martedì 30 giugno 2015

BOB DYLAN/ Terme di Caracalla: i messaggi che soffiano nel vento in Il Sussidiario 1 luglio



BOB DYLAN/ Terme di Caracalla: i messaggi che soffiano nel vento
Pubblicazione: mercoledì 1 luglio 2015
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NEWS ROMA
Si è tenuto alle Terme di Caracalla di Roma il secondo dei quattro concerti in Italia previsti in questo tour del settantaquattrenne cantautore americano. Ero nell’affollatissima cavea (circa 4000 persone perché, oltre ai 3700 posti regolarmente previsti nell’anfiteatro delle Terme, erano state disposte file di poltrona in quella che normalmente è la buca d’orchestra). Tutti entusiasti (numerosi gli appassionati e gli scritti ai veri club intitolati a Dylan). Nel pomeriggio, si è temuto un temporale (forse scioltosi altrove). Invece Roma si è presentata in tutto il suo splendore: cielo azzurro stellato, luna ridente, venticello da ponente. Quasi, volesse accogliere Dylan con la sua veste migliore.
Come mai un chroniqueur che normalmente segue opera lirica, e sinfonica oppure la contemporaneità più sfrenata, si interessa ad un cantante pop folk del mid-West americano? In primo luogo ho vissuto a Washington per oltre tre lustri. In secondo luogo, sono di circa un anno più giovane di Dylan. Quindi la mia vita negli Stati Uniti ha coinciso con quella in cui Dylan era diventato un personaggio pubblico: la sua voce contrappuntava le manifestazioni per i diritti civili e per la fine della guerra in Vietnam (dalla marcia al Pentagono di un milione di studenti nell’ottobre 1966 al ‘maratoriun’, lunga sfilata di 40.000 persone dalla Casa Bianca al Congresso nel 1969). Avrei amato ascoltare parte di quelle canzoni (ad esempio quelle dell’album Bringing it Back Home, di cui ne ha fatta una sola, She Belongs to Me) che forse dicono molto poco al pubblico internazionale ma hanno un gran significato per chi ha vissuto, sofferto e gioito nell’America di quegli anni.
Altro aspetto importante, probabilmente ignoto a gran parte del pubblico osannante a Roma (e di coloro che assisteranno ai concerti di Lucca e Torino) è la spiritualità di Dylan. Pochi sanno che il cantante è stato in vari momenti della sua vita anche scrittore, poeta e pittore - un intellettuale a tutto tondo anche se ha lasciato incompiuti gli studi universitari. Nonostante le sue origini ebraiche, nel corso degli anni si è avvicinato alla fede cristiana: molto interessante a riguardo il libro di Michael J. Gilmore The Gospel According to Bob Dylan: the Old,Old Story for Modern Times (Westminster John Knox Press), in cui si analizza la ‘svolta’ verso un cristianesimo sempre più spirituale tramite le referenze bibliche nelle sue canzoni.
Il terzo aspetto è la vocalità; a differenza di altri, penso a Placido Domingo che esibisce una vocalità ormai sgangherata, Dylan è passato da tenero lirico a baritono mantenendo un’ottima impostazione, un fraseggio impeccabile, un legato magistrale. Ha sempre cantato con il microfono, quindi senza lo sforzo richiesto a chi canta senza strumentazione elettronica. Ciò nonostante, questi esiti indicano grandi capacità nel gestire la propria voce.
Infine, il pop folk ascoltato a Caracalla con anche cenni alla chanson francese, indicano quella fusione tra vari generi a cui sta tornando la musica dell’avvenire. La fusione tra vari generi è stata la caratteristica per secoli, ove non per millenni, sino alla separazione nel Settecento. In particolare, nella Londra di Händel e di Haydn, dove tranne che nel teatro di corte, la musica operava su base commerciali, i grandi castrati (che andavano per la maggiore) erano molto simili ai cantautori attorno ai quali si costruiva uno spettacolo o un concerto. Lo è parimenti in altri continenti: si pensi alla zarzuela latino americana od all’espansione della domanda musicale in Asia dove la musica occidentale degli ultimi tre secoli coesiste e coabita con quella locale, antica, moderna e contemporanea. Un esempio recente: quando (2014) in Bhutan è stata allestita per la prima volta un’opera occidentale (Aci e Galatea di Händel) la rappresentazione, con la Regina tra il pubblico, ha avuto luogo nel cortile-giardino di una scuola secondaria e la partitura è stata interpolata con musiche e danze tradizionali per far sì che un lavoro di un compositore sassone del 1717 – 19 per il Duca di Chandos, tratta da un mito greco avesse un significato ed un messaggio per un popolo ed una società dell’Himalaya .
Questi messaggi si traggono dai concerti di Dylan.


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Nostalgie d’America, Bob Dylan conquista Caracalla in Avvenire primo luglio



Nostalgie d’America, Bob Dylan conquista Caracalla
GIUSEPPE PENNISI
ROMA
Con Bob Dylan alle Terme di Caracalla, in una serata davvero speciale, il cowboy musicale per antonomasia della seconda metà del ventesimo secolo è giunto, con la sua band, nelle più grandiose rovine romane. La sera e la notte romana hanno accarezzato il cantante ed i suoi collaboratori; serata calda ma ingentilita dal ponentino; un tramonto bellissimo mentre stava per iniziare lo spettacolo e tre quarti di luna sorridente al termine attorno a mezzanotte; cavea piena (circa 4000 spettatori entusiasti, dato che sono state aggiunte file di poltrone nella buca d’orchestra); discesa attorno al palco alle ultime canzoni, seguita da ovazioni. Era il secondo concerto di questa breve tournée italiana (nell’ambito del “never ending tour” internazionale) iniziato a San Daniele nel Friuli e con le prossime puntate a Lucca ed a Torino, il primo ed il due luglio.
Sul palco gli stessi musicisti che lo accompagnano da diversi anni: il bassista Tony Garnier che suona con lui dal 1989, il batterista George Recile, i chitarristi Stu Kimball e Charlie Sexton e il polistrumentista Donnie Herron (banjo, mandolino, pedal stele). Un ensemble molto raffinato, capace di passare da tinte jazz a quelle blues, suonando come le vecchie band degli anni 40 e 50. Bob Dylan ha suonato il pianoforte ed in diversi brani è stato al centro del palco cantando e accompagnandosi solo con l’armonica che suona come un vero virtuoso. Sono stati eseguiti circa venti brani tra i più noti del suo repertorio: Things Have Changed ha aperto il concerto seguito da She Belongs To Me, Beyond Here Lies Nothing, Tangled Up in Blue, Blowin’ in The Wind e l’omaggio a Frank Sinatra (ed Edith Piaf) con
Autumn Leaves. In breve un’antologia dei suoi più noti successi. Sarebbe stato utile fornire un programma con i testi o, meglio ancora, proiettarli sui lati del palco. L’aspetto saliente è come Dylan ha gestito la propria vocalità. Ricordo, per motivi molto personali la sua voce negli Anni Sessanta: il primo ottobre 1966 studiavo negli Usa e partecipai alla marcia sul Pentagono contro la guerra in Vietnam organizzata dagli Students for a Democratic Society, mentre dagli altoparlanti si ascoltavano le canzoni raccolte da Dylan nell’album Bringing it Back Home. Aveva un voce vellutata tra il tenore lirico ed il bari tenore. Ora è chiaramente un baritono. Ha forse perso il velluto ma a 74 anni compiuti ha un’intonazione, un fraseggio ed un legato da fare invidia. Pochi cantanti (un raro esempio è Anja Silja) hanno gestito il proprio strumento in modo così abile.
Dato che si è scelta un’antologia pop-folk per un tour internazionale, mancavano dal programma due aspetti importanti del contributo musicale di Dylan. Il primo è quello dei “diritti civili” (non solo il “pacifismo”) che ha contrassegnato diversi anni del suo repertorio: un tema vivo ed importante come non mai, testimoniato da tragici episodi di cronaca avvenuti di recente negli Usa. Il secondo è la sua musica spirituale e religiosa in senso lato ed ecumenico: dalle canzoni che in qualche modo rispecchiano le sue simpatie per la Jewish Defense League a quelle del periodo in cui Dylan e sua moglie parteciparono al movimento dei New Born Christians. Sono dimensioni poco note al pubblico europeo (ed a quello non americano in generale). Proprio per questa ragione sarebbe stato utile svelarlo nello splendore delle Terme di Caracalla.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il menestrello del rock a Roma ripercorre la sua incredibile carriera. Un repertorio di hit storiche da cui purtroppo mancano la fase dedicata ai diritti civili e la sua musica spirituale
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CANTAUTORE. Bob Dylan

QUANTO DURERA’ L’IRREVERSIBILE EURO? in Formiche luglio



QUANTO DURERA’ L’IRREVERSIBILE EURO?
Giuseppe Pennisi
E’ un interrogativo che tutti si pongono ma che, almeno sino ad ora, pochissimi osano pronunciare. Tanto che sono rimasto sorpreso quando , in un editoriale domenicale de Il Solo-24 Ore , lo ha posto Guido Rossi, europeista come pochi. Notato lo ‘spappolamento dell’unione monetaria’, Rossi invocava il coraggio di salvare l’Europa.
Facciamo un passo indietro; al momento del negoziato del Trattato di Maastricht, economisti di rango come Martin Feldstein e Alberto Alesina avvertirono non solo che l’unione monetaria sarebbe durata poco ma che il Trattato medesimo conteneva i germi della sua autodistruzione.

 In Europa, tra coloro che lo dicevano a gran voce c’era Wilhem H. Hankel della Università di Francoforte e per un periodo mio collega al Centro bolognese della School for Advanced International Studies della Johns Hopkins University. Hankel è diventato noto ai più in quanto promotore dei ricorsi alla Corte Costituzionale Tedesca contro il Trattato di Maastricht ed il Fiscal Compact. Sotto il profilo accademico la sua opera più importante è Caesar’s Money , un’analisi dettagliata della storia e del funzionamento del sistema monetario dell’Impero Romano. Tutto sommato sino all’età augustea quando venne creato (nel 29 dopo Cristo= un sistema monetario unificato, esistevano varie unità di transazione, di riserva e di valore . Data l’esiguità degli scambi commerciali tra le varie aree dell’Impero (in molte delle quali continuavano a esistere i Re che regnavano prima dell’annessione- si pensi ad Erode), il valore delle derrate era l’elemento fondante di quelli che oggi sono i tassi di cambio tra le varie monete. Con l’unione monetaria del 29, l’ asse di bronzo, con il denarius d’argento , con il suo sottomultiplo il sextertius divennero le ‘monete uniche’ di un sistema valido in tutto l’Impero e coronato dall’aureus d’oro. Nonostante il sistema potesse contare sull’unità politica garantita dagli eserciti romani, già Nerone (verso il 60 dopo Cristo) cominciò a riformarlo ridando spazio alle valute locali ed apprezzandole rispetto a quelle ‘imperiali’. Con Commodoro (180-193) venne di fatto abbandonato. Diocleziano (284-305) tentò di ripristinare una moneta unica imperiale. Tentativo di breve durata dato che, nel contempo, il centro economico )e politico) dell’Impero si stava spostando verso Oriente.

La storia – lo sappiamo- non si ripete. E’, però, giudizioso tenerne conto. Specialmente in una fase in cui i movimenti politici contrari alla moneta unica europea stanno crescendo . Lo stesso normalmente cauto The Economist avverte che non si tratta di una tendenza di breve periodo ma di un fenomeno destinata a rafforzarsi e ad espandersi.
Di recente due docenti di finanza aziendale, Eugenio Pavarani dsell’Università di Parma  (è stato, tra l’altro, consigliere d’amministrazione di Banca Intesa) e Alberto Lanzavecchia dell’Università di Padova, hanno scritto un bel saggio (peraltro ancora inedito) in cui si mette apertamente in dubbio la compatibilità dell’unione monetaria europea (quale si è tentato di costruirla) con i principi di base della democrazia (quale affermatesi in Europa). Pavarani e Lanzavecchia non sono movimentisti barricadieri e non fanno politica attiva. Sono studiosi con esperienza operativa sui mercati finanziari. I loro dubbi e le loro perplessità vanno ascoltati con attenzione.
La caducità relativa della stessa ‘moneta unica dei Cesari’, la vera e propria ondata che accusa (a torto o ragione) di tutti i mali di cui soffre l’eurozona (ammalato critico dell’economia mondiale), i dubbi sulla coerenza dell’euro con i principi democratici, dovrebbero indurre ad una riflessione molto seria il gruppo anonimo che si dice sta lavorando ad una revisione dei Trattati, riducendo drasticamente il ruolo della Commissione Europea.

UN SETTEMBRE MUSICALE IN ROMANIA in Formiche luglio



 UN SETTEMBRE MUSICALE IN ROMANIA


\Dal 1958, quando tre anni dopo la morte di George Enescu (a cui il festival è dedicato) , la manifestazione (biennale) è iniziata, parte dei musicofili che hanno seguito le ultime settimane del festival estivo di Salisburgo viaggia alla volta dell’Est- verso la Romania. Ogni due anni per circa un mese vi si danno appuntamento le maggiori orchestre sinfonici ed i maggiori complessi cameristici (nonché una selezione di teatri lirici e di ensemble di musica contemporanea. Per un periodo, si è trattato di una manifestazione regionale in cui si potevano ascoltare complessi e compositori dell’Europa centro-orientale raramente presenti nei teatri e nelle sale di concerto occidentale. Quest’anno, si può ammirare il nuovo Gran Palazzo della Musica (oltre al deliziose Atheneum Romeno ed al bel Teatro dell’Opera di fine ottocento, nonché altri luoghi dedicati alla musica), ma grande ad un cartellone intenso (gli spettacoli iniziano alle 11 del mattino ed il sipario dell’ultimo si alza alle 22,30) si può anche in pochi giorni avere un panorama della musica oggi. Il festival 2015 si estende dal 30 agosto al 20 settembre. I romeni dedicano notevolissime risorse ad un festival che per loro ha rappresentato l’affermazione di una nazione , e di una cultura nazionale di matrice latina, anche negli anni più neri dello stalinismo e della dittatura di Ceauşescu.
A questa di per se stessa ottima ragione , se ne aggiungono altre due. In primo luogo,
nell’arco di tre settimane, sono presenti al festival le maggiori orchestre sinfoniche, quali la Berlin Philharmonic Orchestra, i Wiener Philharmoniker, la London Symphony Orchestra, la Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, la Staatskapelle di Dresda, la San Francisco Symphony Orchestra, la Sankt Petersburgh Orchestra, l’Israel Philharmonic Orchestra, dirette dai loro principali maestri ( quali Sir Simon Rattle, Andris Nelsons, Zubin Mehta, Semyon Bychkov, Christian  Thielemann , Yuri Temirkanov ) e con solisti come  Murray Perahia, David Garrett,
All’interno del festival, inoltre, c’è un programma di musica lirica che – oltre a presentare Elektra di Richard Strauss affidata ai complessi della Bayerische Staatsoper di Monaco e Wozzeck di Alban Berg nell’edizione del Teatro dell’Opera di Bucarest, include una sezione preziosa ed elegante dedicate alle opere rare italiane – difficili da ascoltare anche nel Belpaese: Catone in Utica di Leonardo Vinci (6 settembre) sarà interpretata dall’Orchestra Il Pomo d’Oro alla guida del romano Riccardo Minasi .  Il ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea ambedue di Claudio Monteverdi affidate alla Academy of Ancient Music britannica, specialista di musica barocca che predilige gli strumenti d’epoca e un approccio che mira a riportare in vita lo stile esecutivo dell’epoca.
Tra le presenze italiane oltre a Minasi si esibiranno la giovane e talentuoso ventiquattrenne pugliese Marzia Marzo nell’Elektra e il mezzosoprano veneto Marina De Liso) che vanta una carriera internazionale e che per l’occasione interpreterà Ottavia nell’ Incoronazione di Poppea.
Oltre alla capitale, l’itinerario dei concerti ricopre il più vasto territorio romeno, interessando alcune delle principali mete artistiche e naturalistiche del paese che hanno peraltro caratterizzato il percorso formativo di George Enescu anche in regioni molto attraenti sotto il profilo paesaggistico ed architettonico
La direzione del festival è assicurata dal 2010 da Ioan Holender (cittadino austriaco ma nato in Romania)  . In precedenza Holender è stato per circa vent’anni alla guida della Staatsoper di Vienna, il musicista che più a lungo ha ricoperto il difficile ed ambito incarico
 A rivederci a Bucarest. E dintorni