dell’ottimo ristorante, del ricco bar e dell’elegante foresteria (dove passare, senza donne, una o qualche notte). Al pari del G-20, formalmente tutti i soci sono sullo stesso piano. Tuttavia, ci sono soci “più soci” degli altri. Per decenni, ad esempio, alle 7:30 del mercoledì mattina, una saletta del ristorante è stata riservata per una prima colazione a tre “più soci” degli altri: il Segretario al Tesoro, il Presidente della Federal Reserve e il Presidente del Comitato dei tre Consiglieri economici della Casa Bianca. La politica fisco-monetaria veniva definita tra uova strapazzate, tazze di caffè, frutta e qualche volta anche un calice di champagne francese.
Al G-20 appena svoltosi pare che i protagonisti siano stati tre (proprio come nei mercoledì mattina del ‘Cosmos Club’): il ministro delle Finanze tedesco, il Cancelliere dello Scacchiere britannico e il Governatore della Banca centrale cinese. Non che gli altri abbiano fatto unicamente da tappezzeria. I “nostri” Padoan e Visco hanno illustrato le riforme, fatte e in cantiere, nel nostro Paese e hanno sostenuto il potenziamento del Quantitative easing europeo. Temo, però, che abbiano interessato principalmente i giornalisti italiani. Il ministro delle Finanze tedesco ha, invece, insistito sulla necessità della stabilizzazione finanziaria, senza la quale, a suo parere, non ci può essere crescita. Il Cancelliere dello Scacchiere britannico ha cercato, non si sa con quanto successo, di trovare alleati contro la Brexit. E il Governatore della Banca centrale cinese ha assicurato che non ci saranno “guerre valutarie” (ossia svalutazione dello yuan) nonostante il debito pubblico del suo Paese sia sul 250% del Pil (il risparmio dei cinesi - ha detto - è la metà del reddito disponibile). Tuttavia, non è arrivato quell’appello alla crescita mondiale, corredato da misure pertinenti, mentre, come documentato su questa testata, c’è il rischio di un nuovo “rallentamento” di non breve periodo.
L’Italia, Paese trasformatore ed esportatore, avrebbe avuto esigenza non solo di tale appello, ma di una strategia comune per la crescita. Proprio mentre vicino alle rive del Fiume Azzurro, il “Cosmos Club” del mondo si riuniva, al Tesoro venivano presentati i dati di una ricerca ancora in progress che sta conducendo la Banca d’Italia sul tema degli effetti della doppia recessione degli ultimi anni sulla capacità produttiva del manifatturiero (l’architrave della nostra economia). A seconda dei metodi di stima, tale capacità produttiva è diminuita tra il 17% e il 21%, riportandoci ai livelli della fine degli anni Ottanta, colpendo particolarmente i beni di consumo intermedi e durevoli.
Naturalmente, sono problemi nostri, che dobbiamo risolvere con le nostre politiche. Ma se dal G-20 non ci sarà un quadro di crescita, l’efficacia delle nostre azioni sarà meno incisiva.


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