domenica 29 novembre 2015

Come se la passano i grandi teatri italiani? in Artribune 29 novembre



Come se la passano i grandi teatri italiani? Benino, dopo gli ultimi interventi pubblici. Il miracolo dell’Opera di Roma e altre storie
Scritto da Giuseppe Pennisi | domenica, 29 novembre 2015 · 0 
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Il Teatro dell’Opera di Roma
Il Teatro dell’Opera di Roma
La relazione semestrale del Commissario al risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche traccia un quadro interessante di come l’iniezione di finanziamenti alle fondazioni sta cominciando a dare i suoi frutti. Non contiene notizie nuove, ma offre un panorama comparativo utile ad individuare quali fondazioni stanno adottando strategie innovative per attirare pubblico e finanziatori e quali invece hanno perso sostegni locali (in termini di spettatori e di imprese pronte ad investire) ed è difficile contare su un grande futuro per le loro attività. La svolta più netta pare essere quella del Teatro dell’Opera di Roma che, dopo avere annunciato il licenziamento collettivo di orchestra e coro (180 dipendenti) poi ritirato sulla base di un nuovo contratto, ha proposto un cartellone originale con fusione di più generi, misure per attirare i giovani ed un mix tra repertorio ed innovazione. Gli spettatori dell’ultima stagione sono stati 235mila con un aumento quasi del 30% rispetto all’anno precedente, per la prima volta gli incassi hanno superato i 10 milioni di euro, con 4 milioni di contributi privati (rispetto a quasi zero nelle stagioni precedenti). La stagione 2015-2016 , aperta con un’opera moderna, include molte repliche di titoli tradizionali come La Traviata, ma anche un festival di teatro in musica contemporanea ed una serie di concerti in cui, nella stessa serata, si mettono tre secoli di musica. L’onda è buona. Speriamo che tenga.
FLOP EXPO PER LA SCALA
La Scala ha avuto un infortunio: i deludenti introiti della “stagione” fatta a misura per l’Expo, ma chiude il bilancio in pareggio ed il 24 novembre ha concluso un promettente accordo con le sigle sindacali: Sant’Ambrogio sta per decollare con il vento in poppa. Miglioramenti anche al San Carlo di Napoli ed al Verdi di Trieste. Il piano di risanamento del Carlo Felice di Genova è ancora in corso di esame da parte della Corte dei Conti. Dove i problemi paiono molto seri sono a Firenze ed a Bologna. I Teatri del Maggio Musicale Fiorentino ed il Teatro Comunale di Bologna sono alle prese, secondo la relazione, con emorragia di pubblico e scarso interesse da parte di imprese locali. Ma c’è qualcosa di più profondo, aggiungiamo noi: sino alla fine degli anni Ottanta erano ciascuno il perno di teatri “di tradizione” delle rispettive regioni. Ora questi teatri si sono organizzati in circuiti regionali (ed in certi casi anche internazionali) ed una parte del pubblico ha smesso di viaggiare a Firenze ed a Bologna.
Giuseppe Pennisi

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Questa settimana si riunisce il massimo organo di governo della politica monetaria dell’eurozona: il Consiglio della Banca centrale europea. Rispetto all’ultima riunione, due settimane fa, il quadro generale ha subito notevoli cambiamenti. Molti di questi sono al di fuori delle competenze della Bce - segnatamente, gli effetti sulle politiche di bilancio delle spese addizionali per la sicurezza interna e internazionale a ragione dell’inasprirsi del terrorismo. Alcuni, però, riguardano direttamente le autorità monetarie.
Da un canto, l’ormai scontato (almeno dai mercati finanziari) cambiamento di rotta della politica monetaria degli Stati Uniti: a metà dicembre, dopo politiche monetarie espansioniste tenute sin dal 2008, il Comitato per le operazioni sul mercato aperto (in gergo Fomc, massimo organo di governo della politica americana) inizierà una graduale manovra restrittiva per il timore che il basso tasso di disoccupazione (5% della forza di lavoro) preluda a una ripresa dell’inflazione. Da un altro, ci si chiede se il “principe” degli strumenti (oltre ai tassi d’interesse rasoterra e in certi momenti negativi) utilizzato da Francoforte, il Quantitative easing, abbia veri effetti sulla crescita della produzione e dell’occupazione.
Lo stesso Presidente della Bce, Mario Draghi, ha fatto intendere, nella conferenza stampa che ha fatto seguito all’ultima riunione del Consiglio, che una revisione del Qe sarebbe imminente, forse già a dicembre. A metà novembre, la conferenza annuale del Fondo monetario sulla ricerca, è stata dedicata agli effetti (sull’economia reale) di strumenti innovativi di politica monetaria come il Qe. Numerosi papers rivolti all’esperienza americana (più lunga e più consistente) mettono in rilievo che la trasmissione della liquidità all’economia reale è stata inferiore alla aspettative. In Europa, più che negli Usa, le risorse rimarrebbero “incastrate” nella pancia delle banche o delle imprese che non le starebbero ancora utilizzando per investimenti e quindi non ci sarebbe creazione di posti di lavoro. Crescono peraltro, fra gli osservatori, gli scettici sulla effettiva utilità del Qe, se il programma non è accompagnato da una strategia comune di politica di bilancio espansionista e di riforme (per lo più microeconomiche) atte a favorire gli investimenti pubblici e privati di lungo periodo e l’aumento della produttività. Le determinanti più importanti dipendono, quindi, non dalle autorità monetarie ma dai Governi e dai Parlamenti.
In Italia, questo è stato il tema di fondo dell’annuale “Marco Minghetti Lecture” in ricordo del ministro delle Finanze del nascente (ed economicamente dissestato) Regno d’Italia, ministro che portò al pareggio di bilancio nel 1875. L’ha tenuta l’economista e banchiere centrale William R. White, il quale tra l’altro ha predetto, con anni di anticipo, la crisi finanziaria scoppiata nel 2007. Secondo White, il Qe serve poco per riprendere a crescere; il primo passo consiste nel ristrutturare il debito sovrano, una palla di piombo al piede dell’eurozona. Ragionamenti analoghi sono apparsi in questi giorni in lavori di Rubert Ungher della Bundesbank e di Paolo Manasse dell’Università di Bologna, nonché di Jörg Bibow del Bard College.
A queste critiche se ne aggiungono altre secondo cui il Qe aggraverebbe le diseguaglianze di reddito e di ricchezza. Le prime bordate sono state sparate dall’economista francese Thomas Piketty (ormai una celebrità) con un editoriale su un centinaio di quotidiani pubblicati in vari continenti. Gli hanno fatto seguito numerosi altri. Raramente - si può dire - la politica monetaria ha l’obiettivo di migliorare la distribuzione del reddito. Inoltre, è noto che politiche monetarie espansioniste privilegiano la finanza prima di incidere sull’economia reale.
Della vasta pubblicistica sul tema il saggio più equilibrato (e con tecniche innovative di analisi quantitative) mi pare essere quello di Juan Antonio Montecino e Gerald Epstein - ambedue della University of Massachusetts ad Ahmers (Did Quantitative Easing Increased Income Inequality? Institute for New Economic Thinking Working Paper N0 28). La conclusione, su dati americani, è che il Qe ha leggermente inciso negativamente sulle diseguaglianze.
Ce n’è a sufficienza perché al prossimo Consiglio Bce si faccia un vero e approfondito “tagliando” al Qe.


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Tutti i conti delle fondazioni lirico-sinfoniche in Formiche 29 novembre



Tutti i conti delle fondazioni lirico-sinfoniche
Tutti i conti delle fondazioni lirico-sinfoniche
L'analisi di Giuseppe Pennisi
La relazione semestrale del Commissario al risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche traccia un quadro interessante di come l’iniezione di finanziamenti alle fondazioni sta cominciando a dare i suoi frutti. Non contiene notizie nuove ma offre un panorama comparativo utile ad individuare quali fondazioni stanno adottando strategie innovative per attirare pubblico e finanziatori e quali invece hanno perso sostegni locali (in termini di spettatore e di imprese pronte ad investire) ed è difficile contare su un grande futuro per le loro attività.
Il Teatro alla Scala – è questo un punto su cui si sono soffermati gli analisti – ha avuto incassi inferiori alle previsioni, specialmente per la ‘stagione Expo’. Con l’avvicinarsi della fine dell’anno, ed al di là di polemiche strumentali di breve periodo, è possibile, dati alla mano, fare un bilancio ragionato dell’esperienza di Expo per il Teatro alla Scala. Gli esiti dell’impegno straordinario del Teatro per Milano e il Paese nel momento di massima visibilità globale si configurano come un banco di prova non solo per le capacità produttive del Teatro stesso e la sua capacità di attrarre pubblico ma anche per la ricettività e le dinamiche culturali della città di Milano. Possono, poi, servire ad altri Teatri che progettano programmi speciali in coincidenza di eventi straordinari (e.g. Giubileo).
UN CALENDARIO FITTO PER EXPO
Occorre ricordare che la richiesta da parte delle Istituzioni di garantire a milanesi e turisti l’apertura costante per tutti i sei mesi dell’Expo è stata accolta dalla Scala attraverso la realizzazione di un fitto calendario di opere, balletti e concerti anche per i mesi estivi durante i quali l’attività del Teatro tradizionalmente si arresta.
Nel corso del 2015 il Teatro alla Scala ha superato la soglia del mezzo milione di spettatori (511.856, dato al 26 novembre) rispetto ai 418.443 del 2014 cui corrispondono oltre 38.500.000 euro lordi di incassi di biglietteria rispetto ai 30.596.000 del 2014, con una crescita che supera il 26%. Si tratta di uno sviluppo senza precedenti e di un risultato innegabile della programmazione straordinaria per Expo, anche se un contributo alla crescita del pubblico è venuto dal travolgente successo del nuovo ciclo di opere per bambini.
Proprio in considerazione di questa accresciuta attività e in base alle aspettative sull’indotto dell’Esposizione gli incassi di biglietteria erano stati previsti in 39.794.000 euro, obiettivo che non è stato pienamente raggiunto a causa del deludente andamento delle vendite nella seconda parte del periodo di Expo. Resta tuttavia un segnale forte del richiamo sul pubblico e della rinnovata capacità di accoglienza del nostro Teatro che, esclusi i mesi estivi, ha aumentato il numero delle rappresentazioni (da 73 a 82 le recite d’opera) mantenendo inalterate le percentuali di riempimento. Al 20 luglio, ovvero nel momento in cui negli altri anni interviene la chiusura estiva, gli incassi erano superiori alle previsioni per oltre 500.000 euro.
INCASSI COMPLESSIVI E ANALISI STAGIONALE
Se si considerano i soli sei mesi di apertura di Expo, l’incasso complessivo è di 19.821.000 euro lordi a fronte di una previsione di 20.839.000. Anche in questo caso un risultato inferiore alle attese ma importante in cifre assolute, tanto più che la situazione della biglietteria dal 1° maggio al 20 luglio mostra percentuali di riempimento in linea con i dati degli anni precedenti, reggendo l’aumento del numero di rappresentazioni. Gli aspetti problematici si concentrano quindi nei mesi estivi, quelli nei quali il Teatro è di solito chiuso, e in cui tornerà ad esserlo nelle prossime stagioni.
Nel periodo in cui i milanesi erano assenti per le vacanze, il pubblico di Expo non li ha sostituiti. Indicativo in questo senso il dato di vendita della biglietteria aperta dal Teatro presso il Padiglione Italia di Expo, 1.319 biglietti in tutto, per un controvalore di 83.300 Euro.
A un’analisi più attenta risulta una buona tenuta dell’opera anche in estate, con il Barbiere di Siviglia dell’Accademia e La bohème che registrano incassi superiori per 120.000 euro rispetto alle previsioni di budget. Negativi invece i risultati del Ballo Excelsior e dei concerti. Il Festival delle Orchestre Internazionali è stato la più importante rassegna sinfonica mai organizzata a Milano e ha conquistato una platea di appassionati ma non ha intercettato il flusso dei visitatori dell’Expo, a cui si indirizzava, scontando presso la maggioranza del pubblico milanese la concomitanza con un’offerta di spettacolo senza precedenti.
UNO SGUARDO AL FUTURO
Nella pianificazione futura occorrerà tenere conto di questi risultati: la capacità dell’opera di attrarre sempre il suo pubblico, la difficoltà viceversa di proporre titoli di balletto meno conosciuti a fine stagione e la difficoltà di inserire nella programmazione concertistica milanese un numero consistente di concerti aggiuntivi rispetto alle stagioni di abbonamento consolidate. In crescita il Museo, che passa da 245.391 visitatori nel 2014 a 256.276 fino al 26 novembre 2015, con un flusso costante anche nei mesi estivi. I minori incassi di biglietteria nel periodo estivo sono stati compensati dalle sponsorizzazioni speciali per i progetti Expo che hanno portato alla Scala un totale di 1.205.000 euro.
IL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Guardando alle altre fondazioni, la svolta più netta pare essere quella del Teatro dell’Opera di Roma che, dopo avere annunciato il licenziamento collettivo di orchestra e coro (180 dipendenti), poi ritirato sulla base di un nuovo contratto, ha proposto un cartellone originale con fusione di più generi, misure per attirare i giovani ed un mix tra repertorio ed innovazione. Gli spettatori dell’ultima stagione sono stati 235.00o con un aumento quasi del 30% rispetto all’anno precedente, per la prima volta gli incassi hanno superato i 10 milioni di euro, quattro milioni di contributi privati (rispetto a quasi zero nelle stagioni precedenti). La stagione 2015-2016 , aperta con un’opera moderna, include molte repliche di titoli tradizionali come ‘La Traviata’, ma anche un festival di teatro in musica contemporanea ed una serie di concerti in cui, nella stessa serata, si mettono tre secoli di musica. L’onda è buona. Speriamo che tenga.
L’EMORRAGIA DI PUBBLICO DI FIRENZE E BOLOGNA
Dove i problemi paiono molti seri sono a Firenze ed a Bologna. I Teatri del Maggio Musicale Fiorentino ed il Teatro Comunale di Bologna sono alle prese, secondo la relazione, con emorragia di pubblico e scarso interesse da parte di imprese locali. A mio avviso, c’è qualcosa di più profondo. Sino alla fine degli Anni Ottanta erano ciascuno il perno di teatri “di tradizione” delle rispettive regioni. Ora questi teatri si sono organizzati in circuiti regionali (ed in certi casi anche internazionali) e una parte del pubblico ha smesso di viaggiare a Firenze e a Bologna.

The Bassarids di Hans Werner Henze: smoking, felpe e dieci minuti di ovazioni in Il Sussidiario del 29 novembre



OPERA/ The Bassarids di Hans Werner Henze: smoking, felpe e dieci minuti di ovazioni
Pubblicazione: domenica 29 novembre 2015
Foto di Yasuko Kageyama Foto di Yasuko Kageyama
NEWS ROMA
Smoking, ma anche felpe e giacchette sportive (con imbottite dato il freddo polare), poco visibili i ‘generoni’ romani, bellissima in sobria eleganza Raina Kabiavanska, in abito scuro (senza farsi notare, e per questa ragione entrato ed uscito da porta laterale) il ‘melofilo’ Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, molti ragazzi e ragazze nelle file laterali della platea, silenzio assoluto di grande tensione durante le due ore della ‘tragedia in un atto’ The Bassarids di Hans Werner Henze (su libretto di W.H Auben e Chester Kallman tratto da Le Baccanti di Europide), orchestra straripante nelle barcacce di platea, sino al vero e proprio scoppio di dieci minuti di ovazioni.
Qualcosa è davvero cambiato al Teatro dell’Opera di Roma, la cui stagioni 2015-2016 è stata inaugurata il 27 novembre, con un’opera  raramente rappresentata in Italia, commissionata cinquanta anni fa dal Festival estivo di Salisburgo e, in aggiunta, basata non sul solito intreccio romantico (del tipo il tenore porta il soprano sotto le lenzuola ed il baritono si inalbera) ma su un confronto-scontro filosofico-religioso. In altra sede, ho illustrato il significato concettuale de Le Baccanti di Euripide (morto solo pochi mesi dopo la messa in scena della tragedia), la cui trama è seguita abbastanza fedelmente da W.H Auben e Chester Kallman. In questa nota, ritengo utile soffermarmi sull’esecuzione.
E’ necessaria una precisazione. In primo luogo, Henze è, con Britten, uno dei due compositori che riuscirono nell’intento di rendere fruibile al grande pubblico il teatro in musica che conteneva le innovazioni del Novecento (dalla dodecafonia della seconda scuola di Vienna al minimalismo americano, passando per le dissonanze straussiane). In secondo luogo,  The Bassarids  (la cui versione originale è in inglese come presentata a Roma) non è un lungo atto unico come quelli, ad esempio, di Strauss o Zemlinsky ma una sinfonia scenica in quattro movimenti poiché azione scenica e musica si snodano in quattro parti, senza cesura di continuità, come in una sinfonia per il teatro quale La Damnation de Faust di Hector Berlioz.. Aspetti tradizionali dell’opera lirica – arie, cori, concertati – sono perfettamente integrati nella struttura sinfonica in cui il primo movimento è una sonata, il secondo uno scherzo, il terzo un andante, il quarto è un tema di ben 43 note che si snoda in una passacaglia finale. A differenza di altre opere di Henze , The Bassirids risente dell’esperienza post-wagneriana.
Veniamo all’esecuzione musicale. Stefan Soltesz è uno dei rari direttori d’orchestra in grado di dirigere la complessa partitura che nel 1966 a Salisburgo venne concertata da Chrystoph von Dohnâni. Ne esiste un ottimo cd dal vivo della Orfeo  così come una registrazione in studio di Gerd Albrecht. La prima è del 1966 in traduzione ritmica in tedesco ed include un intermezzo settecentesco, successivamente eliminato da Henze in quanto interrompeva le tensione drammatica. 
La versione diretta da Albrecht è quella che si ascolta al Teatro dell’Opera di Roma. Richiede un organico grandioso , analogo a quelli post-wagneriani della prima metà del secolo scorso, e comporta un grande equilibrio tra palcoscenico e golfo mistico e difficili ruoli per i fiati e gli ottoni. Stefan Soltesz e l’orchestra ed il coro dell’Opera di Roma hanno eseguito la partitura con vera maestria.
Il cast vocale è internazionale Ladislav Elgr (Dionysus), Russell Braun (Pentheus), Mark S. Doss (Cadmus), Erin Caves ( Tiresias), Andrew Schroeder (Capitano della guardia reale), Veronica Simeoni (Agave), Sara Hershkowitz (Autonoe) e Sara Fulgoni (Beroe). Tutti di grande livello. Spicca il lungo duetto tra Ladislav Elgr (tenore dalla tessitura acuta) , Russell Braun (baritoni). Ottima Veronica Simeoni in un ruolo sgradevole (sbrana il proprio figlio Pentheus).
In una scena unica, la regia di Mario Martone (scene di Sergio Tramonti, costumi di Ursula Patzak) si svolge su due piani, quello individuale degli istinti personali e quella “sociale” delle leggi di Pénteo, al tempo stesso Re e uomo razionale. L’ambientazione è uno stato dittatoriale nel Novecento. Ha idee brillanti: come quella di trasportare il mondo di Dionysus in una cava che si apre in scena. Ma, a mio avviso, è troppo cupa dall’inizio alla fine, mentre la partitura ha passaggi luminosissimi.