venerdì 28 febbraio 2014

Doppio melodramma al Teatro dell’Opera per “Manon Lescaut” in Formiche 28 febbraio



Doppio melodramma al Teatro dell’Opera per “Manon Lescaut”
28 - 02 - 2014Giuseppe Pennisi Doppio melodramma al Teatro dell'Opera per "Manon Lescaut"
L’attesa prima di Manon Lescaut di Giacomo Puccini ha avuto luogo la sera del 27 febbraio, alla presenza del Capo dello Stato, in un clima di “doppio melodramma”. Manon Lescaut (dalla cui prima esecuzione ricorrono poco più che 120 anni) è il superamento del “melodramma verdiano” e la prima prova del “dramma in musica” pucciniano, tanto personale da non avere in Italia emuli (se non si considera tale Giancarlo Menotti) mentre ne ha avuti numerosi (ed ancora attivi) negli Stati Uniti ed in Europa centrale ed orientale. Tuttavia, l’atmosfera è stata da melodramma sia dentro che soprattutto fuori il Teatro. Dentro perché solo poche ore prima della rappresentazione, gli spettatori – ogni ordine di posti era gremito – , gli spettatori hanno appreso che si sarebbe alzato il sipario. Formiche ha dedicato tre articoli alla crisi del settore.
LA FONDAZIONE LIRICA ROMANA
Tra le fondazioni liriche, quella di Roma pare avere il record dei guai. Il nuovo Consiglio d’Amministrazione ha chiesto sostegno in base alla “legge Bray” che comporta una seria ristrutturazione. Parte delle numerosissime sigle sindacali presenti nella fondazione si sono opposte, con conferenze stampa contrapposte (ed accuse di ogni genere) sino alla mattina della andata in scena. Nonché la minaccia di Riccardo Muti di andarsene da Roma e del Sindaco Marino (il quale gestisce un’amministrazione comunale sull’orlo dell’insolvenza) di mettere in liquidazione l’ente, come già proposta una quindicina di anni fa anche da musicisti del calibro di Goffredo Petrassi e Franco Mannino. Di fronte al Tutti a Casa , che i “duri e puri” (di cui alcuni con precedenti giudiziari) hanno fatto marcia indietro. Tutto ciò rileva perché è in questo clima che si sono svolte le prove – con la protagonista usa a San Pietroburgo, New York, Londra e Salisburgo, letteralmente sconvolta.
Manon Lescaut_Anna Netrebko(Manon)_Teatro Oper1
Manon Lescaut_Anna Netrebko(Manon),Carlo Lepor
Manon Lescaut_Anna Netrebko(Manon)_Teatro Oper
Manon Lescaut_Anna Netrebko(Manon),Yusif Eyv

Manon Lescaut_Una scena d'insieme della Manon_Teatro O
Manon Lescaut_Anna Netrebko(Manon)_Teatro Oper2

UN PASSO IMPORTANTE
E’ stata una prima importante perché dopo oltre un lustro il Teatro dell’Opera di Roma ha riproposto il primo grande successo di Giacomo Puccini , in un’edizione con Riccardo Muti sul podio, sua figlia Chiara nella cabina di regia, e Anna Netrebko (per la prima volta sul palcoscenico della capitale) nel ruolo di protagonista e Eyvazov (ammirato a Ravenna lo scorso novembre nel ruolo di Otello) come suo deuteragonista.
Da quando il primo febbraio 1893 venne messa in scena, Manon Lescaut è una delle opere più rappresentate del compositore lucchese. Chiude l’epoca in cui dominava il melodramma verdiano e anticipa il Novecento storico, il cui inizio (in Italia) viene convenzionalmente legato alla prima di Tosca a Roma il 14 gennaio 1900. Quali i tratti salienti da ricordare in occasione dell’allestimento che sarà a Roma dal 27 febbraio all’8 marzo?
CARATTERISTICHE DELL’ALLESTIMENTO ROMANO
In primo luogo, è errato (come ancora fanno molti) considerarla, sotto il profilo drammaturgico, l’interpretazione più fedele del romanzo L’Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut dell’Abbate Antoine- François Prévost. Il romanzo, in gran misura autobiografico, è un capolavoro della ‘letteratura libertina’ imperniato sul protagonista maschile, mostrato come un gaglioffo, sempre corrotto (oltre che corruttore), assassino, baro al gioco, avvezzo ad andare a prostitute ed a prostituire anche la propria donna. Nulla di simile al tenero giovincello innamorato di Jules Massenet o allo studente sensuale e passionale di Puccini. In effetti– occorre aspettare il 1950 (o giù di lì) perché con il Boulevard Solitude di Hans Werner Henze si ritrovino – trasportati nella Francia della prostituzione e della droga degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale – i personaggi ed il clima di Prévost. L’Abbate aveva intenzioni moralistiche e senso di colpa tanto che nel romanzo eros e sesso non venivano vissuti in modo gioioso. Puccini (e la vera e propria squadra di librettisti che lavorarono con lui) leggono l’intreccio come una vicenda erotica e passione. Qui l’importante novità: con Manot Lescaut torna prepotentemente in scena l’eros (“desparicido” nel melodramma verdiano), proprio in quella Torino che non più capitale del Regno era alla ricerca della propria identità ed aveva, tutto sommato, un’anima bigotta e per conto di quel giovane Puccini, allora libertario (ed anche libertino) ma che in età matura avrebbe preso la tessera No. 2 del Partito Nazionale Fascista.
In secondo luogo, l’eros è nella scrittura orchestrale e vocale più che nel libretto. Come in La Favorite il personaggio maggiormente avvinto dall’eros è il protagonista maschile, per il quale Puccini introduce una vocalità nuova: respinge virtuosismi e dolcezza, sceglie una linea sobria, puntando tutto la zona centrale dove il canto raggiunge la maggior intensità sensuale. Nell’Ottocento, questa era stata una caratteristica di alcuni tenori wagneriani (Siegfried nell’opera eponima, Walter von Stolzing ne I maestri cantori) . Con il Des Grieux di Manon Lescaut si apre la strada, in Italia, ai personaggi costruiti sulla sensualità virile – si pensi a quelli concepiti per Enrico Caruso. Più sfumato l’eros della protagonista che, per esplodere, necessita del grande duetto del secondo atto. La parte è scritta per un soprano lirico puro e tale è stata interpretata sino agli Anni Sessanta (si pensi a come il ruolo veniva cantato da Clara Petrella e da Virginia Zeani); nel 1984, Giuseppe Sinopoli scelte un soprano lirico puro (Mirella Freni) . In tempi più recenti, in gran misura in seguito alla interpretazione di Maria Callas della coloratura da lei data all’aria del secondo atto (In quelle trine morbide), oltre che dal colore bruno da lei dato al duetto sempre del secondo atto (Tu , amore? Tu?) e al finale “Sola, perduta, abbandonata), si è favorita una tinta a volte più scura, sino al soprano drammatico di agilità – è stato per lustri il ruolo preferito da Renata Scotto al Metropolitan. Ricordo, nella seconda metà degli Anna Settanta, Renata Scotto dirmi che preferiva il personaggio di Puccini a quello di Massenet perché era più passionale; all’epoca la Signora Scotto (sempre una grande dame non utilizzava il termine eros ma era ciò che intendeva. Ancorato in gran misurata al baritono verdiano è Lescaut. E tale il basso brillante Geronte de Ravoir.
In terzo luogo, la funzione dell’orchestrazione. In Manon Lescaut , l’orchestra non è essenzialmente di supporto al canto (ed all’azione scenica) come nel melodramma verdiano. Ha assorbito, in parte, la lezione wagneriana del sinfonismo continuo nel golfo mistico. Quindi, l’organico si è ampliato ed arricchito e ci sono momenti (l’intermezzo) in cui la ‘musica a programma’, ossia il poema sinfonico, vengono inclusi nel gioco scenico. Inizia quel processo di orchestrazione opulenta (ed impervia) in cui la partitura è frastagliata e frammentata ma si ricompone di continuo in nuove unità – un processo che avrà, in Puccini, in suo apogeo in La Fanciulla del West ma a cui stava lavorando in una piccola città provinciale di Moravia (priva di un vero e proprio teatro , nonché di una sala da concerto) Léos Janaceck.
L’ESECUZIONE MUSICALE
Andiamo all’esecuzione musicale. Puccini ed il Novecento non sono gli autori ed il periodo e gli autori in cui da il meglio di sé Riccardo Muti, verdiano e legato alla ‘scuola napoletana’ con buone incursioni nella ‘tragedie lyrique’ ma discutibili letture wagneriane e mozartiane. Del lucchese – che io sappia- ha concertato solo Manon Lescaut alla Scala un quarto di secolo fa e Tosca a Filadelfia. Ha dato , tuttavia, un’ottima interpretazione della partitura specialmente delle varie tinte (la ‘giocosità’ giovanile del primo atto, la sensualità del secondo, e la marcia incalzante verso la tragedia del terzo e quarto). Ha primeggiato nell’intermezzo. Anna Netrebko è grande cantante e grande attrice; le si è spessita la voce da quando interpretava Lisa in La Dama di Picche a San Pietroburgo e sta maturando verso un soprano wagneriano (la prossima tappa potrebbe essere Lohengrin) . E’ la vera gemma di questa esecuzione con momenti memorabili come In quelle trine morbide e Sola perduta abbandonata. Il giovane e robusto tenore algerino, Yusif Eyvazov non è all’altezza della Netrebko, anche se pochi mesi fa è stato un decoroso Otello a Ravenna. Non gli manca affatto la voce , ma eccede nel registro acuto – ingolandosi in Donna non vidi mai al primo atto – invece di ancorarsi al registro di centro; lo su avverte specialmente nel duetto del secondo atto Tu, tu amore tu dove dovrebbe esplodere di eros almeno tanto quanto la sua partner. Giorgio Caoduro è un apprezzabile, ma non eccelso Lescaut. Ottimo invece Carlo Lepore nel ruolo di Geronte . Bravi i numerosi caratteristi.
E la regia? Ne parlerò su una testata specialistica. Ma verrà presto dimenticata.

giovedì 27 febbraio 2014

Ghetto, uno spettacolo che vale in 'Formiche' del 27 febbraio



Ghetto, uno spettacolo che vale
Ghetto di Mario Piazza su musiche Klezmer rielaborate da Goran Bregovic  è uno di quegli spettacoli che vale la pena vedere non solo perché è bello ma perché aiuta a comprendere una cultura: quella degli ebrei in quella parte del Medio Oriente che va dalla Turchia all’Egitto. E’ a Roma, al Teatro Nazionale nell’ambito della programmazione del Teatro dell’Opera, per poche sere dopo ben 500 repliche in Europa e Nord America Il lavoro è il risultato di un percorso fatto  nell’affrontare argomenti come la ghettizzazione, l’identità culturale, l’emarginazione.
Ghetto_Mario Piazza_Sara Loro(Sarah),Claudio Cocino(David)_Teatro dell'Opera,Stagione 2013-14_foto Francesco Squeglia_9621
Ghetto_Mario Piazza_Gaia Straccamore(Tikvah)_Teatro dell'Opera,Stagione 2013-14_foto Francesco Squeglia_9931
Ghetto_Mario Piazza_Sara Loro(Sarah),Claudio Cocino(David)_Teatro dell'Opera,Stagione 2013-14_foto Francesco Squeglia_0128
Ghetto_Mario Piazza_Manuel Parruccini(Rabbino Capo)_Teatro dell'Opera,Stagione 2013-14_foto Francesco Squeglia_9905 (1)



Da qui l’esigenza di continuare questa ricerca legata ai temi che ruotano attorno all’idea del ghetto. Il Ghetto è anche un luogo di ritrovo dove approdano, si rifugiano, sognano quelli che sono lontani dalla propria terra d’origine e si confondono con chi vive accanto ai propri cari. Il Ghetto come isola di approdo, un teatro delle genti, un luogo dove vivono e si esprimono le esperienze delle persone che si incontrano, in cui le storie di tutti si fondono in un’unica storia dell’umanità. Non un lavoro triste. E’ un lavoro lieto in cui il Ghetto è visto come un accogliente rifugio che diventa casa, un porto sicuro, un luogo di appartenenza. Gli incontri tra le persone ci daranno l’idea delle diffidenze, e allo stesso tempo del  bisogno di comunicare e di relazionarsi l’un l’altro. Un bisogno impellente di umanità.
Il Ghetto è un contenitore di emozioni e una tra le più forti che lo animano è la nostalgia che  si esprime con un legame che resta nella memoria e nel cuore con un attaccamento viscerale alle proprie radici. La nostalgia è uno dei nodi cruciali delle migrazioni che si intreccia con il desiderio di adattamento alla nuova condizione e alla difficoltà di integrazione, alla  perdita delle radici, e  al timore di assimilarsi perdendo il proprio patrimonio culturale, sociale  e religioso.
Rinasce il ricordo di ciò che è accaduto in un azione che inizia il giorno del matrimonio di David e Sara, vivono a ritroso le memorie di quel giorno felice, circondati dall’affetto dei propri cari e dalla solidarietà della gente della comunità. Una storia d’amore nata  nel Ghetto che attraversa momenti di grande gioia e dolore.
La storia di una comunità  solidale abituata a convivere con rispetto e tolleranza insieme alle altre comunità religiose.
La Tikvah  (personaggio che sembra una citazione di Chagall) accompagna  evocando e raccontando  la vita e la storia ebraica. Sarà lei a incontrare personaggi poetici e complessi come David e Sarah, gli amici, la gente del Ghetto, la famiglia, il Rabbino e gli  altri precettori.
Una lettura del Ghetto interpretata dai danzatori, come espressione dell’energia fisica e mentale. Il tessuto musicale del progetto è basato sulla musica Klezmer, patrimonio  di musicisti che per scelta e costruzione sono in continuo movimento quasi a simboleggiare il sogno di libertà che accomuna le genti. La musica Klezmer nasce all’interno delle comunità khassidiche e il frutto del lavoro coreutico ad essa legato nasce dall’inevitabile bisogno di esprimere una identità soffocata in un grido liberatorio che esorcizza il male e ci porta alla positiva volontà di esistere. In un momento in cui tutti dovremmo essere impegnati ad abbattere le barriere sorte dalla paura, dall’egoismo e dalla diffidenza, è nata l’idea di affrontare un argomento come quello della segregazione culturale, sociale e religiosa.
Ghetto non è uno spettacolo narrativo, basato su una drammaturgia che ci riporta semplicemente alla storia dei ghetti, bensì si intende evocare l’atmosfera culturale, psicologica ed umana delle genti zingare, ebree, nere e definite in qualche modo diverse.
Ghetto“  è  stato realizzato al Teatro dell’Opera di Sofia, in seguito al Premio per le Performing Arts attribuito a Mario Piazza dall’European Association for Jewish Culture con sede a Londra.
Al Nazionale la Tikvah, figura con chiare citazioni al pittore Marc Chagall, è interpretata dall’étoile Gaia Straccamore, in alternanza con la prima ballerina Alessandra Amato. E’ lei ad evocare  personaggi poetici e complessi come i giovani Sarah (Sara Loro in alternanza con Alessia Gay ) e David (Claudio Cocino in alternanza  Alessio Rezza, che simboleggiano il futuro. Guida spirituale che anima il ghetto è invece il Rabbino capo, interpretato da Manuel Paruccini che si alterna nel ruolo con Antonello Mastrangelo e Giuseppe Schiavone
Oltre a Gelem, Gelem, sono previste ampie citazioni tratte da Underground del compositore bosniaco Goran Bregovi . Anna Biagiotti firma costumi.

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Ecco la Matteonomics: redistribuzione e rilancio. Avrà effetti?in Formiche 27 febbraio



Ecco la Matteonomics: redistribuzione e rilancio. Avrà effetti?
27 - 02 - 2014Giuseppe Pennisi
Sarebbe inappropriato, prima ancora che poco generoso, dare enfasi alla differenza tra alcune dichiarazione (con stime quantitative preliminari) di collaboratori del Presidente del Consiglio ed alle puntualizzazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF). Si è chiaramente in una fase di transizione in cui una squadra con poca dimestichezza di Ministeri, Parlamento e quant’altro, sta cominciando a elaborare politiche economiche in un momento, peraltro, molto difficile per il Paese.
E’ più importante, ritengo, analizzare il sottostante del programma delineato alle Camere nei suoi principali aspetti macro-economici. La strategia di breve periodo (su quella di medio e lungo periodo non credo ci siano ancora elementi da consentire non un’analisi ma pure solamente un sunto) è fortemente redistributiva nell’ipotesi che un aumento dei redditi reali dei ceti ai livelli più basso di reddito e di consumo possa assicurare un incremento della domanda interna tale non lasciare le flebili ipotesi di crescita in balia dell’esportazioni in un mercato mondiale in rapido cambiamento ed in cui si intravedono segni di rallentamento. La riduzione del cuneo fiscale  contributivo (da finanziarsi con la riduzione della spesa di parte corrente secondo le indicazioni della spending review) sarebbe una delle due leve principali; l’altra sarebbe un abbattimento dell’Irap (anche da  finanziare con la riduzione della spesa di parte corrente secondo le indicazioni della spending review).
Questa manovra (se le cifre della spending review lo consentono) è sensata, ma monca. Infatti, è difficile pensare che un aumento dei consumi dei ceti più deboli abbia effetti di trazione della domanda e un moltiplicatore così elevato da fare tornare l’economia ad un tasso di crescita non inferiore all’1,5%, quello considerato come “tasso di crescita potenziale” dalle elaborazione econometriche della Commissione Europea e della Banca centrale europea. Ora siamo ad un pallido e traballante 0,1%. La crisi del manifatturiero (ci sono oltre 300 vertenze aperte nei tavoli del Ministero dello Sviluppo Economico, MISE) mostra come sia urgente una politica industriale. Tanto più che, pure a livello europeo, sono state smussate le opposizioni e le ritrosie al termine spesso politica industriale.
In materia la Matteonomics non deve fare grandi sforzi: solo poche settimane fa, il CNEL ha approvato un documento “Per una nuova politica industriale” condiviso da parti sociale ed esperti economici di varie scuole. Può essere la base da cui partire Ed avere presto risultati concreti.

Otello al Massimo, una coproduzione con Napoli per mostrare cantando il Made in Sud in Milano Finanza Sicilia 27 febbraio



Otello al Massimo, una coproduzione con Napoli per mostrare cantando il Made in Sud

di Giuseppe Pennisi     
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Otello di Giuseppe Verdi mancava da Palermo da 15 anni. Non perché l'opera non sia amata dal pubblico ma per la difficoltà di trovare due tenori all'altezza dei rispettivi ruoli. La parte del protagonista è stata scritta per una voce particolare: un tenore drammatico, con voce brunita, ma in grado di ascendere a registri altissimi per discendere, poi, a vocalità quasi baritonali; un tenore) lirico leggero (Cassio) in grado di tenere a lungo il registro di centro. Di tenori per questi due impervi ruoli ce ne sono pochi, e quelli bravi richiedono cachet molto elevati. Sono essenziali un doppio coro di alto livello e una concertazione che sappia cogliere sia il legame con il melodramma ottocentesco sia la carica innovatrice. L'allestimento che ha debuttato al Teatro Massimo è importante non solo perché risponde a questa sfida ma per due altre ragioni: è una coproduzione con il San Carlo di Napoli per dividere le spese tra le due fondazioni e per mostrare ciò che i due maggiori teatri del Mezzogiorno riescono a produrre insieme; è un importante biglietto la visita perché il 20 aprile sarà presentato in circa 200 sale cinematografiche in Italia (e forse anche in diversi Paesi europei). Un modo importante se non per «esportar cantando», almeno di «mostrare cantando il made-in-Italy». Questi aspetti sono specialmente importanti in una fase in cui il rilancio del Mezzogiorno è in gran misura affidato alla «ricchezza culturale» del Sud e delle Isole ed un'importante riorganizzazione è in corso al Collegio Romano (sede del dicastero dei beni culturali). Siamo, alle prese non con un ordinario allestimento dell'opera verdiana ma con una produzione che intende lasciare il segno; sarà seguita anche dalla critica straniera. Verdi aveva 75 anni quando l'opera, dopo un lungo periodo di gestazione, ebbe la trionfale prima alla Scala. È al tempo stesso il culmine e il superamento del melodramma: ancora legata ad alcuni aspetti del genere alla base del successo e della fama di Verdi, metabolizza la rivoluzione apportata da Richard Wagner, protesa verso quella che sarebbe stata la musica del novecento. Per la drammaturgia e regia ritorna un grande nome Henning Brockuas per tanti anni nel suo ritiro di Passo di Treia nel maceratese interrompendolo per poche nuove produzioni a Jesi e per le riprese dei grandi lavori fatti con Josef Svoboda negli anni 90 che si sono visti in tutto il mondo. Le scene sono di Nicola Rubertelli, i costumi di Patrizia Toffolutti, le luci di Alessandro Carletti. È una struttura scarna ed efficace, ma soprattutto adattabile a palcoscenici di differenti dimensioni e che non dispongano delle strutture tecnologiche più aggiornate In una scena essenzialmente unica, la vicenda viene portata in una Cipro devastata (quasi da guerra balcanica) e corrotta. Domina il bianco ed il nero. Nel podio Renato Palumbo che ha già primeggiato più volte nell'opera verdiana, ha colto con perizia l'equilibrio tra tradizione ed innovazione. Di grande livello la Desdemona di Julianna Di Giacomo (una delle voci nuove più apprezzate negli Usa ed in Europa) e lo Jago di Giovanni Meoni (un veterano del ruolo). La sera della prima il protagonista, il tenore argentino Gustavo Porta, ha avuto serie difficoltà nel primo atto («ingolandosi» nell'Esultate e mancando le «mezzo voci» nel duetto): si è gradualmente ripreso nel resto dell'opera. Modesto il Cassio di Giuseppe Varano. A fianco di un'orchestra di alto livello, i cori guidati da Piero Monti hanno cantato da veri protagonisti. (riproduzione riservata)